La rivincita del cinema italiano

“Non essere cattivo” e “Bella e perduta”, due film innovativi che parlano del nostro Paese con la poesia dei grandi del passato

Al giorno d’oggi sempre più spesso capita di sentire lamentele sul fatto che il cinema italiano sia ormai fermo e stagnante, incapace di produrre qualcosa di diverso rispetto ai soliti cinepanettoni e commedie di scarsa qualità. Spesso si biasimano i moderni cineasti italiani, elogiando invece quelli del passato, senza rendersi conto che i veri artisti, fortunatamente, ci sono ancora: Pietro Marcello è il nuovo Fellini, Michelangelo Frammartino il nuovo De Sica, Claudio Caligari il nuovo Petri. Purtroppo questi registi risultano poco conosciuti dal pubblico, e vengono apprezzati solo da una minoranza. La verità è che il cinema italiano non sta affatto decadendo, ma anzi ha ancora molto da offrire. I prodotti di bassa qualità sono sì molto dannosi, ma è bene tenere in considerazione due aspetti: anzitutto che, se sono così invadenti nelle sale, ciò accade in virtù del forte interesse del pubblico nei loro confronti, interesse che determina moltissimi incassi al botteghino (non è un caso se “Quo vado?” di Checco Zalone è stato distribuito in 1500 sale, un vero e proprio record per la distribuzione cinematografica italiana). Inoltre va considerato che il nostro Paese non è l’unico ad avere prodotti di bassa qualità (si pensi solo alla produzione statunitense di commediole natalizie, il corrispettivo dei nostri cinepanettoni). Tuttavia proprio in questo periodo sono stati presentati nelle nostre sale diversi film assai meritevoli, come “Il Racconto dei Racconti” di Matteo Garrone, interessantissima pellicola fantasy, creata a partire da un progetto innovativo e originalissimo nell’ambito del cinema italiano che si rivela essere molto soddisfacente; oppure “Suburra” del noto Stefano Sollima, che apre un freddo squarcio della malavita italiana, tema già analizzato, seppur in modo diverso, nel precedente “Romanzo criminale”. Tralasciando capolavori di alcuni anni fa (dovrebbe essere un reato non aver visto “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino), in quest’ultimo periodo sono state realizzate due opere che possono essere considerate dei veri e propri capolavori, pellicole coraggiose, di una bellezza estrema e dal profondo contenuto filosofico, create da due talenti unici: “Non essere cattivo” di Claudio Caligari e “Bella e perduta” di Pietro Marcello.

“Non essere cattivo”, è stato presentato fuori concorso alla settantaduesima edizione del festival del Cinema di Venezia, per essere poi distribuito nelle sale da Settembre. Caligari, nella cui filmografia troviamo opere di spicco come “Amore tossico” e “L’odore ella notte”, è purtroppo deceduto a Roma il 26 maggio 2015, e la sua morte non gli ha permesso di vedere “Non essere cattivo” nelle sale. Il film era stato inoltre selezionato tra i possibili film candidati all’Oscar per il miglior film straniero, ma è stato poi escluso poco meno di un mese dopo. D’altronde, cosa ci si potrebbe mai ci si potrebbe aspettare dall’Accademy?

ImmagineLa meravigliosa opera in questione narra la storia, ambientata negli anni Novanta presso Ostia, di Vittorio e Cesare: due inseparabili amici che sono soliti vivere nel mondo della piccola illegalità: quotidianamente fanno uso di droghe, la spacciano e usufruiscono di qualsiasi occasione per iniziare risse e andare con ragazze che incontrano in discoteca o che, peggio ancora, corrompono con la droga. I due sono ormai arrivati al limite, quando le loro strade iniziano a dividersi. Vittorio sceglie un’esistenza più tranquilla, innamorandosi di una giovane ragazza, Linda, e vivendo con lei e suo figlio. Decide di abbandonare la sua vecchia vita per costruirne una nuova, trovando lavoro come muratore. Cesare ha più difficoltà a stabilizzarsi. Inizia a frequentare Viviana, che lo sprona a rinunciare alle vecchie abitudini per stare con lei, intento che Cesare riesce a realizzare per un breve periodo, lavorando anche lui nel cantiere di Vittorio. L’attrazione verso la vecchia vita continua però a tormentarlo. Cesare proviene da un retroterra familiare difficile: ha solo la sua anziana madre e la nipote, malata di Aids. È un peso troppo grande per far finta di niente e cambiare di punto in bianco, così Cesare comincia a spacciare di nuovo, e a fare uso di droghe. Rapina un negozietto con un fucile senza proiettili. Ritorna a essere ciò che realmente è. Per quanto Cesare sia evidentemente un uomo ignorante, pieno di pregiudizi e manesco, il suo essere tanto cattivo ci viene mostrato solo come la sua debolezza e il risultato della sua vita.

Questa pellicola è facilmente paragonabile ad “Accattone”, l’esordio di Pier Paolo Pasolini. In primo luogo per l’ambientazione: entrambi i film vogliono far conoscere la Roma più emarginata, sporca, violenta, non quella piena di feste de “La grande bellezza”. Come Pasolini, Caligari non la sta elogiando. Trova artisticamente efficace raccontare un pezzo di città, di realtà e di umanità, che non è sotto i riflettori. All’interno di questi scenari si muovono personaggi rudi, abituati a vivere per la strada, a parlare il romanesco, a vivere nell’illegalità. Risultano evidenti le somiglianze tra i protagonisti di “Non essere cattivo” e “Accattone”. Entrambi cercheranno di redimersi e di abbandonare il modo in cui erano abituati a vivere, entrambi per mezzo di una donna. Tuttavia ciò non basta e non riescono; perché il richiamo della strada è troppo forte per poter essere ignorato, perché non riescono a sopprimere le abitudini con le quali sono vissuti da sempre. E la fine sarà tragica per entrambi.

Caligari aggiunge però degli importantissimi elementi: il tema della droga (già analizzato in “Amore tossico”) e, soprattutto, quello dell’amicizia. Per quanto riguarda il primo, la droga per tutta la durata della pellicola è onnipresente. Comparirà sempre, in qualsiasi situazione, come una maledizione dalla quale è impossibile liberarsi. Inizierà a contaminare tutti, a venir usata come mezzo di ricatto, di supplica, di protesta. Come quando Linda, avendo scoperto che Vittorio aveva assunto nuovamente cocaina, nonostante la sua promessa di non farlo più, inizia lei stessa a drogarsi, ricambiandolo con la stessa moneta. Per quanto concerne l’amicizia, questo è forse il primo elemento “positivo” del film: Cesare e Vittorio si scontrano, si perdono, litigano, tuttavia ritornano sempre l’uno dall’altro. Il loro legame è indissolubile, un’amicizia simile a una fratellanza, nata dal sopravvivere insieme. La scena più significativa del film ne è la testimonianza: Cesare, distrutto dalla morte della nipote, si reca presso il negozio di Vittorio, e, dopo aver importunato i suoi clienti, gli chiede della droga. Vittorio è furioso e i due si scontrano, iniziano a picchiarsi, a malmenarsi violentemente. Ma alla fine, afflitti ed accasciati per terra, i due amici si abbracciano desolati.  Magnifica è poi la canzone “A cuor leggero” di Riccardo Sinigallia che va sui titoli di coda, come anche le musiche di Paolo Vivaldi che accompagnano l’intero film. La regia è ben curata: il più delle volte la macchina da presa si muove lentamente con lunghe carrellate per seguire le azioni dei personaggi in modo lineare. Tuttavia l’abilità di Caligari si rivela in particolare nelle scene in cui rappresenta gli effetti della droga: i visi stravolti dei protagonisti vengono accompagnati da una fotografia di forte impatto. In questi casi alcune volte la macchina da presa si allontana Immaginedal personaggio intento ad assumere droghe, arrivando a diventare un campo medio e rinchiudendolo nell’ambiente circostante, quasi a sopprimerlo: altre volte invece l’inquadratura si inclina lungo il suo asse, fino a diventare sballata, a indicare la confusione mentale dei protagonisti.

La seconda pellicola che verrà trattata in questo articolo, “Bella e perduta”, è sicuramente la pellicola più intensa e interessante che si sarebbe mai potuta vedere in una sala cinematografica italiana in questo periodo.  Quest’opera è la perfetta dimostrazione di come il cinema italiano, quando osa, riesce ad essere di altissimo livello. Il film è stato presentato al sessantottesimo festival di Locarno, a Berlino e infine al Torino Film Festival come film di pre-apertura.

La pellicola inizia con un’inquadratura soggettiva di un bufalo, Sarchiapone, nell’atto di uscire da una stalla. L’animale cammina lentamente, sbuffa, si guarda intorno. Viene poi mostrata la storia di Sarchiapone fin dalla sua infanzia, quando, ancora cucciolo, viene adottato da Tommaso Cestrone. Tommaso è un pastore che ha dedicato la sua vita alla cura della Reggia di Carditello ormai degradata e in rovina, ignorata da tutti, di cui egli è diventato quasi l’angelo custode. Tommaso purtroppo muore la notte di Natale, distrutto da una malattia. Il suo unico desiderio? Quello di salvare Sarchiapone, che poiché maschio, e quindi non produttore di latte, è destinato a essere soppresso. A risolvere la situazione e salvare l’animale è chiamato Pulcinella, maschera napoletana per antonomasia. Pulcinella e Sarchiapone cominciano insieme un lungo viaggio per l’Italia, con l’unico scopo di trovare la loro libertà. I personaggi di “Bella e perduta” sono estremamente   grotteschi e allegorici.  La figura di Tommaso è forse l’unica veramente positiva: egli è il solo che rifiuta di arrendersi, intenzionato a realizzare il suo sogno e a mettere in atto la sua personale e silenziosa protesta, che ha come obiettivo quello di salvare la reggia. La sua opposizione al sistema non viene perseguita con armi e documenti politici, ma con la passione nei confronti di ciò che ama. Al contrario, Pulcinella e Sarchiapone possono facilmente essere visti come i personaggi più negativi. La maschera napoletana viene qui svincolata dal suo ruolo tradizionale e resa partecipe di una vicenda fuori dal normale. Pulcinella è infatti un intermediario tra vivi e morti, che viene inviato sulla terra per compiere missioni di vario genere. Le prime scene del film lo ritraggono, infatti, in una sorta di dimensione ultraterrena: inizialmente in una sala piena di altri Pulcinella intenti a giocare a carte, successivamente mentre cammina per ampi corridoi, lungo i quali si stagliano piccoli banchetti dove si trovano strambi personaggi che affideranno a Pulcinella la sua missione. Tuttavia egli è sempre circondato da un’atmosfera cupa ed eccessivamente seria, non parla mai a sproposito, al contrario delle sue tradizionali caratteristiche: secondo l’usanza egli dovrebbe infatti essere beffardo e ironico, incline alle battute e agli scherzi. Sarchiapone invece è il vero e proprio protagonista dell’intera opera. Per l’intera durata del film si sentono i suoi pensieri fuoricampo, che rivelano le sue personali considerazioni riguardo la condizione e la realtà in cui vive. La sua voce viene alternata con primissimi piani del bufalo e soggettive. Quest’ultime sono caratterizzate dall’obbiettivo denominato fisheye, il quale si basa sul rappresentare le immagini con un particolare effetto, quasi irreale, come se fosse visto da un pesce, appunto. La scelta di questo obbiettivo è senza alcun dubbio convincente e appropriata. Sarchiapone ancora più di Pulcinella è triste, desolato, deluso da tutto ciò che lo circonda. Si strugge perché è nato bufalo, condizione secondo lui sconveniente, visto che in Italia, non esistendo mobilità sociale, si è condannati a rimanere per sempre nella condizione da cui si proviene.

Sarchiapone personifica allegoricamente l’italiano medio, espressione di un popolo formato da persone stanche e afflitte, che si limitano ad osservare ciò che succede e che gli viene imposto senza reagire né opporsi. Questo dramma esistenziale interiore si manifesta con la sfiducia nei confronti di qualche miglioramento delle proprie condizioni di vita. ImmagineA riprova di ciò, il finale del film: Pulcinella e Sarchiapone riescono sì a fuggire e a trovare la libertà ma, una volta ottenutala, il bufalo preferisce morire piuttosto che andare avanti. Nelle ultime, tragiche scene, l’unico elemento che testimonia la tristezza e desolazione dell’animale è una lacrima che scende dal suo occhio. Metafora del fallimento di un paese e della decadenza di un popolo, nel quale anche chi è solito essere, per natura, più spensierato e privo di problemi (una maschera beffarda o un animale) si ritrova essere cupo e sfinito.

Proprio per l’indissolubile collegamento tra la storia narrata e la condizione attuale del nostro paese, Marcello mostra nel film, in svariate occasioni, filmati di repertorio, che testimoniano rivolte (in modo quasi analogo a quelle rappresentate all’inizio di “Le Haine”, capolavoro di Mathieu Kassovitz) e manifestazioni popolari per lutti e morti: masse di popolazioni silenziose che camminano tenendo in mano candele e foto delle persone morte.

Nell’opera è delineata però anche un’altra grave mancanza dei personaggi (e   quindi   della   popolazione), dettata proprio dal loro dramma esistenziale e sfiducia in sé stessi e nel prossimo: l’assenza di collaborazione. Quando infatti Sarchiapone durante il viaggio incontra altri bufali, Pulcinella lo sprona ad andarsene. Una serie di uomini freddi e distanti, che si guardano da lontano ma non comunicano: come quando il bufalo, condannato a morte, viene portato via, e la maschera napoletana lo osserva da lontano, mentre si trova sulla valle per il pascolo, impassibile. L’Italia è rappresentata quasi in un processo di involuzione. Si è ancora infantilmente e stoltamente legati alle tradizioni, convinti (forse l’unica speranza rappresentata nel film, insieme all’idealismo di Tommaso) che queste siano un punto di forza e una soluzione ai problemi apparentemente irrisolvibili. Infatti tutte le persone che Pulcinella incontrerà durante il suo viaggio, non esiteranno ad accettare la sua richiesta di riparo per lui e per il bufalo. Ma nessuno riesce a riconoscere che codeste tradizioni sono ormai obsolete e che, perlomeno, non si debbano usare come deus ex machina per tutto ciò che sembra essere troppo complesso per essere affrontato. Esse sono in realtà una beffa superata e ormai terminata: per questo Pulcinella si toglie la maschera, ormai stanco di codesto futile ruolo che gli è stato attribuito. Sebbene teoricamente si viva in un continuo processo di evoluzione tecnologica, in “Bella e perduta” ci viene mostrato il contrario: si vedono solo abitazioni di campagna in pessima condizione, fattorie e pascoli per il bestiame, come se questi luoghi fossero sospesi nel tempo, fermi alle loro condizioni primitive. Dove è finito il tanto amato progresso tecnologico? Inizieranno poi anche molte considerazioni sulla Vita e la Morte, mentre Pulcinella si confronta con i tanti personaggi che incontra durante il suo viaggio con Sarchiapone. Significativa è la bellissima scena di un albero denominato L’albero della Vita: spoglio, senza più nessuna foglia, tuttavia alto, imponente, significativo; così come l’Italia.

Nella pellicola in questione il nostro paese non è rappresentato solo con connotazioni negative. Marcello ci mostra nella sua opera un’Italia sì in uno stato di confusione, depressione e incapacità di funzionare, ma anche estremamente bella. Durante tutto il viaggio Sarchiapone e la sua controparte umana attraverseranno valli, praterie, Immaginemeravigliosi paesaggi che testimoniano la bellezza del paese. Una terra tanto piena di bellezze ed arte quanto trascurata. Un’Italia bella e perduta, appunto. In questa pellicola la regia di Marcello, per quanto apparentemente semplice e priva di movimenti di macchina particolarmente complessi (ricorda quasi la regia delle prime opere di Pasolini), è affascinante. La bellezza delle sue inquadrature risiede, infatti, in ciò che mostrano e nella loro composizione visiva. Le immagini rappresentano soggetti semplici, ma che sono disposti in maniera organica, senza sbavature. Le inquadrature sono pulite e di grandissimo impatto, e unite  a  una   fotografia  essenziale  ed  estremamente realistica, lontana da quegli accesissimi colori hollywoodiani ottenuti in post-produzione. Al fulcro della narrazione si trova naturalmente la Reggia di Carditello: palazzo in stile neoclassico costruito nel ‘700 dai Borboni e attualmente in totale decadenza, nonostante sia una dei ventidue siti borbonici tutelati. Si tratta di una reggia bellissima, nonostante sia lasciata a se stessa e manchi delle più necessarie cure. Una vera e propria opera d’arte, un monumento artistico inestimabile. È vergognoso che nessuno se ne curi, che sia lasciata al lavoro e alla responsabilità di un anziano contadino. “Bella e perduta” è anche, e soprattutto, un’opera di denuncia. Marcello in un’intervista afferma di voler che questo film sia visto nelle scuole, che i ragazzi si possano rendere conto, nella speranza che tutti possano diventare più simili a Tommaso. Un uomo che difende il bello e la cultura e che, in nome del bello e della cultura, è disposto a vivere e a morire.

VIOLA DE BLASIO

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Google photo

Stai commentando usando il tuo account Google. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...