Il Tredicesimo Arcano

Ho perduto molto nel corso della mia vita ed altrettanto, a ben rifletterci, mi è stato concesso. Mentirei se dicessi di non aver desiderato né di desiderare più di quanto ho avuto, ma in una triste quanto aleatoria logica d’equilibrio, questa è stata la parte di gioie e rimpianti che la sorte ha decretato miei. Fin da bambino mi sono interrogato sul futuro, l’interesse che nutrivo per le infinite vie del fato era, di fatto, morboso e più d’una volta le insegnanti avevano discusso con mia madre circa la preoccupante incapacità di suo figlio ad intessere rapporti sociali. “Deve togliergli quelle carte”, le dissero. “Non è sano per la sua età.”

Tuttavia io, così come i miei genitori, ignoravo quelle critiche che al tempo non capii e che gli anni mi presentarono come sterili ed ignoranti tentativi di chiudermi nell’ovile con il resto del gregge.

Il nove dicembre del 1987, giorno in cui compii tredici anni, feci una scommessa con l’unico e mio più grande amico. Il destino giocò le sue carte (ironico a dirsi) in maniera stranamente assennata ed imprevista. Ogni giorno , dissi al mio amico, avrei estratto dall’alto mazzo di 78 tarocchi una carta e quella carta avrebbe in qualche modo dato il metro della mia giornata.

Per ventotto anni, trecentosessantacinque giorni ognuno, bisestili compresi, non mancai il mio appuntamento. Per ventotto anni condussi il grande gioco senza conoscerne le precise regole e capii che il fatto stesso di essere nato mi vincolava al pazzo giuramento. Negli anni del liceo divorai pile di volumi sui significati e le allegorie degli arcani, giunsi a quella che mi parve una conoscenza tale da permettermi di sfidare il mio avversario e continuai la partita. Fin dal primo momento compresi che mi era chiaramente difficile scindere le suggestioni legate al significato primo ed immediato delle carte, spesso inatteso, vibrante e stordente al disvelarsi iniziale, e le successive riflessioni e tentativi interpretativi. Fu inoltre arduo stabilire se le carte uscite influenzassero il mio comportamento, portandomi ad agire differentemente dal solito, a cercare universi in una vetrina, in uno sguardo, o mi lasciassero ad osservare passivamente un piano di vita ordinario, sempre tenendo a mente la fatale chiave di volta degli eventi. A volte sembrava che le carte sbagliassero, che fossero davvero il parto casuale di un’affrettata mescolanza mattutina, così quando il giorno finiva e niente di quanto annunciato si avverava, tornavo deluso al mazzo poggiato sul comodino e ridevo di me stesso. Più passavano gli anni più l’imbarazzo per quella mia debolezza, unica ed infantile, cresceva. Tuttavia mai interruppi il gioco. Un’ondata di fuoco investì la tranquillità in cui vivevo quando l’11 settembre del 2001 mi alzai ed uno spostamento d’aria fece cadere il primo arcano del mazzo che si rivelò essere il sedicesimo. La Torre.

In ogni sua raffigurazione la Torre aveva sempre la sommità colpita ed abbattuta da un fulmine; disgrazia improvvisa, rovinosa ed inatteso mutamento degli eventi. Inutile nascondere che il primo senso che le si dà quando esce capovolta, come accadde, è negativo. Così caddero le Torri Gemelle ed il Mondo (carta che si presentò il giorno seguente) fu gettato nel tumulto più totale. Sino ad oggi erano saltati fuori tutti gli arcani, tutti i minori, ma dei maggiori uno mancava ancora all’appello. In ventotto anni mai quella carta aveva mostrato il suo volto. Quando notai che quest’arcano era restio a farsi vedere, non nego che nel voltare la carta ogni mattina mi assaliva un certo fremito d’agitazione. Ma alla fine sorridevo e mi prendevo in giro per quella che a tutti gli effetti poteva riconoscersi come paura. A sedici anni notai la vistosa mancanza dell’arcano tredicesimo

Immagine

Mi   preoccupava   non vederne l’inquietante immagine perché sapevo che per calcolo delle probabilità, presto o tardi, mi avrebbe attraversato la strada e che l’averla incontrata prima avrebbe potuto esorcizzarne l’oscuro significato.

Onestamente non so cosa mi abbia spinto oggi a buttare giù questa confusa “summa” della mia vita; dovrebbe essere una specie di testamento? Andiamo, sono un uomo di scienza, un medico, queste assurdità dovrebbero al più farmi sorridere! Fatto sta che alla fine del 2001 spezzai le catene che mi trattenevano in America e presi il primo volo in partenza per la Francia, destinazione Parigi. Abbandonai tutto sotto il buon auspicio dell’Asso di Coppe, il 7 dicembre di quell’anno e mi disposi a costruire e cesellare il palazzo della mia nuova esistenza. Avevo trascorso alcuni tempi d’incertezza dopo il liceo, non volevo capacitarmi di dover crescere e quando furono gli eventi a costringermi ad una scelta, chiesi consiglio. La risposta, per quanto ambigua come sempre, fu l’arcano numero quindici. Il Diavolo.

Furono anni bui, devo ammetterlo, anni in cui caddi veramente in basso e non voglio indulgere in dettagli miserevoli. Fresco di una laurea in medicina e di un fidanzamento con la mia dolcissima compagna di corso Claire, tramutai il dimesso monolocale nel tredicesimo arrondissement in un appartamento ben più lussuoso con vista sulla Senna. Gli Amanti uscirono ben sedici volte e l’ultima, in facoltà, fu davvero insensata. Sorvolando sul fatto che sì. Mi portavo dietro il mio vecchio mazzo, quel giorno l’arcano numero sei finì tra le pagine del libro di una amica di Claire e la cosa, nella sua complicatezza d’interpretazione, mi irritò al punto che non feci caso alla carta per più d’un istante. Non saprei dire con esattezza quanto le carte abbiano avuto ragione in questo tempo, ma di sicuro sono state più le vaghe ipotesi e le forzature che le rivelazioni fulminanti. Ricordo che il giorno in cui uscì il Matto mi fratturai il femore cadendo dalla moto, avevo venticinque anni. Oppure l’arcano numero otto, la Giustizia, che ebbe l’ardire di presentarsi con un giorno di ritardo sull’effettivo abbattimento del Muro a Berlino. Quando Claire mi fece conoscere i suoi fu l’Asso di Denari a salutarmi dorato e devo ammettere che la sua poteva dirsi una famiglia facoltosa. E via per tutta una vita in un turbinio di Due di Spade, Otto di Bastoni, Due di PICCHE (consentitemi!), Sei di Coppe, Assi e Arcani Maggiori.

Mai. Mai quella vigliacca si è fatta vedere.

Ho vissuto una vita in ritardo, sempre esitando, sempre aspettando che altri decidessero per me. O che altro lo facesse. Soltanto oggi capisco che non aspettavo altro che lei, quella maledetta che si è sottratta a me per così tanto. L’unico degli Arcani Maggiori a non avere nome in nessun mazzo. L’unico ad essere chiamato semplicemente con il suo numero. Il Tredici. Quando ho estratto la carta, stamattina, e l’ho voltata, non c’è stato alcun attimo d’ansia; ho sorriso. Come si sorride ad un vecchio amico, incontrato per caso in un giorno da cui non ci si aspettava nulla, incontrato per caso dopo anni di lontananza, senza averlo mai dimenticato veramente. Vedendola, ho avuto la rivelazione che di fatto ho sempre atteso, che la vita, questa vita, è in fondo un grande gioco e non va mai presa troppo sul serio. Credo che da domani interromperò la partita, forse ho perso, forse ho vinto. Non so né mi importa. Il fato è stato un gentile compagno di viaggio, ora però, se solo ora, capisco che è meglio trovarne altri.

Ho appena notato di non aver scritto la data all’inizio, se la appunto è più per ordine che per promemoria. Oggi è il 13 novembre del 2015, giorno in cui finalmente il tredicesimo, la Morte, ha fatto un passo avanti. Giorno in cui finisce il nostro bel gioco. Penso che stasera, dopotutto, accetterò l’invito dei miei amici; magari un concerto in centro, in un locale, è proprio quel che ci vuole. Peccato davvero che Claire abbia da fare, avremmo potuto passare una bellissima serata. Sì, credo che questo sia un ottimo modo per festeggiare il termine della lunga partita, la fine di questi pazzi e splendidi giochi.

ANDREA MASSIMI

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