Iran: finalmente un nuovo inizio?

 I recenti accordi internazionali aprono nuove prospettive per il Paese degli Ayatollah

Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare della visita del presidente iraniano Hassan Rouhani qui a Roma e del conseguente scandalo derivato dalla copertura – operata da non si sa bene chi – di alcune statue classiche da qualcuno ritenute offensive nei confronti della cultura del premier straniero, poiché ritraenti soggetti nudi. La gravità di questo fatto ha avuto l’effetto di spostare l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica, deviandola da quello che è il centro della vicenda, ossia la riapertura dell’Iran verso il mondo occidentale. Un evento di epocale importanza.

Per comprendere la reale portata dell’avvenimento c’è bisogno di dare uno sguardo al passato di questo Paese, la cui politica è sempre stata vessata dall’invadenza della religione all’interno degli affari di Stato,  tanto  che  il  nome  ufficiale  con cui esso si presenta alle Nazioni Unite è “Islamic Republic of Iran”. Questo nome è proprio di tale Stato dal 1979, dopo la vittoriosa rivoluzione guidata dall’ayatollah Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī, volta a deporre lo Scià Mohammad Reza Pahlavi e a instaurare un nuovo tipo di governo di stampo religioso sciita (molte furono le leggi approvate riprese dalla Shari’a). Il regime instaurato da Khomeyni contribuì ad allontanare il Paese dal mondo occidentale, tanto che nella famigerata guerra combattuta fra il 1980 e il 1988 contro l’Iraq furono molti gli stati occidentali che appoggiarono il dittatore iracheno Saddam Hussein, in primis gli Stati Uniti, definiti dall’ayatollah come “il grande Satana del mondo”. Dopo la sua morte vi furono parecchi tentativi da parte dell’Iran di riavvicinarsi all’Occidente, ma non ve ne furono mai di decisivi, anche a causa della diffidenza nei confronti di tale Paese, derivante fra le altre cose dalla decisione di iniziare a produrre energia nucleare, decisione che alimentò il timore riguardante il suo possibile impiego in campo bellico; inoltre le dichiarazioni fortemente anti-sioniste – che sono quasi costate all’Iran l’estromissione dalle Nazioni Unite – rilasciate dall’ex presidente Mahmud Ahmadinezhād (in carica dal 2005 al 2013) non hanno aiutato, ma hanno anzi alimentato detto timore.

Arriviamo così ad Hassan Rouhani, eletto democraticamente nel giugno del 2013 e unico membro del partito moderato-riformatore “Società dei chierici militanti” in lizza per il seggio presidenziale. Rouhani non è di certo un volto nuovo sulla scena politica iraniana: è stato infatti membro dell’Assemblea degli Esperti dal 1999, membro del Consiglio del Discernimento della Repubblica Islamica dell’Iran dal 1991, membro del Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale dal 1989, e capo del Centro per la Ricerca Strategica (Markaz-e Tahqiqat-e Estratejik) dal 1992. Inoltre è stato negoziatore capo riguardo il programma nucleare iraniano presso i paesi membri dell’AEIA (Atomic Energy International Agency) nel 2005.

ImmagineTutt’ora in Iran vige la pena di morte (secondo alcune stime circa 2200 sarebbero le
persone condannate a morte dall’1 luglio 2014 al 30 giugno 2015, alcune delle quali – almeno 17 nel 2014 – emesse nei confronti di minorenni) e una forte disparità di genere, che  limita  di  molto la  libertà  delle  donne;  tuttavia, nonostante le evidenti arretratezze del sistema giuridico del Paese, il premier iraniano aveva dimostrato di voler effettivamente migliorare le cose nel suo Stato: nel 2013, in campagna elettorale, era arrivato “addirittura” a promettere una “carta dei diritti civili”, promessa che, dopo due anni di mandato, sembra ancora lontano dal voler mantenere; si è inoltre dimostrato favorevole ad una partecipazione più attiva delle donne nella vita politica, nominando Elham Aminzadeh come vice-presidente e Marzieh Afkham come prima portavoce donna del ministero degli esteri iraniano. Per quanto riguarda la sua posizione sullo Stato d’Israele, invece, Rouhani continua a sostenere la sua illegittimità definendolo come “un occupante e un governo usurpatore” che “commette ingiustizie contro i popoli della regione, creando instabilità con politiche guerrafondaie”, ma quantomeno si dissocia dalle affermazioni del suo predecessore, riconoscendo la veridicità storica dell’Olocausto. Ma perché il Presidente Rouhani è venuto in visita qui in Italia? Al centro di tutto ci sono gli interessi economici: vari sono stati infatti gli accordi stilati fra il nostro paese e l’Iran, per un totale di circa 20 miliardi di euro (e, secondo qualcuno, ciò giustificherebbe la copertura delle statue, come se fosse possibile dare un prezzo al valore della nostra cultura e, dunque, a quella di tutto l’Occidente …); andando più nello specifico, l’Iran si è impegnato a firmare due accordi preliminari con il gruppo siderurgico Danieli e con la società FATA per 4,5 miliardi di euro, nonché vari accordi commerciali con numerose aziende italiane per almeno 15 miliardi. Sono state molte anche le dichiarazioni rilasciate da Rouhani e da vari membri del nostro governo, riguardanti per lo più la difficile situazione nel Medio Oriente dovuta all’instabilità politica dell’area più direttamente influenzata dal fenomeno ISIS: Matteo Renzi ha più volte sottolineato che l’unico modo per risolvere questa insopportabile situazione è riuscire a collaborare, e Iran e Italia devono avere un ruolo chiave in questo, come ha ribadito anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Questa riapertura nei confronti dell’Occidente è dovuta a vari fattori, primo fra tutti la rimozione delle sanzioni imposte al Paese dall’AEIA a causa di un piano nucleare fino ad oggi ritenuto troppo poco trasparente e dunque equivoco, che l’ONU ha ritenuto giusto sollevare dato l’impegno da esso dimostrato nel seguire gli accordi presi lo scorso 14 luglio a Ginevra con Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, anche se il presidente israeliano Benyamin Netanyahu si dice ancora preoccupato per un possibile attacco da parte di una nazione che, come abbiamo visto, è sempre stata ostile.

ImmagineDopo l’Italia è stata la volta della Francia, visitata da Rouhani al fine di stabilire ulteriori accordi economici con una delle più grandi potenze europee, accordi che frutteranno alla nazione francese circa 25 miliardi di euro derivati dalla vendita di 118 Airbus e dall’installazione in Iran di fabbriche siderurgiche ed automobilistiche (appartenenti al gruppo Psa Peugeot Citroën), visita durante la quale non sono tuttavia mancate proteste piuttosto forti (fra cui quella ormai già famosa dell’attivista di Femen che si è simbolicamente impiccata per dare – seminuda e con la bandiera iraniana dipinta sul petto – il “benvenuto” al Presidente straniero).

Nonostante tutte le controversie che sono sorte nelle ultime settimane, però, bisogna vedere con occhio ottimistico gli avvenimenti di cui si è trattato, prendendoli per quello che sono: un piccolo passo di una nazione che, dopo anni di assenza, torna a fare capolino nello  scacchiere  internazionale;  questo può farci ben sperare in un futuro migliore, in cui l’Iran riuscirà finalmente a uscire da un oscurantismo autoimposto  e  a  diventare  un  luogo  in  cui  tutte le ingerenze dei passati regimi possano diventare null’altro se non un lontano, brutto ricordo.

DAVIDE RUBINETTI

 

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