Mondo di Tenebra

La terra imbiancata restava compatta sotto i suoi passi, quasi non avesse avuto peso. Qua e là, sparpagliati fra l’abete troppo verde e la casa sempre chiusa, c’erano i fiocchi di neve. Troppo grandi per essere veri, troppo caldi per essere neve. Da qualche parte doveva esserci anche un pupazzo dello stesso falso materiale, ma non ricordava dove.

In realtà non vedeva niente di quanto avrebbe potuto descrivere alla perfezione. Solo il buio gli faceva compagnia, aveva imparato ad evitare il confine di vetro. Oramai sapeva quanti passi poteva compiere prima di incappare nelle sbarre della sua prigione. I giorni passavano e non si accorgeva di nulla, non un sole, una luna o una stella. Una volta di tenebra e vetro. Non avrebbe saputo dire se si annoiasse o meno, credeva in effetti di non essere che l’ombra di quello che era un tempo. Sapeva di essere meno di una memoria ma più d’una dimenticanza. Sapeva di essere un sentimento impigliato appena oltre l’orizzonte degli eventi.

Rimpianto.

D’improvviso qualcosa di lui sfiorò la gelida cupola e un grande dolore l’invase. Prima che l’ombra si richiudesse nuovamente sul silenzio, una luce calò dall’alto. E dopo molti anni tornò a vedere.

“Amore, guarda! Che carina, non l’avevo mai vista!”. La donna stringeva fra le mani una piccola palla di neve la cui superficie impolverata emerse da uno dei molti scatoloni disseminati sulla moquette del salotto, come un relitto che riemerga dagli abissi.

L’uomo si voltò e non comprese subito, ma tornò alla realtà mentre lei puliva con la manica il vetro, dicendo:” E’ deliziosa sai? Non me l’hai mai fatta vedere. Guarda quel pupazzo di neve! Povero, sembra solo.” Le si avvicinò.

“Che ne dici, la mettiamo sul camino con gli altri orsetti? Vicino all’albero… sì, mi sembra ottimo.” Poi guardò attentamente suo marito:” Cos’hai?”

“Niente, è solo… no, credo non si possa fare, è meglio di no.” La prese dalle mani della moglie che taceva perplessa.

Se la rigirò fra le dita, guardò il pupazzo. Una fitta.

“Vedi, questa è molto vecchia, risale alla mia giovinezza. Non vorrei si rovinasse. Preferisco riporla….è… era un regalo… qualcosa di molti anni fa.” Si chinò e l’appoggiò in un angolino sul fondo della scatola. “Qualcosa… di passato” la fissò un’ultima volta. Richiuse la scatola.

“Un ricordo.”

ANDREA MASSIMI

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