La presunta semplificazione del procedimento legislativo

L’intervento più corposo effettuato dalla riforma attiene al procedimento legislativo, cioè l’insieme di fasi per l’approvazione delle leggi ordinarie (non quelle costituzionali che continuano ad essere disciplinate dall’art. 138 Cost.) e degli atti aventi forza di legge (decreti legislativi e decreti-legge). Si tratta di una modifica notevole perché ad un procedimento sostanzialmente unico per tutte le leggi, se ne sostituirebbero vari, in cui Camera e Senato intervengono in modo differente. La semplificazione va pertanto colta alla luce della specificità delle nuove disposizioni: solo attraverso una previsione analitica si possono infatti sciogliere tutti i dubbi interpretativi. Anche se la cattiva qualità della legislazione potrebbe determinare conseguenze opposte.

 

I due tipi principali di procedimenti legislativi

 

Il principale elemento caratterizzante la riforma è il superamento del bicameralismo paritario, quale delineato dall’art. 70 Cost. a termini del quale «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». L’assetto delineato dal Costituente del ’48 comporta che ai fini dell’approvazione di una legge è necessario che lo stesso atto venga approvato da Camera dei deputati e Senato della Repubblica. Ove, poi, una Camera apporti delle modifiche al testo in discussione, se l’altra l’ha già approvato, è necessaria una sua nuova deliberazione sul testo emendato (c.d. navette). Ora, la riforma non supera il bicameralismo perfetto: si limita semplicemente a sostituirvi un bicameralismo “differenziato”, in cui Camera e Senato avranno funzioni e rilevanza diverse nel procedimento legislativo. Tanto che alcuni giuristi hanno piuttosto parlato di un bicameralismo “asimmetrico”, data la notevole disparità di funzioni e peso delle due Camere.

 

A ogni modo, il nuovo art. 70 prevedrebbe due principali tipologie di procedimenti legislativi:

  1. un procedimento legislativo bicamerale (art. 70, 1° co.), in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per determinate materie (si mantiene pertanto intatto il procedimento di tipo bicamerale definito nel 1948);
  2. un procedimento legislativo “monocamerale” (art. 70, co. 2°, 3° e 4°), con la competenza generale della sola Camera dei deputati ad approvare il testo e la possibilità di un intervento eventuale (o obbligatorio) del Senato.

 

La peculiarità dei due procedimenti è data però dal combinato disposto dei commi primo e secondo dell’art. 70: infatti, come detto, il procedimento bicamerale è limitato ad alcune materie specifiche, mentre quello monocamerale trova applicazione per qualunque altra legge per cui non sia previsto, in Costituzione, un procedimento di approvazione differente. Pertanto, il procedimento bicamerale diviene speciale, mentre quello monocamerale generale e residuale.

 

Il procedimento legislativo bicamerale

Il procedimento legislativo bicamerale trova applicazione per le seguenti leggi, richiamate dall’art. 70, 1° co.:

  1. «le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali (art. 138);
  2. le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71;
  3. le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;
  4. la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea,
  5. quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma»;
  6. la legge che regola le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri regionali e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva (art. 57, 6° co.);
  7. le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea (art. 80, secondo periodo);
  8. la legge dello Stato che disciplina l’ordinamento di Roma Capitale (114, 3° co.);
  9. la legge dello Stato che può attribuire alle Regioni ordinarie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (116, 3° co.);
  10. la legge che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo dello Stato alle Regioni che siano inadempienti nell’attuazione e nell’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti della UE (art. 117, 5° co.), e le leggi che disciplinano le forme e i casi in cui le Regioni possono concludere accordi con Stati terzi e intese con enti territoriali interni ad altro Stato (art. 117, 9° co.);
  11. la legge che definisce i principi generali regolanti l’attribuzione di un patrimonio proprio ai Comuni, alle Città metropolitane e alle Regioni (art. 119, 6° co.);
  12. la legge, per cui il Governo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province autonome di Trento e Bolzano e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 120, 2° co.);
  13. la legge dello Stato che disciplina il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali, e stabilisce la durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione, nonché i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio fra donne e uomini nella rappresentanza (art. 122, 1° co.);
  14. le leggi mediante le quali può essere consentito ad Comune di essere staccato da una Regione ed essere aggregato ad un’altra, previa approvazione della maggioranza delle popolazioni del Comune o dei Comuni interessati (art. 132, 2° co.).

 

Deve inoltre ricordarsi quanto previsto dall’art. 72, 1° co.: «ogni disegno di legge di cui all’art. 70, primo comma, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale». Permane quindi il sistema attualmente in vigore: il progetto di legge può essere presentato indifferentemente ad ogni Camera. Esso, una volta approvato da una Camera, è trasmesso all’altra che dovrà deliberare, approvando o meno il testo oppure apportandovi modifiche. E la prima dovrà riapprovarlo ove modifiche siano fatte. Il “ping pong” del bicameralismo è quindi solo parzialmente scongiurato.

 

Insomma, si è in presenza di tante leggi! Fra l’altro, attinenti vari livelli: il livello degli interessi nazionali, l’ordinamento regionale, l’ordinamento degli enti locali e ambiti che hanno rilevanza sia per l’ordinamento statale sia per l’ordinamento regionale. Tuttavia, «non può non rilevarsi che sulla compilazione dell’elenco […] ha pesato l’assenza di una chiara decisione in ordine alla vocazione funzionale dell’organo. Quanto alla legislazione, le incertezze circa il ruolo del Senato riformato sono testimoniate sia dall’inclusione, nell’elenco delle leggi bicamerali, di voci a basso (o dubbio) tasso di “regionalità” (se così ci si vuole esprimere), sia dall’esclusione da esso di materie che verosimilmente ne avrebbero richiesto l’intervento» (A. D’Atena, Luci ed ombre della riforma costituzionale Renzi-Boschi, Rivista AIC 2/2015). Manca infatti una logica coerente alla base delle inclusioni ed esclusioni operate, com’è ravvisabile dalla eterogeneità delle materie.

 

Il procedimento legislativo monocamerale

A norma dell’art. 70, 2° co., invece «le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati». La procedura ordinaria da seguirsi è prevista dal terzo comma, ed è così possibile distinguere le fasi della procedura di approvazione degli atti di legge:

  1. ogni disegno di legge (non relativo alle materie di cui all’art. 70, 1° co.) è presentato alla Camera dei deputati e, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale (art. 72, 2° co.);
  2. il disegno di legge approvato dalla Camera è trasmesso al Senato, che dispone di 10 giorni per decidere di esaminarlo su richiesta di un terzo dei propri componenti;

3a) se decide di esaminarlo, ha 30 giorni per farlo, e può deliberare proposte di modificazione del testo,  sulle quali la Camera si pronuncia in via definitiva;

3b) se il Senato non dispone di procedere all’esame oppure decorre inutilmente il termine di 10 giorni dalla trasmissione del disegno di legge, la legge può essere promulgata;

4)  quando la Camera si è pronunciata in via definitiva sugli emendamenti del Senato (approvandoli o respingendoli), la legge può essere promulgata.

 

La promulgazione avviene a cura del Presidente della Repubblica (art. 87, 5° co.), e ad essa segue la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, da cui decorre il termine di entrata in vigore della legge. Da quel momento la legge produrrà i suoi effetti.

 

Come si nota sin da subito, l’intervento del Senato è solo eventuale: quest’ultimo può infatti intervenire esclusivamente se delibera, entro 10 giorni dalla trasmissione del disegno di legge da parte della Camera, di esaminarlo, previa richiesta di un terzo dei suoi componenti. E dispone di 30 giorni per avanzare proposte di modifica del disegno di legge, su cui poi la Camera si pronuncia, potendo approvare o respingere gli emendamenti. Ma se il termine decorre inutilmente oppure il Senato delibera di non procedere all’esame, allora è sufficiente l’approvazione della Camera, e la legge è promulgata. Per quanto attiene alle deliberazioni tanto della Camera dei deputati quanto del Senato, trova applicazione la norma dell’art. 64, 4° co., secondo cui «le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti». Pertanto, la Camera si pronuncia in via definitiva sulle modifiche avanzate dal Senato a maggioranza semplice (cioè quella dei votanti), e con lo stesso criterio il Senato può deliberare le modifiche al testo.

 

Il rischio di un esautoramento del Senato sta proprio nella pronuncia definitiva della Camera: infatti, se la Camera in sede di approvazione definitiva adottasse degli emendamenti al testo (già trasmesso al Senato) anche tali da stravolgerne il contenuto, non essendo previsto dall’art. 70 un nuovo rinvio al Senato, la Camera medesima può disporre liberamente del testo facendone quello che vuole. Il Senato non avrebbe altra possibilità d’intervento. Non solo: essendo sufficiente la maggioranza semplice della Camera per approvare o respingere le proposte di modifica del Senato, basterebbe la sola maggioranza di Governo per porre nel nulla le esigenze/preoccupazioni manifestate dai rappresentanti regionali.

 

Ma il rischio è vicendevole: come il Senato potrebbe essere “ostaggio” della Camera, così la Camera potrebbe essere messa in difficoltà dal Senato. Non precisandosi su cosa debbano vertere le “proposte di modifica” (saranno emendamenti puntuali a singoli articoli? proposte di riformulazione del testo? richieste di integrazioni o di coordinamento? semplici pareri?), le conseguenze possono essere di una certa rilevanza: se si trattasse di emendamenti puntuali, la Camera potrebbe votare sì o no; se fossero proposte “vaghe”, andrebbero trasformate in emendamenti (ma da chi?), su cui poi la Camera dovrebbe deliberare. Sarà ancora compito dei regolamenti parlamentari dirimere i dubbi lasciati dalla riforma. Essendo, fra l’altro, ad essi demandata la disciplina delle modalità d’esame, da parte del Senato, dei disegni di legge trasmessi dalla Camera (art. 72, 6° co.).

 

Sono infine rinquadrabili nella categoria del procedimento monocamerale il procedimento attraverso cui trova attuazione la “clausola di supremazia” (contraddistinguentesi per l’obbligo del Senato di esaminare il disegno di legge, e per la possibilità della Camera di respingere le proposte di modificazione solo a maggioranza assoluta: art. 70, 4° co.), il procedimento di approvazione della legge di bilancio (per il quale si prevede il dimezzamento a 15 giorni del termine per le deliberazioni di modifica da parte del Senato: art. 70, 5° co.) e il procedimento di conversione di un decreto-legge (il decreto-legge viene presentato alla Camera, ed entro trenta giorni dalla presentazione è disposto l’esame, obbligatorio, del Senato; le proposte di modifica debbono essere deliberate entro 10 giorni dalla trasmissione al Senato del disegno di legge di conversione, che deve avvenire non oltre 40 giorni dalla presentazione del disegno di legge di conversione: art. 77, 6° co.).

 

Le incongruenze della “semplificazione”

 

A rigor di logica, di semplificazione nella nuova disciplina non può parlarsi. Infatti, se l’analitica definizione dei singoli procedimenti ha l’intento di non far sorgere dubbi su come essi si svolgono, e di dettare una precisa tempistica da rispettare, è evidente come nonostante l’intento di semplificazione si vada verso una complicazione delle procedure. Non a caso, un problema si pone riguardo a quale procedimento adottare. Una questione considerata di notevole importanza data la sua previsione in Costituzione: ovvero, a termini dell’art. 70, 6° co., «i Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti». Persino nella sua chiarezza, la norma presenta una grave lacuna, ossia quella di prevedere il caso della posizione eventualmente contraria di un Presidente. In questa circostanza il dissenso di quest’ultimo potrebbe operare come veto, quindi sarebbe atto a paralizzare l’instaurarsi del procedimento. Se però, in assenza dell’intesa, la Camera dei deputati approvasse il testo di legge senza trasmetterlo al Senato, e il Presidente della Repubblica lo promulgasse, allora sarebbe senz’altro possibile per il Senato sollevare un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato dinnanzi alla Corte Costituzionale.

 

Il dettaglio con cui sono definiti i procedimenti potrebbe inoltre avere anche delle ripercussioni negative, perché potrebbe essere causa di crescenti incostituzionalità degli atti legislativi. In altri termini, sarebbe sufficiente il mancato rispetto di un termine, o di una singola fase della procedimento, per come previsto in Costituzione, per causarne la illegittimità costituzionale. Altro che semplificazione quindi! Starà in ogni caso alla Corte Costituzionale definire dei criteri di riferimento per districarsi in queste eventualità. Del procedimento prescritto non può, tuttavia, che rimanere l’immagine di un «bicameralismo barocco, la cui efficienza è tutta da verificare» (E. Cheli, La riforma costituzionale all’esame del Senato, http://www.osservatoriosullefonti.it fasc.1/2015).

 

Il voto “a data certa”

 

Una delle maggiori novità introdotte dalla riforma è costituita dalla procedura del c.d. “voto a data certa”. Quest’ultima è prevista dall’art. 72, 7° co., il quale dispone che, esclusi i casi per cui è previsto un procedimento bicamerale e in ogni caso le leggi elettorali, quelle di ratifica dei trattati internazionali, quelle di concessione di amnistia ed indulto e di bilancio, «il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione». In tutti questi casi, i termini previsti dal comma terzo dell’art. 70, per il procedimento monocamerale, sono dimezzati (il Senato disporrà rispettivamente di 5 giorni, anziché 10, per decidere di esaminare il testo di legge; 15, anziché 30, per avanzare proposte di modifica). Rimanendo sempre valido il termine di settanta giorni dalla deliberazione con cui la Camera decide di accogliere o meno la richiesta del Governo, entro il quale la procedura deve concludersi: quindi entro 70 giorni dall’accoglimento della richiesta, la Camera deve pronunciarsi sugli eventuali emendamenti avanzati dal Senato. Il termine conclusivo può essere differito di 15 giorni, quando per complessità del testo l’esame in Commissione vada a rilento.

 

La disposizione pone alcuni profili di problematicità:

  • innanzitutto, corredandola alla previsione dei decreti-legge (art. 77), si ha un notevole ampliamento della potestà legislativa del Governo, che potrà alternativamente ricorrere a tre strumenti normativi: la presentazione di un disegno di legge governativo, un decreto-legge o il voto a data certa. Questo espande notevolmente il campo di manovra del Governo nell’esercizio della potestà legislativa a scapito del Parlamento che, già attualmente monopolizzato dalla legislazione di fonte governativa, potrà subire un’ulteriore paralisi del suo potere in materia;
  • i tempi particolarmente concitati previsti dalla norma potrebbero rendere eccessivamente difficile per il Senato esercitare le sue competenze, per cui o dovrà rinunciare ad attivarsi oppure non si porrà nemmeno il problema;
  • il fatto che si tratti di «un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo», ma la cui richiesta di esame è rimessa alla scelta della Camera dei deputati, rende ancora più stretto il legame fra Governo e Camera. Infatti, non solo è da escludersi che la valutazione della “essenzialità” possa essere di competenza della Camera (rimanendo piuttosto nella piena discrezionalità del Governo), ma soprattutto, dato il rapporto fiduciario, non è chiaro se la mancata approvazione della Camera debba determinare le dimissioni del Governo. Se il disegno di legge è per quest’ultimo essenziale, è evidente come un suo respingimento priverebbe quest’ultimo della legittimazione di cui gode dinnanzi alla Camera “politica”. Pertanto è improbabile che il presente strumento operi una stabilizzazione del Governo: a parte quando esso disponga di una solida maggioranza alla Camera. Cosa, questa, legata alla legge elettorale di volta in volta in vigore.

 

Leggi i precedenti: Una riforma possibile?Senato, che caos! – Le funzioniSenato, che caos! – La composizioneCamera pigliatutto e Fra garanzia e democrazia diretta, solo propaganda

 

Leggi il successivo:

di LUCA ZAMMITO

Studente di Giurisprudenza, Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico, presso l’Università degli Studi “Roma Tre”

 

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