Otto del mattino

La guardavo in estasi, le braccia sottili, capelli lunghi svolazzanti al vento. La mattina calcolavo meticolosamente il momento in cui sarebbe passata. Allora camminavano insieme per un tratto di strada, poi io giravo da una parte, lei svoltava dall’altra. Avanzava spavalda, elegante, con quello sguardo acuto. Io l’amavo, nessun dubbio. Non la conoscevo eppure l’amavo, l’amavo, l’amavo. Io ero un verme strisciante. Niente di speciale, il mio aspetto era insignificante, e dimostravo un’età nettamente inferiore rispetto a quella effettiva. Lei appariva. Sembrava così più grande, così superiore rispetto a noi… Io infantile, con i desideri da quattordicenne. Io odiavo i piercing, nonostante ciò trovavo il suo sul labbro inferiore così sensuale… Aveva nello sguardo quella nota di audacia e trasgressione, nei suoi occhi scuri potevi vedere tutto ciò cercavi.

Era una di quelle persone che ispirano ammirazione e deferenza e fiducia allo stesso tempo. Invece la muia specialità era svanire, mi camuffavo e diventavo invisibile. Ogni giorno tentavo di farmi notare da lei. Ripeto: tentavo. Ma era palesemente impossibile. Osservavo il mondo scorrere senza parteciparvi.

Lei cavalcava l’onda della ribellione e dell’inconsueto. Aveva un’aria così sicura di sé, io un tremolio e un’ansia che mi s’ingoiava. Non potevo che soccombere di fronte alla sua maestà. Io morivo, morivo, morivo. Mi contorcevo per la disperazione la notte nel letto, sotto la doccia, davanti lo specchio imbrattato di un bagno pubblico, quando superavo l’angolo della strada senza averle rivolto la parola. Spesso mi si presentava davanti l’immagine della sua bocca carnosa schiudersi. Mi faceva così male, era così insostenibile. L’odiavo, l’odiavo, l’odiavo. Non riuscivo a sopportare ciò. Io non avevo speranze. Non sarebbe mai stata interessata a me, anche perché io, in difetto di qualsiasi certezza, ero una ragazza timida e timorosa.

FELIX

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