Category Archives: Filosofia

Il significato filosofico di Matrix – Parte 2

Se il primo film della trilogia di Matrix si mantiene abbastanza vicino al nostro mondo – e per questo è stato molto apprezzato – gli altri due sono decisamente più visionari, nel bene e nel male.

Non ho nessuna intenzione di impelagarmi troppo a lungo nelle critiche piovute su questi film. Vorrei solo far notare come gli effetti speciali, le scene di combattimento, le musiche, le ambientazioni e gli eventi sembrino stemperati in maniera un po’ “classica”, da film d’azione tout court. Il che ha tutta l’aria di essere un espediente, visto che la trama si allontana (e di molto) dalla realtà che ci è familiare: un film ancora più alienante, criptico e visionario di quello che è stato prodotto avrebbe fatto perdere ai due sequel la grande capacità comunicativa verso il pubblico di tutte le fasce… e i sostanziosi incassi che gentilmente fornisce. Il prezzo da pagare è una generale perdita di contenuti a favore dell’azione. Nei momenti decisivi, in ogni caso, continuano ad esserci quelle “vette di pensiero” dalla profondità abissale che sono il vero spirito di Matrix, ed è appunto su queste vette che vorrei focalizzare l’attenzione.

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Il significato filosofico di Matrix – parte prima

La genesi di questo articolo è abbastanza particolare: negli ultimi mesi, non so se per caso o per volontà divina, ho sentito pronunciare centinaia di volte la parola “Matrix”, negli ambiti e nei luoghi più disparati e dalle persone più diverse. Il colmo è stato raggiunto qualche giorno fa, quando persino Crozza ne ha parlato, imitando Marchionne. Ho interpretato tutte queste coincidenze come segni del destino, visto che erano mesi che avevo voglia di scrivere questo articolo. Sarà perché Birdman non mi ha fatto impazzire, ma di film rivoluzionari come Matrix se ne trovano pochi e parlarne non potrà fare tanto male. Potrà anzi fornirci qualche interessante spunto per uscire dall’attuale clima di aridità e ignoranza, non solo a livello culturale… Per uscire da Matrix, in un certo senso. Continua a leggere

Molti sussurri

Prestateci orecchio poiché la nostra non è che l’ennesima voce fuori dal coro. Se potete, fermatevi, non avete nulla da perdere; dimenticherete le nostre parole prima che il giorno finisca. Vi invitiamo, voi che leggete queste righe con quel ridicolo sguardo assorto, a considerare di riflettere su qualcosa che una volta tanto esuli dall’incompetenza scolastica. Sta di fatto che per non affannare le eccessivamente le vostre testoline ottenebrate, ci limiteremo a dare un breve sguardo a qualcosa di non troppo ponderoso. Continua a leggere

Una valle di lacrime e luce

E’ triste accorgersi di come le afflizioni del mondo non trovino conforto. L’umanità sembra aver perduto la “speranza dell’altezza”, per citare un uomo che oltre l’Inferno ha avuto il privilegio di osservare l’Altissimo nella luce beata del Paradiso. Ma dov’è la luce? Dov’è  Lui? La Sua creazione svanisce, distrutta e insozzata dai Suoi stessi figli. Chi ancora vi dimora, col tempo inizia a chiedersi come possa Dio tacere di fronte allo scempio dell’Uomo.

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La folla fra Aristofane e Le Bon

La folla è un’entità di difficile definizione: un insieme di “vespe scatenate”, citando Melantone. Quelle stesse vespe della commedia aristofanea “Σφηκης”, le quali, come da titolo, entrano in scena come sostenitori di Cleone. E non è un caso che proprio Cleone sia il primo nella storia della letteratura ad essere chiamato demagogo (da Tucidide 4, 21, 3 anche se il δημαγωγός riferito ad ἀνήρ è da interpretare differentemente dal significato che diamo noi oggi al termine), ma non sicuramente il primo ad accattivarsi le simpatie della folla grazie all’abile oratoria e a proposte populiste. Nel mondo greco tutti, o quasi, potevano essere demagoghi. Anche il salsicciaio dei “Cavalieri”, un’altra commedia aristofanea, lo può essere: gli bastano “manicaretti di parole […], una voce ripugnante, origini basse, volgarità”. In realtà non è poi così semplice diventare trascinatori di masse. Anzi, spesso è necessaria una specifica e rigorosa preparazione: così valse per tutti i dittatori del ‘900 che fondavano il loro potere proprio sulla persuasione di gruppi umani così manovrabili. Lenin e Stalin, Hitler e Mussolini, tutti lessero molto attentamente “Psicologia delle Folle” dell’etnologo e psicologo francese Gustave Le Bon; il dittatore italiano, in particolare ne era un profondo estimatore, tanto da considerarla un’“opera capitale” a cui spesso fare ritorno. Egli, in effetti, vorrebbe incarnare “il tipo dell’eroe caro alle folle”, il “Cesare”, teorizzato da Le Bon, come il Cleone tucidideo o il Ferrer manzoniano. Continua a leggere

Considerazioni sulla propria idea di Dio

“Lasciando da parte la logica, trovo strano si possa pensare che una divinità onnipotente, onnisciente e benevola abbia preparato il mondo da nebulose senza vita. Io sono fermamente convinto che le religioni, come sono dannose, così sono false. Si ritiene virtuoso credere, avere cioè una convinzione che non tentenna di fronte a evidenze contrarie, e se l’evidenza contraria fa sorgere dubbi, ritenere di doverli sopprimere. Tutto ciò ha sempre predisposto l’umanità e la predispone ancora ad una guerra micidiale.

La convinzione che è importante credere questo o quello senza ammettere libere indagini, è comune a quasi tutte le religioni, e ispira tutti i sistemi di educazione. Il mondo che io auspico dovrebbe essere libero da faziose incomprensioni, e consapevole che la felicità per tutti nasce dalla collaborazione e non dalla discordia. L’educazione dovrebbe mirare alla libertà della mente dei giovani, e non al suo imprigionamento in una rigida armatura di dogmi destinati a proteggerla, nella vita, contro i pericoli dell’evidenza imparziale. Il mondo necessita di menti e di cuori aperti, non di rigidi sistemi, vecchi o nuovi che siano.”

Estratto dalla prefazione di “Perché non sono cristiano” di Bertrand Russell.

 

Lasciando da parte ogni criterio parziale, trovo strano che il filosofo premio Nobel Bertrand Russell sia stupito, come dichiara nell’incipit della sua opera, del fatto che l’uomo possa credere ad un Dio onnisciente creatore ed ispiratore dell’universo.

Chi parla di uomo parla di Dio, e chi parla di Dio parla dell’uomo. Non perché Dio si possa considerare solo come un prodotto dell’uomo, un’idea della sua mente, ma perché l’uomo è quella parte dell’Essere che non solo partecipa dell’esistenza, ma ne indaga i fondamenti e le ragioni. L’uomo è, e si scopre dotato di un senso innato di Dio, del soprannaturale, del “di più”. La storia dell’umanità, fin dalle sue più primitive radici, è pervasa di senso religioso. Questa attitudine alla ricerca dell’origine del mondo e del perché finalistico della sua esistenza è forse la caratteristica più universale dell’uomo, che ci unisce tutti, se non nelle conclusioni, di sicuro nelle premesse. Dio è oggetto di fede, e come Tommaso d’Aquino afferma all’inizio della “Somma contro i Gentili”, “I principi naturali non possono essere in contrasto con la verità della fede, sebbene la verità della fede cristiana superi le capacità della ragione”. L’esistenza di Dio è indimostrabile ed innegabile, e se la verità scientifica non entra in contraddizione con essa, è anche vero che non può supportarla, perché la fede si muove aldilà del dimostrabile e del sensibile, diventando un fatto individuale.

Russell prosegue: “Si ritiene virtuoso credere, avere cioè una convinzione che non tentenna di fronte a evidenze contrarie, e se l’evidenza contraria fa sorgere dubbi, ritenere di doverli sopprimere. Tutto ciò ha sempre predisposto l’umanità e la predispone ancora ad una guerra micidiale.” Attraverso le tracce umane nella storia, e a volte ancora oggi nella mentalità di singoli individui o gruppi religiosi, è stata adottata la religione come mezzo conoscitivo, e ai testi sacri è stato attribuito carattere scientifico. E’ anche vero che la scienza e i suoi progressi hanno portato lentamente ad una nuova concezione della realtà, non più di tipo deterministico e sempre meglio organizzata nelle sue leggi. La religione nelle prime fasi dell’indagine umana ha fornito una sua risposta alle evidenze del mondo. Tale risposta è carica di dignità nel suo essere rudimentale, perché riflette il riconoscimento dell’uomo di una perfezione superiore. Tutto ciò non toglie che al giorno d’oggi sia assurdo reputare scienza e religione due alternative: i campi d’azione sono stati definiti e chi trova che la scienza sia in contrasto o metta in dubbio la propria fede, in effetti vive il suo credo in modo sbagliato. Il filosofo critica inoltre le guerre di religione. Ingenuo chi ancora sostiene che esistano guerre di religione, come anche di ideologia. I conflitti, oggi come ieri, mirano a finalità ben più materiali di tipo economico. Il motivo religioso, l’ideale, il sentimento, sono stati introdotti per eccitare gli animi di coloro che avrebbero ucciso e sarebbero morti per un vantaggio che non li avrebbe riguardati (perché per sacrificarsi è essenziale una ragione). L’uso della religione è stato strumentale. Sappiamo che molti sono i gruppi fondamentalisti che giustificano la violenza con la loro fede. Tuttavia ogni credo religioso, nella sua espressione più genuina, promuove la pace e la comunione tra gli individui attraverso il superamento delle differenze in nome degli obiettivi comuni fondamentali. Nel “Discorso della Montagna” Cristo parla dei veri cristiani come di “operatori di pace”.

Nell’ultima parte del suo discorso, l’autore accenna ai sistemi educativi in relazione ai dogmi religiosi, dichiarando che questi imprigionano e compromettono la “libertà della mente dei giovani”; egli auspica infine ad un mondo di “menti e cuori aperti”. Mi ha colpito molto una frase di Cesare Pavese, nel racconto “La casa in collina”. Il protagonista discute con una sua amica in merito alla scelta di quest’ultima di non far frequentare il catechismo al figlio. Egli dichiara che qualunque sia la scelta del genitore, questa è comunque un’imposizione. Infatti il bambino non sa decidere, e insegnarli o meno una dottrina religiosa è insegnargli qualcosa contro la sua volontà. Scrive l’autore: “E’ religione anche non credere in niente”. Russell si riferisce in modo sommario alla “libertà della mente”, ma cosa intende? Se si riferisce all’assenza di schemi e linee guida di pensiero, la libertà è impossibile. Qualsiasi tipo di educazione contiene inevitabilmente dogmi, in quanto durante l’infanzia tutta la conoscenza è percepita in modo dogmatico, indipendentemente dalla religione. Tuttavia le nozioni che si insegnano ai bambini non li limitano, in quanto potranno essere vagliate in età adulta e a quel punto accettate o rifiutate o meglio dimostrate. Il problema educativo è molto più esteso, dipende dall’impostazione con cui la cultura viene trasmessa dagli educatori. Qualsiasi tipo di conoscenza, se impartita in forma dogmatica e categorica, è un potenziale motivo di scontro e di crisi.

Dio e la fede sono per me un’esperienza viva ed incessante, una verità che ho bisogno di confermare ogni giorno e di arricchire attraverso l’interrogativo, il confronto, la ricerca dentro e fuori di me. Credo innanzitutto nell’importanza della dimensione spirituale come estrema realizzazione della mia esistenza umana e come affermazione profonda della mia identità.

 MARIA VITTORI

 

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