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Immunità paradossale

Quello squarcio azzurro di cielo. Così terso, così intenso, incorniciato dai rami di un pino. Quel dolce oscillare delle fronde, così rilassante, così irreale. E quei volti che facevano capolino nel suo tratto di cielo. Rovinavano la perfezione della scena. Ma cosa volevano? L’unica cosa evidente era che quelle facce impertinenti di sconosciuti laceravano il suo idillio. Continua a leggere

Disfacimento

Sentiva qualcosa premere dal profondo. Tentava di soffocare il sorriso che le irrompeva viso. Lo sguardo, quasi timido, rivolto verso il basso. Si aggiustò con la mano un ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un lieve rossore albeggiava sulle guance. Non riusciva a non essere felice. Una sensazione così remota da apparire nuova. Espirò sollevata. Ogni tanto un qualche pensiero più oscuro le veleggiava sotto forma di nuvole nella testa, ma subito si adoperava per soffiarlo lontano. Il piede si muoveva ritmicamente impaziente. Nell’aria vibrava energia mista a un certo sentore di malinconia che per il momento non la riguardava. Ancora no. Ancora per poco, questioni di minuti. Le persone attorno a lei invece sbuffavano, alcuni in preda all’ansia, altri in meticolosa concentrazione. “Concentrati” si diceva… ma l’euforia del momento prevaricava prepotentemente qualsiasi tentativo di serietà. Era l’ultima versione di greco della sua vita.

(Sopravvivremo. Speriamo non esca Tacito)

 FELIX

Otto del mattino

La guardavo in estasi, le braccia sottili, capelli lunghi svolazzanti al vento. La mattina calcolavo meticolosamente il momento in cui sarebbe passata. Allora camminavano insieme per un tratto di strada, poi io giravo da una parte, lei svoltava dall’altra. Avanzava spavalda, elegante, con quello sguardo acuto. Io l’amavo, nessun dubbio. Non la conoscevo eppure l’amavo, l’amavo, l’amavo. Continua a leggere

Era così

La montagna aveva il sapore di ketchup, würstel e cioccolata calda con panna. Ma anche di sudore. Il suo primo approccio era stato traumatico. Si ricordava il sorriso dei suoi genitori che lo salutavano entusiasti mentre, per la prima volta, veniva trascinato dal maestro di sci verso i campi. Riusciva a malapena a slittare in avanti e l’unico risultato era la faccia nella neve bagnata. Così fredda e ostile. Non capiva proprio perché dovesse subire tutte quelle torture gratuitamente. Quella settimana pianse tutte le mattine fino all’ora di pranzo, quando finiva la scuola sci, e come premio poteva finalmente gustarsi le patatine fritte al calduccio. Continua a leggere

Fake Plastic Trees

– Mi consuma. – Ci sono cose che non potrai mai perdonarle. Cosa devi perdonare? La odi e basta sentendoti pienamente in diritto di farlo. Cuffie prepotentemente ficcate nei timpani, la guardi e non sai se piangere o sorridere. Lei lo sa? Ogni tanto ti assale il dubbio che non sia così … ma lo speri. Nel suo mondo di plastica presa solo dalla data di scadenza dei ravioli G Rana. Forse sta solo fingendo di non vederti. -Perché non mi ascolti? Non mi ascolti mai. –

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La fenomenologia dell’idea

Ecco un’idea pronta all’assalto. Acquattata non aspetta altro che il momento propizio per aggredirti. Ecco, la vedi, la piccola bastarda, che striscia verso di te. È inutile difendersi. Quell’opinione non ti appartiene. Non è tua! Non lasciarti persuadere. Ma l’indomani la senti fuoriuscire fluidamente dalle tue labbra socchiuse. Con gli occhi spalancati, ancora attonito dall’accaduto, non ti accorgi che intanto quella, bel bella, si va a insinuare nella mente di un altro malcapitato. Bisogna sperare che non dilaghi troppo! Altrimenti quest’epidemia di pensiero unilaterale ci sminuirà tutti. Ma non essere pessimista. Magari la prossima volta, mio caro, il tuo sistema immunitario riuscirà a demolire l’estranea e far prevalere la tua, di opinione. Continua a leggere

Il cassetto in fondo al mare: le identità strascicate

Dov’è finito il mare? Nessuna linea all’orizzonte. Era impossibile determinare dove finisse il mare e dove cominciasse il cielo. Davanti solo una distesa indefinita di un grigio abbacinante sopra cui fluttuavano le barche. Gianni voleva fare lo scrittore. Gianni desiderava fare lo scrittore da sempre (per quanto lo riguardasse). Infatti non aveva ricordi in cui non fosse presente il desiderio di diventare scrittore. A dire il vero non aveva ricordi, parlo di ricordi veri. Per lui l’infanzia era un eden felice posto sulla schiena di un elefante su una tartaruga, la preadolescenza era una macchia su un vetro appannato, l’adolescenza uno scarabocchio. E tale era rimasto crescendo. Per crescita s’intendeva un cambiamento di taglia delle scarpe e dei pantaloni più che di testa. Il cambiamento non era una parola di sua competenza. Dopotutto da sempre voleva essere scrittore e scrittore sarebbe diventato per sempre. Purtroppo però Gianni non sapeva cosa scrivere. Gli mancava l’estro creativo, buttava giù due righe e subito appallottolava il foglio (metaforicamente dato che sarebbe stato poco pratico accartocciare lo schermo del computer). Però si ricordava –almeno credeva- che un tempo era solito inventare svariate trame e stendere i suoi contorti pensieri su carta. Anzi ne era certo. Ma oramai aveva perso l’immaginazione. Non sapeva più dove trarre la sua ispirazione. Alla tenera età di ventidue anni si sentiva già un uomo vissuto. Aveva la sensazione di avere già espresso tutto quello che doveva dire. Ma allora, perché non riciclare quei suoi famosi scritti giovanili? Già perché no? Perché non sapeva dove fossero. Sembravano non fossero mai esistiti, non vi era traccia in nessun luogo. E ciò gli creava un certo disappunto. L’unica visione che lo assillava era di un indistinto etere abbacinante, un disorientante mare grigio senza confini.

Il signor M adorava appoggiarsi al parapetto della sua villa. La brezza invernale gli scompigliava i grigi capelli brizzolati. Con un sigaro in mano e gli occhiali spessi nell’altra guardava il mare. Il bagliore argentato delle onde accecava i suoi occhi stanchi. L’aria era fredda, umida, sapeva di sale e di antico. Amava andare nella sua villa al mare, lontano dalla gente e dall’asfalto. Nelle orecchie sentiva soltanto il vento. Lui era il famoso regista pluripremiato. Ogni tanto aveva bisogno di ritirarsi ed evadere. Aveva perso la voglia di creare da anni. Aveva idee ma non le voleva condividere. Gli unici a conoscerle erano i gabbiani che volteggiavano davanti a lui. Indossava un maglione logoro e anonimo. Nel suo attico in città erano esposti tutti i riconoscimenti e premi che aveva ricevuto per i suoi film, di cui era stato un tempo particolarmente orgoglioso. Adesso non ci si riconosceva più. Adorava il mare. Appena poteva scappava e andava a osservare il mare. Scrutava pensieroso l’orizzonte, poi lo sguardo scivolava sulla costa. Le onde s’infrangevano sulla rocce senza soluzione di continuità. Fin da quando si formavano, il loro destino era già stato segnato, si sarebbero dissolte. Ciò gli procurava una certa angoscia mista a un certo fascino. Poi prendeva posto la malinconia: non vi era via di scampo. Lui era il famoso regista pluripremiato prestigioso a livello internazionale. Eppure i suoi film sembravano non esistere. Non si trovavano in nessun nastro registrato e in nessuna memoria. Ma le sue pellicole erano stata assai apprezzate in passato. I premi testimoniavano ciò. Ma dei film nessuna orma. Dopotutto lui era il famoso regista.

 FELIX