Terrence Malick: la rivoluzione del cinema moderno

Lo stile di Malick è inusuale e coinvolgente. E’ un regista che non usa canoni fissi, ma riprese istintive, non premeditate, ideate al momento: si è spinto persino a girare alcune scene all’insaputa degli attori, durante i momenti di pausa. Sono tipiche di Malick le riprese degli uccelli che volteggiano nel cielo, le ombre dei personaggi proiettate sul terreno e l’acqua, la cui rappresentazione assume sempre una valenza filosofica.

Dopo La Rabbia Giovane e I Giorni del Cielo, due film acerbi, la carriera registica di Malick ha conosciuto una svolta con La Sottile Linea Rossa. In questa pellicola viene narrata la riconquista di Guadalcanal, isola dell’Oceano Pacifico occupata dai soldati giapponesi, da parte di una truppa di soldati americani, durante la Seconda Guerra Mondiale. In un modo a prima vista simile ad altri capolavori del genere (Apocalypse Now, Full Metal Jacket, Il Cacciatore) e al contrario di altre pellicole mediocri (American Sniper, Salvate il soldato Ryan), questo film non cerca di esaltare l’esercito di un paese né di biasimarne uno, bensì di condannare la guerra in sé e per sé. E il modo migliore per farlo è proprio quello di porre in uno scenario di guerra un uomo completamente estraneo ad esso. Tutta la vicenda viene infatti mostrata dal punto di vista del soldato Witt: un uomo calmo e riflessivo, amante della natura. Le primissime scene del film lo mostrano all’interno di una piccola e rudimentale comunità locale immersa nel verde. Il soldato si sofferma continuamente sul luogo circostante, osserva gli indigeni, i loro usi e consuetudini; si rapporta  ad  essi,  cerca  di  conoscerli. Come Witt, lo stesso spettatore si ritrova immerso in una nuova realtà, a voler giocare con i bambini del luogo, recarsi in quelle immense foreste e conoscere queste persone che vivono in armonia. Ma questa apparente tranquillità   termina   presto,   dopo   soli   10   minuti dall’inizio del film, all’arrivo di una vedetta americana, che porterà Witt via con sé. È giunto per lui il momento di andare in guerra.
ImmagineDa questo momento vengono presentati gli altri personaggi: soldati terrorizzati e sconfortati, che si ritroveranno a piangere e implorare sotto la pioggia che la guerra finisca; ma anche generali e sergenti cupi, freddi e cinici, incapaci di comprendere quella luce che Witt tanto osserva ed ammira. Dopo aver attraversato gli immensi orrori della guerra, Witt ritorna nella piccola comunità indigena. Ma quel mondo idilliaco è cambiato: i bambini non giocano più, gli uomini litigano tra di loro e le tanto melodiose musiche che cantavano non si sentono più. Witt è diventato per loro un nemico, sono tutti spaventati dal suo passato nell’esercito e quei bambini che prima ridevano con lui ora fuggono terrorizzati. E proprio quando il soldato realizza tutto ciò, prende la sua ultima fatale decisione. “Come abbiamo fatto a perdere quel bene che ci era stato donato, a lasciarcelo sfuggire, a disperderlo sconsideratamente?”, pensa Witt, in una delle scene conclusive, ed è ciò che lo stesso Malick si domanda. Il finale è tragico e atroce proprio perché è la rappresentazione della realtà, che troppo spesso trascuriamo: gli effetti irrimediabili della guerra che distruggono anche ciò che di più bello esiste al mondo. La filosofia nel film è molto presente, espressa  attraverso  la  voce  fuori  campo  di  Witt: il soldato riflette sulla vita e sulla morte, sul fine dell’esistenza degli uomini e sul modo in cui termina irrimediabilmente per un motivo tanto futile come la guerra, contrapponendola alla natura. The Tree of Life è il quinto lungometraggio di Malick. Il film è un inno alla vita, una grande riflessione sul kosmos, pregna di filosofia. Il regista infatti studiò questa materia con Stanley Cavell e insegnò per un breve periodo al MIT. Negli anni sessanta partì per la Germania e lì ebbe l’opportunità di conoscere Martin Heidegger, uno dei massimi esponenti della filosofia tedesca, autore di «Essere e Tempo».Immagine

The Tree of Life tratta tematiche che vanno dall’origine della vita e l’esistenza di Dio alla vita dell’uomo e di ciò che lo circonda.  È possibile distinguere tre diverse linee temporali-narrative, c
he grazie al montaggio si intrecciano secondo alcuni fili logici: la creazione, la vita dell’uomo e l’apocalisse. Il film si apre con la storia di un piccolo nucleo familiare, in particolare del piccolo Jack, che seguiremo dalla nascita fino all’età adulta. A seguito della morte di un componente della famiglia, si aprono le sequenze relative alla creazione, tra le migliori mai realizzate nella storia del cinema. In queste scene la fotografia è scura: Malick vuole mettere in evidenza il contrasto che c’è tra il buio e la prima   luce:   dalla    sola    fiammella   che   si  vedrà inizialmente all’interno all’inquadratura nera, la luce comincerà a espandersi e a creare il conflitto con le tenebre. La musica in sottofondo è la «Lacrimosa», dal requiem di Mozart.  Molti hanno fatto coincidere questa sequenza con il pensiero del filosofo Anassimandro di Mileto, credendo che quelle «masse di luce» da cui scaturisce la vita, non siano altro che l’apeiron, l’indeterminato dal quale, secondo il filosofo, ha origine la vita.  Oltre Anassimandro, nel film si trovano tracce della filosofia di Talete. Quest’ultimo credeva che l’archè (l’origine) della vita si trovasse nell’acqua. In The Tree of Life è presente ogni tipo di acqua, dalla massa imponente del mare alla delicatezza di quella che esce dal rubinetto; e grande importanza è conferita alle prime forme di vita, che si generarono appunto da essa. Nel film l’acqua è sempre in movimento, ad indicare che tutto scorre (parafrasando Eraclito): come se il mondo non riuscisse mai a raggiungere una sua completezza, ma sia in continuo mutamento.

ImmagineLa famiglia protagonista vive in Texas. Tutte le figure chiave all’interno di essa ruotano intorno a Jack e sono viste dal suo punto di vista. Suo padre è un uomo insulso e duro, un uomo che non è riuscito a conseguire il suo sogno, una figura quasi violenta all’interno della famiglia. Dall’altro lato abbiamo invece la madre di Jack, una donna bella e giovane, raffigurata all’interno della pellicola come un angelo, che trasmette un amore materno potentissimo. È spesso luminosa, dolce, tenera e ha una fede incrollabile.  All’interno  del  film  Dio  e la religiosità sono imprescindibili punti di riferimento: a metà della pellicola Jack arriva a rinnegarne l’esistenza e inizia un percorso tortuoso, alla fine del quale diventerà un uomo di successo, trionfando nella sua vita terrena, ma ottenebrandosi nell’anima. Si riconosce così in suo padre.

Malick non dà grande importanza ai dialoghi: filtra ciò che vuole trasmettere attraverso le immagini, che sono sempre meravigliose e incisive. Il film si chiude con l’apocalisse, rappresentata come una folla di gente che vaga in una valle immensa. È probabilmente raffigurato in queste scene il concetto di eternità, nelle quali, stavolta, l’acqua è ferma, quasi stagnante.

Dopo questo capolavoro e il bellissimo To The Wonder, Malick sta lavorando a un nuovo film, la cui data di uscita è ancora incerta. Nel frattempo, non si può far altro che attendere e ringraziare questo regista per il suo enorme contribuito alla cinematografia.

VIOLA DE BLASIO

GABRIELE GALASSI

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