Bruxelles e gli interrogativi sul futuro dell’Europa

In questi giorni, spesso anche per gli addetti ai lavori, è difficile avere un quadro esauriente della situazione scaturita dai recenti attentati nella capitale belga. Eppure, se si vuole rimanere uomini e cittadini non è ammissibile fare a meno di pensare e speculare, cercando di essere il più possibile razionali. Abbiamo provato a farlo, e le conclusioni a cui siamo arrivati, sembrano essere in linea con quanto scritto dopo le stragi a Parigi dello scorso Novembre. Riassumendo: 1) La finalità ultima degli attentati terroristici in Europa sembra essere quella di intimidire i governi europei, dissuadendoli dall’entrare in guerra contro lo Stato Islamico. Il numero degli attentati parrebbe essere indicativo: le vittime sono abbastanza da provocare il panico, ma non così tante da trasformare il panico in rabbia e indurre i leader europei, per non perdere la poltrona, a inviare le proprie truppe a supporto della coalizione anti-Isis.

2) Se si considera chi sono i nemici dell’Europa, non solo Daesh ma le varie potenze dall’indole più o meno predatoria che popolano il mondo del nostro secolo, l’attuazione delle proposte pacifiste di disimpegno totale e di disarmo potrebbe rivelarsi tanto disastrosa quanto mettere in pratica certi deliri guerrafondai che ancora si odono. Sarebbe il coronamento di ogni sogno poter vedere, un giorno, quel mondo senz’armi verso cui Papa Francesco ci ha esortato a dirigerci, con parole commoventi. Però le armi sono state create perché esistono le guerre, e non il contrario. Dunque, per realizzare quel sogno, è necessario eliminare le guerre, e le guerre esistono a causa della pressione esercitata su più livelli da una moltitudine di fattori sociali, politici, economici e culturali. È su di essi che chi vuole essere parte del cambiamento deve agire. È su di essi che l’Europa e gli Europei devono agire.

3) Lo Stato che ama chiamarsi Islamico non è una potenza in grado di mettere in atto la distruzione apocalittica che minaccia. In seria difficoltà su tutti i fronti, la sua sopravvivenza dipende da come i veri protagonisti nel teatro mediorientale tenteranno di manovrarlo per i propri fini. Di conseguenza è ragionevole supporre che le sue cellule europee non tireranno troppo la corda insanguinata degli attentati, per non innescare le reazioni che porterebbero alla loro distruzione. E se qualcuno volesse obbiettare che i jihadisti considerano il martirio la loro meta suprema, è sufficiente controbattere che i capi tirano le fila dell’Isis hanno per il potere la stessa considerazione che dichiarano di avere per il martirio. Adesso hanno il potere, e le loro azioni saranno con ogni probabilità volte ad aumentarlo, non a perderlo.

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L’uccisione di oltre cento persone fra Parigi e Bruxelles, negli ultimi mesi, è un incubo da evitare con ogni mezzo, ma non potrà certo mettere in ginocchio un continente popolato da mezzo miliardo di persone. Tuttavia, quello che non possono fare direttamente i nostri nemici potrebbe essere causato indirettamente dalla distruttività delle nostre reazioni. Ad esempio quelle di cui parlano alcuni soggetti politici, sfruttando l’orrore del momento. Ammiriamo la loro impeccabile logicità: “Gli attentati sono avvenuti nell’Unione Europea, quindi usciamo dall’Unione Europea!”. È evidente che quando non ci sarà più l’Unione Europea gli attentatori si daranno alla fuga terrorizzati. “I terroristi sono entrati attraverso le frontiere, quindi chiudiamo le frontiere!” I terroristi che sono già all’interno dei nostri territori potranno così continuare a reclutare nuovi adepti fra le comunità islamiche già all’interno dei confini nazionali, visto anche che, non essendoci più l’Unione, i servizi di sicurezza europei continueranno a non collaborare fra di loro, con i risultati che abbiamo visto. Sarà utile ricordare a questo proposito che Salah Abdeslam e gli altri attentatori recentemente assurti alle prime pagine dei giornali sono tutti nati in Europa. Ghettizzare le comunità islamiche europee non è una soluzione, non solo perché sarebbe leggermente nazista, ma anche perché parte delle suddette comunità si rivela sensibile alla predicazione jihadista proprio per la non integrazione con la nostra comunità. Accentuando l’esclusione aumenteremmo il numero degli attentatori.

Quale potrebbe essere la soluzione? Sarebbe così assurdo se fosse esattamente l’opposto di quanto propongono i soggetti politici che propugnano certe opinioni? L’Europa si è unita per la prima volta dopo i milioni di caduti e le catastrofiche devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Non vanifichiamo tutto perché i morti nelle stragi di Parigi e Bruxelles sono sfruttati da ambiziosi alla ricerca del consenso. Nella situazione attuale chiusure e divisioni, da un punto di vista sia ideologico che puramente tattico, sono altrettante tombe dove marciscono e imputridiscono la forza e i valori che sono il battito cardiaco dell’Unione Europea. Dobbiamo esaltare la nostra forza e i nostri ideali, non solo per sconfiggere il jihadismo, ma più semplicemente per sopravvivere di fronte alle sfide che questo secolo ci sta ponendo di fronte, e dobbiamo farlo non solo in linea di principio: la nostra politica deve essere coesa, il nostro apparato di sicurezza temibile, la nostra cultura all’avanguardia, la nostra società deve rinnovarsi da cima a fondo per molti aspetti, perché ad oggi gli stati avanzati sono parassiti inquinanti che succhiano risorse e stabilità a mezzo mondo, spesso senza garantire la felicità e il benessere dei loro cittadini. Nessuno degli Stati europei, da solo, può avere le risorse o la volontà per realizzare tutto questo: dobbiamo trarre nuove energie da noi stessi, e l’uno dall’altro. Non serve un’altra guerra mondiale per capirlo.

ALESSANDRO VIGEZZI

 

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