Sugli sport da combattimento

Wikipedia definisce uno sport da combattimento come “un incontro per fini competitivi tra due atleti che   combattono    fra    di    loro    impiegando  delle determinate regole d’ingaggio, di solito significativamente diverse da quelle simulate nei combattimenti intrapresi per pratica o sfida nelle arti marziali, simulando parte di un combattimento corpo a corpo all’interno di un contesto agonistico”.

Quando si parla di queste discipline non si può non partire dallo sport principe, nonché il più famoso e praticato in tutto il mondo, vale a dire, ovviamente, il pugilato. Il pugilato ha radici molto antiche nella società umana: come noi Classicisti dovremmo ben sapere, infatti, esso era già praticato in Grecia a partire da tempi molto remoti, tanto che a parlarcene è lo stesso Omero, narrandoci che, durante i giochi funebri in onore di Achille, furono istituite proprio delle gare di pugilato (o, più precisamente, di πυμαχία). Perché il pugilato acquisisca la conformazione di uno sport, però, bisognerà aspettare il XVIII secolo, quando si cominciò a voler imporre delle regole a tale disciplina. Un precursore in questo campo fu l’inglese James Figg, il primo a definire la boxe come “noble art”, perché richiedeva ai suoi praticanti virtù come la forza, il coraggio, l’intelligenza e la velocità, e ad aprire un’ “Accademia della boxe”, cominciando in seguito ad organizzare incontri ufficiali in un anfiteatro ad Oxford Street. All’epoca, tuttavia, il pugilato era molto diverso da quello dei nostri giorni: i boxers si fronteggiavano con le mani protette da semplici fascette di stoffa, non esisteva la suddivisione in rounds e i matches, combattuti non sul ring ma all’interno di uno spazio delineato dal pubblico stesso, andavano avanti a oltranza, fin quando uno dei partecipanti non si arrendeva o, più spesso, perdeva conoscenza. Perché questo sport raggiunga la conformazione regolistica che ha oggi bisogna aspettare il 1865, anno in cui John Sholto Douglas e  John Graham Chambers scrissero le Regole del marchese di Queensberry, conosciuto anche come il Codice della boxe moderna, in cui sancivano le regole fondamentali della boxe, vale a dire l’obbligo dell’uso dei guantoni, la divisione in rounds dell’incontro, l’istituzione delle categorie di peso e la regolamentazione del K.O.

L’incontro tra pugilato occidentale e arti marziali orientali diede vita, negli anni Sessanta del Novecento, alla kickboxing, considerata lo sport da ring per eccellenza. Questa disciplina mosse i suoi primi passi quando alcuni maestri giapponesi di karate provarono a unire le tecniche di calcio del proprio stile alle tecniche di pugno della boxe. Chiamarono ciò che ne scaturì Full Contact Karate, che, fra gli anni Ottanta e Novanta, spopolò in America e in Europa sotto il nome, appunto, di kickboxing. Questo sport può essere praticato seguendo diverse formule, nello specifico: semi-contact (i due atleti si confrontano su un tatami in un combattimento a punti durante il quale i contendenti vengono separati ogniqualvolta un colpo viene portato a segno; i punti vengono assegnati in base alla tecnica portata e alla zona del corpo colpita, e sono vietati i calci alle gambe), light-contact (anche in questo caso gli atleti si muovono su un tatami in un combattimento a punti e a contatto leggero, ma la lotta non viene mai fermata se non per sanzionare delle scorrettezze; nel caso in cui il regolamento non vieti l’uso di calci bassi – purché portati esclusivamente all’esterno o all’interno-coscia – si parla più propriamente di kick-light. Non è previsto il K.O.) e full-contact (si combatte sul ring a contatto pieno –

Immaginedunque i colpi sono sferrati con maggiore forza e decisione – e il combattimento non viene interrotto se non per punire eventuali scorrettezze ed è previsto il K.O.  Qualora  il   regolamento  preveda  l’utilizzo  di

calci bassi il full contact si definisce Low Kick). La kickboxing ha dato poi vita ad altri sport, come il K-1, in cui sono ammesse anche ginocchiate e gomitate, e la kick-jitsu, kickboxing integrata con prese tipiche del Jiu-Jitsu.  In ultimo merita una menzione anche l’MMA – sigla inglese di mixed martial arts, “arti marziali miste” –, uno sport da combattimento che negli ultimi anni ha avuto un grande successo raccogliendo migliaia di spettatori ogni volta che viene organizzato un evento. Come il nome lascia intendere, l’MMA è uno sport da combattimento che consente l’utilizzo sia di tecniche di percussione che di tecniche di lotta provenienti da vari stili e da varie arti marziali. Questo concetto piuttosto libero di combattimento è parecchio antico: discende infatti direttamente dal pancrazio, un’arte marziale diffusa fra gli antichi Greci e poi anche fra i Romani che combinava il pugilato e la lotta greco-romana. Solo recentemente però si è giunti a una regolamentazione quasi universalmente accettata delle arti marziali Immaginemiste, le Unified Rules of Mixed Martial Arts , redatte dalla commissione atletica della California, codificate dalla commissione atletica del New Jersey nel 2000 e adottate dalla commissione atletica del Nevada nel 2001. Probabilmente giunti a questo punto qualcuno potrebbe aspettarsi che l’articolo tratti anche delle arti marziali sportivizzate, come il Muay Thai o il Wushu sportivo. E invece no, ché l’autore è piuttosto contrario a questa sportivizzazione, e se si mettesse a parlarne diventerebbe tedioso come un vecchietto che osserva un cantiere. Che ci volete fare, bisogna rispettarlo.

DAVIDE RUBINETTI

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