The White Duke leaves us a Blackstar

Il 10 gennaio 2016 si è spento a New York David Bowie, artista rivoluzionario e controverso, dal fascino senza tempo

David Robert Jones, meglio noto come David Bowie, lo abbiamo conosciuto come artista a tutto tondo. Bowie è stato infatti non solo un’icona della musica, rivoluzionandola in vari modi, ma anche un attore e un esempio di moda e stile. Almeno oggi viene ricordato così. Tuttavia, all’uscita del suo ultimo album “Blackstar”, molti lo hanno criticato dicendo che da una parte non poteva far suonare musica rock a dei jazzisti contemporanei (guidati dal sassofonista Donny McCaslin), dall’altra che l’album non portava niente di nuovo sul piano musicale. A differenza di altri mostri sacri come Bruce Springsteen, Bob Dylan, Paul McCartney che possono permettersi di pubblicare album di inediti che ricordano e citano i propri successi, Bowie è sempre stato attaccato quando le sue nuove canzoni non rispettavano le aspettative di estrema innovazione, come quella che portò a tutta la musica negli anni ‘70 con la “Trilogia Berlinese”.

Successivamente alla morte del Duca Bianco, però, le opinioni riguardo all’album sono cambiate, convincendo ancora di più quei sostenitori di Bowie che già avevano apprezzato la sua nuova opera, e modificando le idee di chi invece lo aveva criticato. Senza dubbio, se ora ascoltiamo l’album in funzione della sua morte, lo paragoniamo a una sorta di “testamento musicale”. Non possiamo che rimanere stupiti ed esaltati per la genialità di un artista, che riesce a sorprendere proprio quando lo show non potrà più andare avanti.

Iniziando dunque ad analizzare quelle che sono le tracce di questo nuovo LP, dobbiamo soffermarci sulla canzone di apertura Blackstar, omonima al titolo dell’album, dalla durata di ben dieci minuti. Questa piccola suite è caratterizzata da uno stile particolarmente prog-rock, il quale fa sì che la melodia e la musica si evolvano, mantenendo sempre un certo tocco “dark”, di sofferenza e di mistero. Il ritmo sincopato e sempre incalzante aiuta a creare questa atmosfera vagamente macabra in cui viene anticipata un’esecuzione che, tra l’altro, ha dato luogo a delle speculazioni. Infatti si credeva potesse riferirsi all’ISIS, tuttavia questa interpretazione è stata smentita immediatamente, anche se la videoclip girata dal regista Johan Renck vedeva un Bowie protagonista nelle vesti di un prigioniero. Un’ altra canzone che ha a che fare con la morte di David Bowie è Lazarus, interpretata dall’artista inglese come se a cantarla fosse l’alieno impersonato nel film del ’76 “L’uomo che cadde sulla terra”. In questo brano è molto presente il sassofono di McCaslin, suonato come se si volesse far sentire un lamento sofferente e stanco. Ad ogni modo sia Blackstar che Lazarus possono essere ascoltate come un’anticipazione del prossimo futuro del Duca Bianco, che proprio nel video di Lazarus è legato a un letto ospedaliero. Più classica e in stile Bowie vecchie maniere è la malinconica ballata Dollar Days di quasi cinque minuti. Anche ’Tis a Pity She Was a Whore e I Can’t Give Everything Away sono un po’ più semplici e piacevoli di altre tracce. Una canzone un po’ più complessa e dal genere un po’ più difficile è sicuramente Sue), in cui i musicisti che hanno lavorato con Bowie mostrano il loro lato più jazzy. Sue nasce come una “murder ballad” (ovvero ballate che parlano di omicidi) che però si evolve in un brano avant-jazz, dove i fiati non ci sono e le chitarre si sovrappongono accanto a una ritmica insistente. Sicuramente non è il più bell’album di Bowie ma, come già detto, se viene ascoltato e interpretato come il testamento del Duca Bianco, stupisce i fan di lunga data e quelli improvvisati. Non sapremo mai se questa sia stata la sua volontà, oppure solo teorie frutto della sorte.

RAFFAELE VENTURA

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