Il fumetto italiano non è morto

ImmagineEccoci quindi qui a parlare di fumetto, e in particolare di quello italiano. Secondo alcuni, esso ha ormai iniziato un declino che lo sta lentamente portando alla tomba, complice anche la “mala amministrazione” di una delle case editrici fumettistiche più importanti in Italia, la Sergio Bonelli Editore (da adesso in poi, per comodità, SBE). Prima di analizzare la situazione a noi contemporanea, però, diamo uno sguardo alla storia di questo medium nel nostro paese.

La nascita del fumetto italiano risale al 27 dicembre 1908, data in cui esce il primo numero del Corriere dei Piccoli,un supplemento domenicale illustrato del Corriere sella Sera. Lo stile di questo piccolo albo è tuttavia ancora ben lontano da quello moderno, basti pensare al fatto che al suo interno non troviamo balloons: le vicende sono infatti narrate da strofe in ottonari a rima baciata poste al di sotto delle vignette; questo perché la mentalità dell’epoca ancora non permetteva di concepire libri per l’infanzia (così erano ritenuti i fumetti) destinati al puro intrattenimento, motivo per cui, tra le altre cose, le storie che venivano raccontate avevano sempre valenza educativa.

Nel primo Dopoguerra, e con l’avvento del Fascismo, il Corrierino diventò uno strumento di propaganda, e subì la concorrenza di altre testate come Il Giornalino, Jumbo (primo settimanale a fumetti, pubblicato per la prima volta il 17 dicembre 1932) e Il Vittorioso (giornale di orientamento cattolico che continuerà ad uscire fino al 1966). Gli anniImmagine ’30 segnano il debutto italiano di Topolino, edito da Nerbini, e gli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale sanciscono l’entrata in scena di molti iconici personaggi, fra i quali Tex Willer (di Gianluigi Bonelli) e Cocco Bill (di Benito Jacovitti… ma la specificazione è superflua, giusto?).

E’ negli Sessanta, però, che si scatena una vera e propria rivoluzione in ambito fumettistico: in questi anni il medium si spoglia del “buonismo” di cui era tradizionalmente ricoperto, e a diventare protagonisti sono i Cattivi: è il caso, ad esempio, di Diabolik, famosissimo personaggio creato dal genio “perverso” delle sorelle Giussani nel 1962, a cui Bonvi fa prontamente il verso con il suo Kattivik. Da qui in poi è tutto in discesa: la censura si fa sempre meno stringente, e questo lascia la possibilità di sbizzarrirsi con ogni tipo di fumetto, anche di genere erotico, arrivando quindi fino ai nostri giorni.

I più svegli fra di voi si saranno certamente accorti che, in tutto questo discorso, non ho nominato un caposaldo dell’editoria nostrana come Dylan Dog; l’ho fatto apposta, quindi abbassate quei ditini inquisitori. Infatti inizierò a rispondere alla domanda da cui siamo partiti proprio portando l’esempio del nostro Indagatore dell’Incubo. Dylan Dog è probabilmente il personaggio più famoso e amato non solo della SBE, ma di tutto il panorama italiano, un personaggio la cui testata ha raggiunto picchi di vendita paragonabili a quelli di Tex e Topolino. Generato, nel 1986, da Tiziano Sclavi, forse uno dei maggiori sceneggiatori italiani contemporanei, offriva qualcosa che tutti gli altri inossidabili eroi bonelliani, da Zagor a Martin Mystère a Mister No, non potevano offrire: un eroe che non solo non è un eroe, ma non è nemmeno poi così inossidabile: le avventure dell’investigatore erano infatti tutte molto legate agli Immagineanni ’80, in cui le sue prime storie venivano scritte. E’ questo il motivo per cui molti, oggi, riferendosi a DD, dicono che il “figlio” di Sclavi stia morendo: il personaggio funziona fino a quando rimane legato al tempo in cui vive, e negli ultimi anni il personaggio non sembra appartenere al nostro millennio.

A questo problema, però, sta cercando di rimediare lo sceneggiatore Roberto Recchioni che, con un ciclo di storie lungo un anno, intende riportare fra noi il redivivo Indagatore. E non mi preoccuperei troppo per il fatto che questo ciclo è iniziato – per usare un eufemismo ed evitare di essere volgari – “un po’ in sordina”: anche i primi cinque numeri di Orfani – “space opera” a fumetti dello stesso Recchioni, nonché prima miniserie SBE in assoluto ad uscire interamente a colori –  erano partiti “un po’ in sordina” (sempre per quel discorso sul non essere volgari), ma in compenso gli altri sette numeri sono stati davvero parecchio “fighi”.

Per quanto riguarda gli altri eroi Bonelli, le accuse di mancata innovazione sono spesso superflue: come già detto la stragrande maggioranza di loro non necessita di essere innovata, perché essi impersonano archetipi che funzionano oggi come funzionavano trenta, quaranta anni fa. E per chi avesse voglia di scoprire una produzione Bonelli un po’ più “atipica” e cattiva, il mio consiglio è quello di recuperare la miniserie Lukas (ideata da Michele Medda e disegnata da vari autori, fra i quali spicca Michele Benevento, illustratore del primo numero), di cui si è appena conclusa la prima delle due stagioni previste.

ImmagineParlando invece di fumetti non SBE, direi che non ci si può lamentare: la Panini Comics pubblica diverse testate umoristiche di ottima qualità, fra le quali spicca (e, anche qui, quasi mi sembra superfluo ricordarlo) Rat-Man, la creatura di quel genio di Leo Ortolani, che è diventato – grazie proprio a questo suo personaggio – uno dei miei fumettisti preferiti in assoluto insieme a gente del calibro di Alan Moore e Frank Miller. Senza parlare poi di tutti quegli “astri nascenti” resi famosi dalla rete, che, per una volta, fa venire a galla dei veri e propri talenti, e non soltanto fenomeni da baraccone, dei quali autori come Sio e, soprattutto, Zerocalcare sono solo la punta dell’iceberg. A tutti quelli che non vedono futuro nelle nostre produzioni a fumetti, suggerisco quindi di avere pazienza: ci troviamo infatti, a mio avviso, in un periodo di passaggio, e vedrete che, fra un paio d’anni, tutto andrà meglio.

 DAVIDE RUBINETTI

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