Il cantico del cavaliere rosso e dello sole nero
Perduto. Nel tempio dell’artificiosità
Saluto il riflesso di me stesso
Abbattuto su un vetro poco spesso
Penetrato in mille falsità.
Dalla vista ingrigita. Giornata fallita
Un luccichio lagrimoso, riflesso del lampione
Ubriaco ed errabondo
Ciondolante e distratto
Aria, vecchia ansimante
Dal viso giovenil e vivificante
Si spegne nella bocca grigia ma composta
Porta di dolor messaggio
Lontano ed appartato
Quanto sporco e puzzo assaggio
Di questo scuro terren asfaltato
Tra le urla della folla
Tra gli sguardi tira e’ molla
Un Gran Rosso infuoca il grigio
Al cui padre Grattaciel è ligio
C’è già un Cavaliere stanco
Senza vesti, cibo manco
Adagiato sul terreno
Grida e pensa “Perché a me meno?”
“Sono figlio del Dio Santo
Per il soldo non mi ammanto
Perché questa mia distanza
Dove è la fratellanza?
Questa Sorte mi ha colpito, questa
Vita mi ha ferito, quello Sole
Se n’è andato, questa vita mi ha fregato!
Questa sorella non mi illumina, la sua
Freschezza è secondaria
La luce assurda e secondaria
Del nero spilungo mi abomina
Sorella acqua tra poco mi costa
Per pagar il fortunato
Fratello sole se n’è andato
Come prima già accennato
Che gli importa a quel bastardo
Dopo aver poco riscaldato
La paga ha preso, infingardo
E contento se n’è andato
Non vorrei frate foco
Chiamar in codesto loco
Irascibile e scontroso
A dar calor riottoso
Allor mio caro Signore
Troppo alto e tracotante
Il bestemmiar pel mio onore
Non osare dir che sia orrore
Per non parlar di frate umano
Proprio tale, bugiardo e vano
Ti trascura se a lui inutil
Nella diffidenza infinita e futil”
Basta mondo! Basta Dio!
Tutto nero è qua ‘l mondo
Ma che cosa sono Io
Tra la folla morta e io
Quale vista, quale occhio
Per togliermi il malocchio
Di questa vita, già, da amare
Ma sol nel profondo del mare!
Voglio vederci chiaro, innalzarmi
Con la vista di Calcante
Vederti senza armi
E tornare più sapiente.
OMICRON