Il cassetto in fondo al mare: le identità strascicate

Dov’è finito il mare? Nessuna linea all’orizzonte. Era impossibile determinare dove finisse il mare e dove cominciasse il cielo. Davanti solo una distesa indefinita di un grigio abbacinante sopra cui fluttuavano le barche. Gianni voleva fare lo scrittore. Gianni desiderava fare lo scrittore da sempre (per quanto lo riguardasse). Infatti non aveva ricordi in cui non fosse presente il desiderio di diventare scrittore. A dire il vero non aveva ricordi, parlo di ricordi veri. Per lui l’infanzia era un eden felice posto sulla schiena di un elefante su una tartaruga, la preadolescenza era una macchia su un vetro appannato, l’adolescenza uno scarabocchio. E tale era rimasto crescendo. Per crescita s’intendeva un cambiamento di taglia delle scarpe e dei pantaloni più che di testa. Il cambiamento non era una parola di sua competenza. Dopotutto da sempre voleva essere scrittore e scrittore sarebbe diventato per sempre. Purtroppo però Gianni non sapeva cosa scrivere. Gli mancava l’estro creativo, buttava giù due righe e subito appallottolava il foglio (metaforicamente dato che sarebbe stato poco pratico accartocciare lo schermo del computer). Però si ricordava –almeno credeva- che un tempo era solito inventare svariate trame e stendere i suoi contorti pensieri su carta. Anzi ne era certo. Ma oramai aveva perso l’immaginazione. Non sapeva più dove trarre la sua ispirazione. Alla tenera età di ventidue anni si sentiva già un uomo vissuto. Aveva la sensazione di avere già espresso tutto quello che doveva dire. Ma allora, perché non riciclare quei suoi famosi scritti giovanili? Già perché no? Perché non sapeva dove fossero. Sembravano non fossero mai esistiti, non vi era traccia in nessun luogo. E ciò gli creava un certo disappunto. L’unica visione che lo assillava era di un indistinto etere abbacinante, un disorientante mare grigio senza confini.

Il signor M adorava appoggiarsi al parapetto della sua villa. La brezza invernale gli scompigliava i grigi capelli brizzolati. Con un sigaro in mano e gli occhiali spessi nell’altra guardava il mare. Il bagliore argentato delle onde accecava i suoi occhi stanchi. L’aria era fredda, umida, sapeva di sale e di antico. Amava andare nella sua villa al mare, lontano dalla gente e dall’asfalto. Nelle orecchie sentiva soltanto il vento. Lui era il famoso regista pluripremiato. Ogni tanto aveva bisogno di ritirarsi ed evadere. Aveva perso la voglia di creare da anni. Aveva idee ma non le voleva condividere. Gli unici a conoscerle erano i gabbiani che volteggiavano davanti a lui. Indossava un maglione logoro e anonimo. Nel suo attico in città erano esposti tutti i riconoscimenti e premi che aveva ricevuto per i suoi film, di cui era stato un tempo particolarmente orgoglioso. Adesso non ci si riconosceva più. Adorava il mare. Appena poteva scappava e andava a osservare il mare. Scrutava pensieroso l’orizzonte, poi lo sguardo scivolava sulla costa. Le onde s’infrangevano sulla rocce senza soluzione di continuità. Fin da quando si formavano, il loro destino era già stato segnato, si sarebbero dissolte. Ciò gli procurava una certa angoscia mista a un certo fascino. Poi prendeva posto la malinconia: non vi era via di scampo. Lui era il famoso regista pluripremiato prestigioso a livello internazionale. Eppure i suoi film sembravano non esistere. Non si trovavano in nessun nastro registrato e in nessuna memoria. Ma le sue pellicole erano stata assai apprezzate in passato. I premi testimoniavano ciò. Ma dei film nessuna orma. Dopotutto lui era il famoso regista.

 FELIX

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