L’evoluzione della soggettiva nella storia del cinema

“Un’inquadratura si definisce soggettiva quando mostra ciò che un personaggio vede dal suo esatto punto di vista”

Jean Epstein, regista sperimentale noto in particolare per il suo “La caduta della casa Usher”, usò per la prima volta questo termine, in uno scritto in cui immaginava una scena di ballo ripresa dal punto di vista dei ballerini, volendo addirittura creare dei brevi spazi neri all’interno delle inquadrature per simulare la chiusura delle palpebre (artificio usato successivamente da Gaspar Noè in “Enter the Void”). La soggettiva comparve per la prima volta in un cortometraggio del 1900: grazie a George Smith, uno dei massimi registi della importantissima Scuola di Brighton, in “Grandma’s reading glass”. Nel brevissimo cortometraggio, dalla durata di circa tre minuti, vengono mostrati una nonna e suo nipote. Queste inquadrature sono alternate con soggettive mostrate dal punto di vista del bambino, il quale si diletta nell’osservare con una lente d’ingrandimento tutti gli oggetti presenti nella stanza: un canarino in gabbia, un gatto, un giornale, l’occhio della nonna. Le soggettive presentano una particolarità: il mascherino che delimita le inquadrature dello sguardo del bambino, usato per simulare la lente d’ingrandimento.

Come si può facilmente intuire, la soggettiva non aveva le stesse funzioni che ha attualmente, infatti Smith ne usufruiva in particolar modo per amplificare la visuale dello spettatore, al quale era così possibile avere un proprio punto di vista nell’ambiente in cui si svolge l’azione. Tuttavia si può senza dubbio affermare che in “Grandma’s reading glass”, la soggettiva, per la prima volta nella storia del Cinema,si rivela come un mezzo efficace per far immedesimare lo spettatore nella scena, allontanandosi dall’idea di essa come tecnica di sperimentazione elevata e riservata a pochi, propria di Epstein.  Lo stesso stampo avranno seguenti pellicole come “Un coup d’œil par étage” (1904), “A search for evidence” (1903) e “The inquisitive boots” (1905), che hanno tutte in comune il mascherino a forma di buco della serratura, attraverso cui un personaggio spia ciò che succede dentro varie stanze, in modo analogo alla lente d’ingrandimento del prodotto di Smith.

Immagine viola 3Dal 1906 al 1915 si assistette a una svolta da un punto di vista concettuale: molti
cortometraggi dimostrarono il passaggio della soggettiva da ampliamento della visione dello spettatore a vera e propria inquadratura di un personaggio studiata da un punto di vista stilistico e fondamentale per comprendere le dinamiche del racconto. In “Don Juan heiratet” (1909) di Heinrich Bolten-Baeckers, ad esempio, è presente un uomo che, dopo essere stato rinchiuso in una stanza da tre donne, inscena un suicidio come stratagemma per fuggire. Le inquadrature iniziali mostrano l’uomo che architetta il suo piano e finge di impiccarsi, poi una seconda serie di riprese si concentrano ulteriormente sull’impiccato, ma queste sono in soggettiva e dal punto di vista delle donne che lo spiano dal buco della serratura. La visione del finto morto dallo spioncino è stata inserita per    scopi    puramente    inerenti    alla    trama    ed estremamente funzionali. È anche fondamentale ricordare “Vampyr – Il Vampiro” pellicola del 1932 diretta da Carl Theodor Dreyer, maestro indiscusso del cinema muto che manifesta la sua intera abilità registica con il precedente “La passione di Giovanna d’Arco”.  “Vampyr” presenta lunghe soggettive del personaggio principale, il vampiro, che attraverso la bara osserva il mondo circostante e i movimenti dei personaggi, con un’atmosfera cupa e angosciante, in perfetta armonia con il soggetto rappresentato. È anche doveroso ricordare “Film” cortometraggio del 1964 diretto da Alan Schneider e sceneggiato da Samuel Beckett. La pellicola, di 22 minuti, è quasi completamente in soggettiva, poiché, tranne che nel finale, viene mostrato solo l’occhio di un personaggio non identificato e il suo sguardo nella vicenda. In questo caso la soggettiva assume un ruolo di primaria importanza: far capire allo spettatore di vedere il film dal punto di vista di una persona, senza mostrare il suddetto individuo.

Un altro fondamentale regista che diede un grandissimo contributo all’evoluzione della soggettiva fu Alfred Hitchcock, il più grande regista britannico di tutti i tempi. Nel suo capolavoro “Vertigo” (1958), il regista utilizza spesso questa inquadratura per mostrarci lo sguardo del protagonista, il poliziotto John Ferguson, che soffre di vertigini. Il regista ne fa uso in particolar modo quando Ferguson si trova in situazioni di difficoltà, nelle quali le sue vertigini hanno il sopravvento. Ad esempio quando l’uomo si regge a stento a una tettoia e guarda il terreno, terrorizzato, il suo punto di vista viene mostrato attraverso una soggettiva, che mira a far comprendere allo spettatore lo stato di confusione e angoscia provato dal protagonista (iconica è anche la soggettiva nel finale, nella quale addirittura le scale del palazzo si sovrappongono in modo surreale).

Immagine viola IVHitchcock fa uso di soggettive anche in altre pellicole, come “Spellbound” (1945), “Psycho” (1960), “The birds” (1963), “Blackmail” (1929) ma soprattutto in “Rear Window” (1954). Quest’ultimo meraviglioso film, come lo stesso regista affermò, non è altro che “un gioco di azione-reazione”. Infatti per tutta la sua durata viene mostrato attraverso continue soggettive lo sguardo del protagonista, il fotografo Jeffries costretto  a  stare  su  una  sedia a rotelle a causa di un incidente, attraverso un cannocchiale. Jeffries trascorre le sue giornate osservando, mediante questo strumento, i suoi vicini, che abitano nel palazzo visibile dalla sua finestra. Lo spettatore seguirà con totale dedizione e attenzione il suo sguardo, abbandonandosi sempre maggiormente alle sue ossessioni, immedesimandosi con lo stesso protagonista, fino a non poterne più fare a meno, grazie a una crescente tensione e suspense. Nel 1958 con “L’esperimento del dottor K.”, film che poi godrà di un remake di Cronenberg, il celeberrimo “La mosca”, il regista tedesco Kurt Neumann realizzò la prima soggettiva zoomorfa della Storia del Cinema. Viene infatti mostrato il punto di vista di un uomo trasformato in una mosca, e l’inquadratura trasmette tutto l’orrore e l’inquietudine di ciò.

C’è inoltre un ulteriore utilizzo della soggettiva, che viene così posta all’inizio di un film, per oscurare il volto del personaggio e non renderlo visibile allo spettatore, e infine rivelarne l’identità attraverso il tema del doppio. Ciò avviene ad esempio ne “Il dottor Jekyll” (1931, Rouben Mamoulian), “Il romanzo di Mildred” (1945, Michael Curtiz) e “Halloween – La notte delle streghe” (1978, John Carpenter).

Il primo film interamente in soggettiva fu “Una donna nel lago”, film del 1947 diretto da Robert Montgomery, noto regista statunitense. La pellicole narra il caso seguito dall’’investigatore privato Philip Marlowe, senza mai però mostrarlo. Questa scelta stilistica disorientò molto gli spettatori, distanti da questo tipo di cinema così diverso e particolare, e sicuramente fu  questo  uno dei motivi dell’insuccesso della pellicola, che guadagnò molto poco al botteghino. Successivamente, credendo fermamente in un cinema capace di creare esperienze emotive negli animi degli spettatori, i maggiori rappresentati delle avanguardie francesi, in particolare dell’Impressionismo, lavorarono sul concetto di soggettività del personaggio, dando un ruolo fondamentale alla soggettiva. I teorici
impressionisti del primo dopoguerra si distaccarono subito dal teatro, considerando il cinema un’arte più personale e empatica: videro nello schermo la sintesi perfetta di tutte le arti. Da subito tentarono di dare nuova espressività agli oggetti che riprendevano e soprattutto alle persone. Tipiche di questo periodo sono le soggettive sfocate o caratterizzate da movimenti oscillanti, attribuite spesso a personaggi miopi, ubriachi o molto tormentati. In “El Dorado” di Marcel L’Herbier, ad esempio, la protagonista è una donna che si esibisce in un cabaret, ma alle immagini che la vedono a lavoro si alternano scene raffiguranti il figlio malato a casa. Il suo turbamento, poi, si percepisce, oltre che dal forte impatto delle inquadrature, anche dall’offuscamento di quelle che la riguardano. Tuttavia l’idea di realizzare un film interamente in soggettiva non terminò con “Una donna nel lago”, ma fu ripresa da molti registi contemporanei. Ad esempio l’immenso Aleksandr Sokurov, regista che si ispira molto alla poetica e alla filosofia cinematografica di Andrej Tarkovskij, di cui fu molto amico. Sokurov realizzò nel 2002 il suo film più riuscito, un capolavoro del cinema e una meravigliosa dichiarazione d’amore nei confrontiImmagine viola 5 dell’arte e della bellezza: “Arca Russa”. “Arca Russa” narra del sogno di un personaggio a noi sconosciuto, di cui sentiamo continuamente la voce fuori campo, all’ interno del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, al tempo degli Zar. Sokurov utilizza un unico piano sequenza interamente in soggettiva: le riprese sono lente, suggestive, perfette per far in modo che lo spettatore contempli la bellezza che lo circonda.

VIOLA DE BLASIO

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