Il significato filosofico di Matrix – Parte 2

Se il primo film della trilogia di Matrix si mantiene abbastanza vicino al nostro mondo – e per questo è stato molto apprezzato – gli altri due sono decisamente più visionari, nel bene e nel male.

Non ho nessuna intenzione di impelagarmi troppo a lungo nelle critiche piovute su questi film. Vorrei solo far notare come gli effetti speciali, le scene di combattimento, le musiche, le ambientazioni e gli eventi sembrino stemperati in maniera un po’ “classica”, da film d’azione tout court. Il che ha tutta l’aria di essere un espediente, visto che la trama si allontana (e di molto) dalla realtà che ci è familiare: un film ancora più alienante, criptico e visionario di quello che è stato prodotto avrebbe fatto perdere ai due sequel la grande capacità comunicativa verso il pubblico di tutte le fasce… e i sostanziosi incassi che gentilmente fornisce. Il prezzo da pagare è una generale perdita di contenuti a favore dell’azione. Nei momenti decisivi, in ogni caso, continuano ad esserci quelle “vette di pensiero” dalla profondità abissale che sono il vero spirito di Matrix, ed è appunto su queste vette che vorrei focalizzare l’attenzione.

ImmagineIn particolare, sulla cosa più densa di significati di tutti e tre i film: il rapporto tra Neo e Smith. Ciò che è accaduto alla  fine  del  loro primo  combattimento  è  un esempio di come gli avvenimenti continuino sì a mantenersi logici, ma la loro logica sia quella informatica che sorregge la realtà virtuale di Matrix: Neo ha “impresso” una parte della sua mente in quella artificiale di Smith, vi ha introdotto un elemento di umanità. Ora Smith è diventato “il suo opposto, il suo negativo”, con l’inquietante  capacità  di  trasformare  gli  esseri umani all’interno di Matrix in copie di sé stesso, come fanno i virus informatici con i software dei computer.

Non mi stancherò mai di ripetere che, qualunque cosa si pensi di questa trilogia, essa ha una grande forza magnetica, e uno spettatore, a patto di lasciarsi andare, viene portato su un piano logico-emotivo diverso in cui comincia a interagire naturalmente, con profondo coinvolgimento. Forse perché la forte struttura narrativa non è solo un mero espediente: c’è in essa qualcosa che ricorda le fantasticherie senza fine dei bambini, capaci di inventare e far durare nel tempo mondi immaginari bellissimi e complessi.

Con la perfezione tecnica e il fiato lungo di un poema epico, due differenti conflitti vengono portati sul punto di rottura nello stesso momento: quello fra Neo e Smith, all’interno di Matrix, e quello, nel mondo reale, tra le Macchine e gli uomini della Resistenza.

ImmagineIn seguito a una concatenazione di avvenimenti che vi risparmio si delinea questo scenario: mentre la Resistenza sta per essere sterminata, Smith   attacca   Matrix.   Converte  ogni   essere umano in una sua copia e assume una posizione di forza persino nei confronti delle Macchine, dato che esse dipendono da Matrix per sopravvivere e lui la controlla dall’interno. Con l’annientamento degli ultimi membri della Resistenza gli Smith rimarrebbero l’unica intelligenza superstite. Neo può così stipulare un patto senza precedenti con le Macchine: lui distruggerà Smith, e loro lasceranno in vita i resti della Resistenza.

Ci vuole una creatività immensa per dar vita a una storia del genere, e ce ne vuole ancora di più quando, in uno scontro finale suggestivo come pochi, emergono pensieri squisitamente filosofici. Quella che Neo vede, entrando in Matrix per l’ultima volta, è l’apocalisse più razionale che sia mai stata concepita. E’ una scena con poche rivali nella storia del cinema, perché riesce a tirare fuori come nessun’altra un’immagine cristallizzata nell’inconscio di ognuno di noi: Smith ha i tratti dell’Anticristo, ha “convertito” ogni essere umano; l’unico rimasto è l’Eletto, colui che dovrà salvarli tutti. Niente riesce a esprimere la grandiosità di quest’immagine in maniera più travolgente di quelle centinaia di Smith, schierati per le strade e affacciati alle finestre delle case, con un ordine e un’immobilità innaturali. La bellezza incommensurabile delle musiche fa il resto: mentre Neo combatte un solo Smith, si ha la sensazione di percepire i sentimenti di lui, unico tra gli uomini ad aver avuto accesso a certi segreti, l’unico in grado di tenere testa ad entità come le Macchine. O Smith.

L’odio di Smith non è quello del cattivo hollywoodiano: è un odio lucido, e lucide sono le critiche che rivolge all’umanità. Ne disprezza la debolezza e la carnalità, ma soprattutto disprezza l’insensatezza della loro vita… e della vita in generale. Anche della sua, come sarà chiaro. Tanto vale lasciare spazio alle sue parole, che non sfigurerebbero in una tragedia shakespeariana. In precedenza, aveva descritto così la condizione di un essere umano: “…imprigionato in questo putrido pezzo di carne… il suo odore riempie ogni respiro, è una nuvola soffocanteImmagine da cui è impossibile fuggire.”  Poi, rivolto a Neo: “Guardi quanto è pateticamente fragile… niente di tutto questo è fatto per sopravvivere. (…) Guardi attraverso la carne, attraverso questi stupidi occhi bovini, e osservi   il   suo   nemico.”   E   ancora:   “Devo ringraziarla: dopotutto è la sua vita che mi ha fatto capire quale sia lo scopo di tutta la vita: lo scopo della vita è finire.”

Neo e Smith si stagliano in una dimensione elitaria, al di sopra dei loro simili. Sono accomunati dalla quella che potrebbe essere definita “volontà di potenza” e da capacità impareggiabili. Vi dice niente il nome di Nietzsche?

Smith è espressione del mondo delle Macchine, esseri dalla perfezione irraggiungibile per gli uomini. E’ il più potente di questi esseri, eppure anche il più imperfetto, per la sua vicinanza agli uomini e alla vita. Neo come ogni uomo è fragile, nonostante sia un profeta. Per la maggior parte del film si vede addirittura, grazie ad alcuni profondi dialoghi, come sia in balia del destino: “vive” gli eventi e reagisce in base ad essi, non li gestisce. E’ per questo, tra le altre cose, che lo spettatore può identificarsi con lui.

ImmagineI due antagonisti rappresentano dunque un punto di contatto fra due limiti estremi: il più perfetto tra gli uomini e la più imperfetta delle Macchine (gli anti-uomini). Ma non è tutto: nel corso del film, nonostante siano le dominatrici del mondo, le  Macchine  sembrano  continuare  ad  agire  in funzione degli esseri umani (a cui si sono ribellate) in maniera analoga a una qualsiasi altra loro invenzione. Alla luce delle parole di Smith, si capisce come esse rappresentano la più importante invenzione dell’umanità: perché sono, assieme alla Resistenza, la proiezione e la sublimazione dei suoi conflitti. Così lo scontro tra Neo e Smith diventa quello, interno tanto all’umanità quanto ai singoli esseri umani, tra i concetti che vengono generalmente definiti “Bene” e “Male”, “Creazione” e “Distruzione”, espressioni di ciò che nella psiche viene chiamato “pulsione di vita” o “pulsione di morte”. Vi dice niente il nome di Freud?

E’ grazie a questa complessa allegoria che la lotta fra Messia e Anticristo perde il suo carattere di topos, e le suggestioni che il film ha accumulato nel suo sviluppo liberano tutte le loro immense potenzialità emotive, con un’intensità sorprendente.

Lo scontro finale prosegue accanito, epico e mistico allo stesso tempo. Tuttavia, mano a mano che Neo si sfianca e si avvicina alla morte sembra avvicinarsi sempre di più anche a Smith. I due opposti sembrano avvicinarsi. Nel combattimento subentrano dei momenti di calma, e non si tratta di banali pause ad effetto messe lì per esigenze drammatiche. Sono istanti in cui si può quasi toccare con mano la profonda

e paradossale intimità, sia fisica che psicologica, che si instaura tra due nemici sempre meno incomprensibili l’unImmagine l’altro. Come se l’esaurimento delle forze stimolasse la mente e il pensiero ai loro massimi limiti. Tutto inizia ad apparire sotto un’altra luce. Se non fosse vero, perché Smith si affannerebbe a spiegare a Neo ciò che sente?

Gli lascio di nuovo la parola: “Perché signor Anderson? Perché lo fa? Perché si rialza? Perché continua a battersi? Pensa veramente di lottare per qualcosa di più della sua sopravvivenza? Sa dirmi di cosa si tratta, ammesso che ne abbia coscienza? È la libertà? È la verità? O magari la pace… Non mi dica che è l’amore! Illusioni, signor Anderson, capricci della percezione, temporanei costrutti del debole intelletto umano che cerca disperatamente di giustificare un’esistenza priva del minimo significato e scopo! E ognuno di questi costrutti è artificiale quanto Matrix stessa, anche se devo dire che solo la mente umana poteva inventare una scialba illusione come l’amore! Ormai dovrebbe aver capito, signor Anderson, a quest’ora le sarà chiaro, lei non vincerà, combattere è inutile! Perché, signor Anderson? Perché? Perché persiste?”.

Le precedenti parole di Smith erano suonate del tutto aliene alle orecchie di Neo, e avevano suscitato in lui un’espressione di orrore invincibile. Ma adesso quello che dice il suo nemico sembra farsi strada nella sua mente. Neo risponde, stranamente calmo: “Perché così ho scelto.” Non “Perché così è giusto.”. No. Neo riconosce implicitamente che la vita non ha scopo, e che sono gli uomini a doverglielo dare.

ImmaginePoco dopo è ormai allo stremo delle forze. Smith gli si avvicina, e capisce che è finita. Gli ricorda una frase che già gli era stata detta, e lo fa con voce leggera, quasi soave: “Tutto ciò che ha un inizio ha una fine, Neo”. E’ il culmine del percorso spirituale che Neo compie grazie a Smith, che l’Uomo compie grazie – o anche “a causa” – delle Macchine, alla ricerca dei misteri dell’esistenza. Tutta la storia narrata sembra diventare nient’altro che un bellissimo pretesto per raccontare l’epilogo di questo titanico conflitto fra opposti, antico quanto la vita.

Smith e Neo sono simboli, antitetici e complementari come tutti i dualismi che incarnano (mi permetto di dire che William Blake sarebbe d’accordo). Entrambi si sono ribellati al “sistema” in cui vivevano, in maniera completamente diversa, ma con un elemento in comune: tutti e due vogliono liberare l’umanità da qualcosa. Neo vuole salvarla dalla schiavitù, affinché la vita sia migliore. Smith vuole liberarla dalla vita stessa, di cui ha compreso e descritto il vano tormento in modo così vivido.

Ma non bisogna dimenticare che Smith ha dentro di sé una parte di Neo, e quindi è Neo. Sono “Uomo” e “Anti-Uomo”, entità che convivono all’interno di ogni essere umano, sotto forma delle sue opposte pulsioni. Se l’Anti-Uomo intuisce una verità, è l’essere umano stesso a intuirla, e per quanto l’Uomo possa tentare di sfuggirla e di combatterla, prima o poi dovrà accettarla. E quale verità è più ineluttabile  della  vanità  della  vita?  In  fondo, l’Anti-Uomo rappresenta la morte e la spinta verso di essa: e la morte è priva di orizzonti, mentre la vita (l’Uomo) no; la morte, allora, è necessariamente “superiore” ad essa. Doveva dunque essere l’Anti-Uomo Smith il tramite di Neo per arrivare ai misteri dell’esistenza.

ImmagineSul palcoscenico della più grande battaglia mai combattuta dall’umanità, Smith rivela a Neo una verità tanto semplice quanto eterna. E gliela rivela a poco a poco, nel corso della storia, con le sue parole e con il dolore che gli infligge, con cui sembra portarlo in uno stato mentale sempre più distaccato dalla vita. Uno stato in cui è possibile coglierla nella sua totalità. Non è un caso che le facoltà di Neo si accrescano man mano che si avvicina questo momento: esemplare è quella di poter vedere “l’energia delle cose”, pur essendo stato accecato.

Nonostante tutto, Neo non rinnega sé stesso. C’è un’altra cosa che comprende grazie a Smith: per salvare l’umanità dall’annientamento sapeva già di dover distruggere Smith, ma ora ha capito che potrà riuscirci solo lasciandosi sconfiggere. Nelle sequenze finali, sul suo volto sembra dipinta la consapevolezza, esausta e agghiacciante, che tutto ciò che lo ha animato fino a quel momento è svanito di fronte alla verità di Smith. Eppure, è proprio l’accettazione di tutto questo a dargli la forza di compiere l’ultimo, decisivo passo per la salvezza degli uomini.

Le parole che pronuncia alla fine sono volutamente ambigue: “Ha ragione, Smith. Lei ha sempre ragione. Era inevitabile”. Cosa era inevitabile? Che lui si rendesse conto della verità? La vittoria di Smith? La sua stessa vittoria?

ImmagineNeo si lascia trasformare senza opporre resistenza. E cosa nasce dalla fusione di due opposti? Il nulla, quindi la morte. Gli opposti, però, sono complementari: l’uno non può esistere senza l’altro, perché ciascuno motiva l’esistenza dell’altro. E’ la summa del concetto di Ying e Yang in un film occidentale.

Smith, infatti, ha la stessa vulnerabilità degli uomini che ha tanto odiato. Il suo unico scopo era eliminare Neo: ha mantenuto la promessa che aveva fatto nel secondo film, quando, parlando a nome di tutti gli Smith, gli aveva detto “E’ lo scopo che ci spinge… Noi siamo qui per togliere a lei quello che lei ha cercato di togliere a noi: lo scopo.” Ma adesso neanche lui ha più una ragione di vita e non è nemmeno un essere vivente nel senso stretto della parola. E’ un programma senza una specifica finalità, e per le leggi informatiche di Matrix, su cui non vale la pena dilungarsi, si deve autodistruggere. Così accade. L’umanità e le Macchine, simboli della vita, possono continuare ad esistere.

Il finale è assoluto, ultraterreno, definitivo.

Lascia un interrogativo irrisolto e probabilmente irrisolvibile: Smith ha davvero ragione? La vita vale davvero la penaImmagine di essere vissuta?

Forse, la risposta è nello sguardo di Neo, sempre permeato di quella meraviglia che Aristotele direbbe essere alla base della filosofia, o più semplicemente alla base della felicità. La stessa meraviglia che, nell’ultima scena, è negli occhi di una bambina di fronte a una splendida alba. Una bambina che è lì grazie al sacrificio di Neo.

E’ evidente che la trilogia di Matrix non è da cinema d’essai, eppure ha avuto un impatto culturale   gigantesco. Perché   è   una  sorta  di “poema epico del futuro”, con il suo fluire multiforme e meraviglioso di avvenimenti, che racchiudono dentro di sé archetipi comuni a ogni cultura. Perché il mondo fantascientifico che descrive è espressione della società sempre più informatizzata e “sistemica” della nostra epoca. Ma soprattutto, ha avuto l’impatto che ha avuto perché, nonostante tutti i suoi inevitabili difetti, riesce ad essere paradigma della stessa esistenza umana, e ad esprimere tematiche senza tempo con qualcosa di semplice e accattivante – verrebbe quasi da dire ingenuo – come un film d’azione.

ImmagineNon so quanto di quello che ho scritto avessero intenzione di comunicare gli autori di questa trilogia, e non oso nemmeno pensare a cosa direbbero i filosofi che ho citato.

Però sono convinto che il solo fatto che Matrix sia in grado di suscitare tutte queste riflessioni lo collochi fra i grandi film. E, forse, potremmo anche trarne qualcosa a cui ispirarci nella nostra vita reale.

ALESSANDRO VIGEZZI

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