Il Rinascimento shakespeariano delle serie tv

È innegabile che le serie tv abbiano fatto numerosi passi avanti da “Dallas” e affini, ma cos’è veramente cambiato, quale struttura è stata rivoluzionata, chi è stato il primo fautore di questo mutamento radicale? I primi progressi sono stati fatti all’inizio degli anni 2000, con serie come The Wire e Lost, che hanno cercato di dare un nuovo volto a questi prodotti dell’”intrattenimento televisivo”, spesso giustamente snobbati dai cinefili e dal pubblico più maturo, che in qualche modo li relegava a miseri e scadenti prodotti finalizzati a un audience dai “dubbi gusti cinematografici”, non rendendosi conto che era proprio questa l’origine (o almeno una delle origini) dell’inconsistenza dei prodotti seriali. David Simon (sceneggiatore e ideatore di The Wire), J.J. Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber (ideatori di Lost), consapevoli di questo degrado lancinante e in continua espansione, con le loro idee, apprezzabili o meno, hanno comunque dato una forte scossa al Medioevo televisivo, proponendo sceneggiature più mature e artistiche, personaggi realistici e una narrazione di spessore, arricchita da elementi complessi come flashback, flashforward, soliloqui, e, in generale, sorrette da un’impalcatura più vicina alla sfera cinematografica (mantenendo chiaramente delle differenze fondamentali). Possiamo definirlo una sorta di Umanesimo delle serie tv, dove la figura umana torna ad  essere  al centro dell’attenzione delle opere ed è (quasi) completamente epurata dagli archetipi dei cosiddetti “serial” anni ‘80/’90. Tuttavia siamo di fronte ad opere che, per quanto possano essere definite rivoluzionarie, non sono oggettivamente esenti da pecche (specialmente Lost), sia tecniche che tematiche, la più importante delle quali rimane una sorta di “complesso di inferiorità” nei confronti del cinema, riscontrabile nei lavori di regia anche molto approssimativi e nei dialoghi a volte banali e “riempitivi”; tutti elementi, questi, che lasciano intravedere come gli ideatori si siano sempre approcciati alle loro creature come opere di serie B, surrogati di un’ “Arte più grande”. Tuttavia anche in quest’ambito, come nella Storia dell’Arte, verso la fine degli anni ’10 del XXI secolo, si affacciano sul mondo seriale degli sceneggiatori rivoluzionari, che imposteranno dei canoni fondamentali da seguire per tutte le opere successive. Il padre di questo Rinascimento è riscontrabile nella figura di Vince Gilligan, che nel 2008, si affaccia sul mercato del piccolo schermo con la sua definitiva, straordinaria, potentissima opera: Breaking Bad. Ora, premettendo che ovviamente il gusto personale non può non influenzare completamente chi scrive, le motivazioni che addurrò a questa sentenza sono del tutto oggettive.

bb2Qual è la novità portata da Breaking Bad? Andando al di là della trama, che se non
conoscete è probabilmente perché negli ultimi 5 anni avete vissuto in un monastero tibetano, il punto di forza della serie è l’evoluzione del protagonista, evoluzione che si configura in tutto e per tutto come una crescita shakespeariana vera e propria, una crescita che continua incessantemente e che man mano che la trama si svolge rivela particolari più importanti del personaggio, che si apre sempre a diverse forme di lettura e, episodio dopo episodio, lascia spazio a riflessioni sempre più importanti sulla stessa natura umana. La narrazione di Breaking Bad è una perfetta navigazione sul profondo abisso dell’oscurità dell’anima, è il racconto dell’anamnesi definitiva dell’uomo moderno, che, slegato dai rancorosi e arrugginiti vincoli sociali, si riscopre primievamente malvagio, e l’odio primordiale di Walter si contrappone, in un perfetto contrasto shakespeariano, all’ambiente sociale intorno a lui, contrapposizione marcata da una pesantissima vena di black humor esaltata dalla grandissima e folle colonna sonora e dalla perfetta e sublime regia. Regia che non ha nulla da invidiare a un grande film e soprattutto che potrebbe insegnare moltissimo alla maggior parte dei blockbuster hollywoodiani e non, regia che si sofferma continuamente sui più minuti particolari e che, durante l’arco delle 5 stagioni, campo dopo campo, con preziose e perfette pennellate contribuisce a dipingere il quadro pensato da Gilligan, l’immagine più limpida (e oscura) possibile dell’uomo moderno. Si tratta di una creatura compiuta, con un cuore pulsante, viva, il cui respiro non si perde mai, si affievolisce e si intensifica, ma questo è ovvio, non fa altro che ribadire la sua vitalità, la sua vera essenza. E infatti, dopo BB, tutti i successivi creatori hanno dovuto fare i conti con la sua eredità: da Fargo a True Detective, da Vynil a Game Of Thrones. Qui si va al di là del gusto e delle preferenze, si tratta di un’opera madre, divenuta un vero e proprio standard di qualità. Non è stata l’unica, questo è indubbiamente vero, avrei potuto citare I Soprano, Boardwalk Empire, Black Mirror etc, ma indubbiamente il “fenomeno Breaking Bad”, la risonanza mondiale che ha avuto ha contribuito a migliorare enormemente il panorama delle serie tv. E se oggi noi abbiamo tutte queste grandi opere, se perfino la Marvel riesce a sfornare serie quantomeno decenti, lo dobbiamo a Breaking Bad e a quel genio di Vince Gilligan. All hail the king.

JACOPO SORU

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