Il genio trasgressivo di Quentin Tarantino

Da ormai un po’ di anni a questa parte il nome di Quentin Tarantino è sinonimo di cinema di qualità. Non c’è persona che non lo abbia mai sentito nominare, non c’è cinefilo che non abbia visto tutta la sua filmografia. I suoi film sono sempre tra i più attesi e registrano regolarmente un grandissimo successo al botteghino.

Tutte le pellicole di Tarantino sono sublimi e caratterizzate da certi elementi tipici del suo cinema: personaggi stravaganti, storie al limite dell’assurdo, ritmi coinvolgenti, dialoghi magnifici e violenza portata ai massimi livelli, ma rappresentata sempre attraverso la lente dell’ironia.

Non si tratta di una violenza disturbante o scioccante (come in “Arancia Meccanica”,  ad esempio),  bensì  molto  più irreale, in certe parti quasi comica, e volta non a sconvolgere lo spettatore, ma a divertirlo e affascinarlo.

Tarantino è un artista nel senso più ampio della parola. È stato infatti regista e attore, ma soprattutto sceneggiatore. Non è un caso che tutte le frasi dei suoi film siano ormai un pezzo di storia del cinema.

Ha iniziato la sua carriera vendendo sceneggiature fin dalla tenera età di 14 anni. Come regista si rivelò geniale fin da subito, sia per l’impostazione delle inquadrature (tecnica che migliorerà e affinerà con il tempo), sia per la sua capacità di scoprire nuovi attori, talenti oggi famosi e affermati (primo fra tutti Christoph Waltz).

Nonostante si tenda a considerare “Le Iene” il primo film di Tarantino, è bene precisare che prima egli girò “My Best Friend’s Birthday”, curandone la regia, la sceneggiatura e il soggetto. La pellicola è rimasta incompleta e se ne possono trovare ancora alcuni spezzoni su Youtube. Malgrado gli sforzi e l’impegno, “My Best Friend’s Birthday” risulta essere più che altro un tentativo di mettere alla prova le proprie capacità registiche in un progetto tutto suo.

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“Le Iene” è così ufficialmente il primo film di Quentin Tarantino, che aveva poco più di 29 anni quando lo girò. Inizialmente aveva intenzione di produrlo con pochissimi soldi, forte della sua sceneggiatura. Questa venne apprezzata da varie persone, e, passando di conoscenza in conoscenza, arrivò nelle mani di Harvey Keitel, attore già importante a quel tempo, che, entusiasmato dal testo, volle partecipare. Keitel aiutò Tarantino non solo con la sua presenza nel cast, ma anche dandogli soldi da aggiungere al budget di produzione.

In totale il film è stato così realizzato con 1.2 milioni di dollari. Il prodotto finito fu esposto per la prima volta al “Sundance Film Festival” (un festival americano dedicato al cinema indipendente), dove non riscosse un grande successo. Infatti, andando avanti  con  le proiezioni, il film fu apprezzato più dal pubblico che dalla critica.

Questa pellicola introduce alcuni aspetti che sono ormai considerati la base del cinema di Tarantino, e che all’epoca riscossero molto scandalo e scalpore: l’utilizzo di una violenza condotta all’estremo dalla leva del sarcasmo, il sangue a spruzzo, le parolacce e le continue citazioni. Tarantino, infatti, da cinefilo contemporaneo, rielabora ed espone argomenti che sono tipici della cultura pop, come ad esempio il discorso su “Like a Virgin” di Madonna, oppure la riflessione sulle mance da dare alle cameriere.

Il suo stile non è frutto della frequentazione di una scuola di cinema, bensì di videoteche, nelle quali è cresciuto e che lo hanno portato alla sua passione per il cinema. Nei suoi film Tarantino prende e reinventa elementi stilistici e di regia da più pellicole, che vanno da registi francesi come Jean-Luc Godard, ad altri italiani come Sergio Leone e Mario Bava.

Nuova immagineLa trama si sviluppa con semplicità: una banda di sei uomini, messi insieme da Joe Cabot, deve realizzare un colpo in una gioielleria di Los Angeles. Non conosciamo i nomi dei sei criminali: infatti nel film vengono chiamati con dei nomignoli che richiamano dei colori: Mr. Blue, Mr. Brown, Mr. White, Mr. Orange, Mr. Blonde e Mr. Pink. Durante la rapina qualcosa va storto, dopo alcuni imprevisti, e si scatena una sparatoria in cui Mr. Brown e Mr. Blue muoiono, e Mr. Orange viene ferito. I sopravvissuti si ritrovano in un garage abbandonato, dove avrebbero dovuto aspettare notizie da Joe. Lì si sviluppano tutte le relazioni tra i gangster e partono flashback che ci svelano gli antefatti del colpo.

Qui Tarantino gioca particolarmente con i personaggi, usandoli come base per lo sviluppo della storia. I membri della banda sono veramente delle “iene”, cani pronti a mangiarsi l’uno con l’altro e sacrificare il prossimo pur di salvarsi la pelle. Parlano, anzi, straparlano di cose che non riguardano minimamente la storia, mentre lo spettatore vive una esperienza di straniamento perché poco o nulla sa di loro, non conosce i loro veri nomi, al massimo apprende che sono tutti ascoltatori di Madonna. Lo spettatore si riconosce in loro perché probabilmente anche lui si è chiesto se “Like a Virgin” parli di vero amore, o semplicemente di desiderio sessuale.

Un altro aspetto importante di questo film è la violenza. Interi piani sequenza la vedono come protagonista. Un esempio è la famosa scena – censurata – della tortura a cui un poliziotto viene sottoposto da Mr. Blonde, dove il regista lascia all’immaginazione dello spettatore la parte più cruenta, aumentandone l’effetto. Lo stesso concetto di reticenza, del non mostrare, è presente con la scena della rapina, che viene sempre descritta e nominata, ma mai fatta vedere.

“Pulp Fiction”, realizzato nel 1994, è universalmente riconosciuto Nuova immaginecome il migliore film di Tarantino, opera che gli ha donato il suo primo Oscar e la Palma d’Oro a Cannes. Per questa pellicola il regista ha adottato una tecnica a episodi: ce ne sono 3, le cui storie che si incrociano e si scontrano in continuazione e trattano le vicende dei due gangsters Jules (Samuel Jackson) e Vincent (John Travolta), Mia Wallace (Uma Thurman), il pugile Butch (Bruce Willis) e due rapinatori, Zucchino (Tim Roth) e Coniglietta (Amanda Plummer). Le storie continuano poi a incrociarsi e a causare problemi, finché Tarantino non ci regala un “tragico” quadro finale, in cui si arriverà addirittura a citare un passo della Bibbia.

In questo pellicola è frequente il tema della redenzione: molti personaggi a seguito di un evento scioccante rimangono traumatizzati, e, accorgendosi della loro situazione, decidono di redimersi. Un esempio è il gangster Jules, che dopo essere rimasto inerme da una sparatoria decide di farla finita con il suo lavoro, oppure Mia Wallace, che vediamo provata dopo aver superato l’overdose.

Questo aspetto della redenzione ricorre nel genere dei gangster movie, di cui Pulp Fiction fa parte, nonostante questa pellicola abbia anche sfumature noir. Tarantino si diversifica dai registi (e dagli sceneggiatori) dei classici gangster movie in vari modi, ma in particolare per la natura e disposizione dei personaggi. Questi agiscono sempre in coppia e, contrapposti ai criminali cruenti dei classici, vengono mostrati dei ganster logorroici e più umani.

Come nel suo film precedente, in questo vi sono dialoghi che non hanno nessun collegamento con il resto della storia, come il celeberrimo discorso sul massaggio ai piedi, oppure quello sulla “pancetta sexy di Madonna”.

Nel 1995 invece, Tarantino gira l’ultima parte della pellicola “Four Rooms”: “L’uomo di Hollywood”. Il film si compone di quattro episodi, ognuno diretto da un diverso regista, e rappresentano ciascuno uno stravagante incontro del nuovo fattorino di un hotel, Ted, con gli ospiti di quattro diverse stanze: un gruppo di streghe, due furiosi amanti, due bambini viziati e indisponenti, figli di una ricca coppia, e infine “l’uomo di Hollywood”, interpretato dallo stesso Tarantino.

Quest’ ultimo personaggio pagherà il fattorino per tagliare il mignolo al suo amico nel caso egli non riuscisse a vincere una scommessa, ovvero accendere per 10 volte di fila un accendino. Nell’episodio di Tarantino la sceneggiatura, ovviamente perfetta, mette in risalto in modo comico e grottesco l’animo esasperato di Ted e l’esilarante follia dell’uomo di Hollywood.

Nuova immagineNel 1997 Tarantino dirige “Jackie Brown”, tratto da un romanzo poco conosciuto di Elmore Leonard, scrittore statunitense, che fu co-sceneggiatore del film insieme a Tarantino. La pellicola narra la storia di Jackie, donna decisa e risoluta, che lavora come hostess e contrabbanda denaro per Ordell, uno strampalato trafficante di fucili, e i suoi due soci: un uomo sulla mezza età che trascorre il suo tempo bevendo birra e assumendo droghe e una giovane ragazza indisponente ed esasperante.

Il film mira ad esaltare la potenza femminile, attraverso il ruolo della protagonista. Jackie, grazie al suo ingegno e alla sua risolutezza, ingannerà infatti polizia e trafficanti, la giustizia e l’illegalità, ponendosi né da una parte né dall’altra, ma agendo solo per se stessa. La stessa figura di Jackie è diventata famosissima, riconoscibile a tutti e associata al particolarissimo viso di Pam Grier, che nelle vesti della protagonista del film di Tarantino interpreta senz’altro il ruolo migliore della sua carriera.

L’esaltazione della potenza della donna è nuovamente presente e portata ai massimi livelli in “Kill Bill”. Inizialmente doveva essere un singolo film. Tuttavia, a causa della eccessiva durata, la produzione ha obbligato Tarantino a dividerlo in due diverse pellicole. La suddivisione è stata dannosissima, infatti verso il finale del primo film si nota fortemente che l’opera  è  stata  ingiustamente  frammentata, a riprova del fatto che nel mondo del cinema il produttore sta acquisendo sempre più potere decisionale, causando più danni che altro.

Tarantino quindi dirigerà i due  “Kill Bill” nel 2003 e nel 2004. Le due pellicole sono sublimi e si concentrano interamente sul tema della vendetta. La protagonista (interpretata da un’eccellente Uma Thurman), il cui nome ci viene taciuto per tutta la durata del primo film, si sveglia miracolosamente da un coma durato due anni, in cerca vendetta contro una squadra di assassini chiamata “Deadly  Vipers  Assassination  Squad”.

Sotto ordine del capo della banda, il famigerato Bill, i quattro killer hanno  fatto  una  strage  durante  il  matrimonio della donna, uccidendo tutti i partecipanti e causandole il coma. Al suo risveglio la donna brama con tutta sé stessa la vendetta, intraprendendo uno strenuo viaggio che la porterà fino in Giappone, per uccidere i membri della squadra e, soprattutto, Bill.

Il cammino si rivela un continuo mettersi alla prova per superare i propri limiti e una costante riscoperta del proprio passato, un puzzle malefico che lei deve risolvere, disponendo tutti i pezzi nella maniera esatta. Nelle due pellicole Tarantino, si rivela ancora un grandissimo innovatore: ci si ritrova immersi in scene in bianco e nero, per indicare la cupezza e l’amarezza del momento; in un’altra si arriva addirittura trasformare il film in un cartone animato giapponese, per dare meglio il senso delle ambientazioni e delle atmosfere nipponiche.

Nel 2005 invece spetterà a Tarantino la regia della prima metà di “Grindhouse – A prova di morte”. Il film tratta due vicende collegate alla figura di un folle guidatore, che si diverte cercando giovani ragazze e uccidendole, dopo averle portate nella sua Chevrolet nera.

La storia è folle, strabiliante nella sua semplicità. Ci viene presentata una pellicola affatto pretenziosa, dalle tematiche elementari, eppure piena di violenza e assurdità allo stato puro. In particolare la scena dell’incidente stradale è una vera lezione di regia: ci viene mostrata quattro volte, ognuna dal punto di vista di una delle quattro ragazze nella macchina. Il tutto crea un effetto visivo di grandissimo impatto.Nuova immagine

“Bastardi Senza Gloria” è il nono film di Tarantino, girato nel 2009. In una Francia assediata dai nazisti, si intrecciano le storie di una banda di americani, inglesi ed ebrei, chiamati i Bastardi, giunti per uccidere più tedeschi possibile, di una orfana ebrea che pianifica la vendetta per l’uccisione della sua famiglia e di un generale nazista.

In questa pellicola Tarantino ha trovato un equilibrio perfetto tra sceneggiatura e regia: la prima è totalmente diversa dalle sue opere iniziali, mentre la seconda risulta migliorata. Non vi sono più dialoghi presi dal nulla e posti in mezzo a una qualunque scena che rendevano il tutto più geniale, qui quasi ogni singola battuta segue il filo conduttore della trama. Un cambiamento che fa declassare il suo tipico stile, ma necessario per la maggiore commercializzazione dei suoi film.

Un esempio perfetto è il discorso che il generale Landa tiene nella prima scena del film, calibrato perfettamente da un punto di vista retorico,  ma che comunque esce un minimo dalle righe. Il generale infatti rivela a un contadino ebreo la sua tattica per catturare i suoi simili, paragonandosi a un falco, e come il rapace pensa come la sua preda, lui deve ragionare come un ebreo.

La regia è sicuramente più ricercata rispetto alle sue prime opere: le inquadrature sono molto più complesse (anche dal  punto di vista della composizione), i colori più accesi, e più coerenti con l’atmosfera presente nella scena e con i personaggi (basti pensare al rosso acceso nello studio di Hitler, e al marrone scuro brillante del locale in cui incontrano la spia).

Come ciliegina sulla torta del film, c’è sempre questa indispensabile, quasi esagerata e talvolta ingiustificata violenza, che rende il tutto più tarantiniano. Sangue a spruzzo, coltelli che passano ovunque, incisioni su pelle: non ci viene risparmiato nulla di tutto ciò.

Il 2012 è invece l’anno di “Djando Unchained”, omaggio al classico Django di Sergio Corbucci del 1996. Django (la “d” è muta) è un giovane schiavo dell’America del 1800, che viene liberato da Shultz, un cacciatore di taglie tedesco il quale, conosciuta la storia dello schiavo, gli propone di mettersi in società con lui. In cambio avrà non solo la libertà, ma anche l’aiuto determinante per ritrovare sua moglie Broomhilda.

In questa pellicola Tarantino si focalizza su colui che nella scala sociale è considerato il meno importante: lo schiavo. Egli infatti sarà ricompensato per le difficoltà e i tormenti subiti, ricongiungendosi con sua moglie e salvandola. Il tutto viene condensato in un finale epico, che fa venire i brividi.

Molto particolare è il personaggio di Shultz: astuto e attento ai propri guadagni, ma anche uomo intelligente e leale. È interessante vederlo in contrapposizione con Django, poiché, sebbene rappresentino uno l’uomo selvaggio e rude e l’altro quello ricco e benestante, si ritrovano presto affratellati da un destino comune.

Nuova immagineUn altro meraviglioso personaggio è Calvie Candie (una delle migliori interpretazioni della carriera di Di Caprio). Candie è uno spietato latifondista che, nella sua gigantesca reggia, si diverte a far combattere gli schiavi  fino  alla  morte  o  a  concludere  scambi  per comprarne altri. Calvie rappresenta la parte marcia e malvagia dell’uomo, incarnandone tutti i sentimenti più spietati e perversi.

Anche in questa pellicola Tarantino si sbilancia in trovate geniali, prima fra tutte una sua rappresentazione delle scorribande razziste del Ku Klux Klan. I componenti di questo gruppo sono presentati in maniera grottesca e ironica, per indicarne la stupidità e ottusità.

Come concludere? Si è appena parlato di uno dei mostri sacri del cinema moderno, un regista figlio della cultura americana che è stato capace di unire a quella europea, plasmando un genere tutto suo. Un regista, anzi, uno scrittore che ha fatto entrare ogni suo film nella storia della sceneggiatura, violando spesso molte regole. Ma in questo caso la trasgressione lo ha portato a vette altissime, dal suo primo cortometraggio al suo ultimo film. Non si può dire altro per descrivere Quentin Tarantino e la sua mente geniale.

 

VIOLA DE BLASIO

GABRIELE GALASSI

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