Quando dici “prendo il trenino e vado a Ostia”, già percepisci quest’ultima come lontana, a sé rispetto a Roma: in quei trenta minuti di viaggio c’è tutta la distanza, non solo fisica ma anche ideologica, tra la capitale e, a ben vedere, null’altro che una sua frazione. L’aria che respiri lì, oggi, è una brezza lieve intrisa di fredda desolazione, come se negli sguardi, nei gesti e nei vicoli si celasse un non detto, un che d’inenarrabile che, a tratti, mette a disagio.
È difficile ricomporre i pezzi, dopo la nostra irruzione a Ostia, perché il campionario umano in loco è quantomai eterogeneo, lungi dal manicheismo spicciolo che ne fa un coacervo di soli interessi di parte. Continua a leggere