Trappola

Esce dal labirinto di corridoi di quell’immenso edificio sotterraneo insieme ai suoi compagni. Si trovano in una sala non troppo ampia, dalle pareti spoglie e dal colore chiaro. Di fronte a loro si trova un ascensore multiplo, con quattro porte di vetro scuro. Appena sopra l’ascensore c’è un quadrante ricoperto di spie luminose. Ad entrambi i lati del quadrante vi sono tre pannelli rettangolari, dagli angoli smussati, simili a schermi di vetro smerigliato. Mandano un opaco bagliore verde. Oltre le porte si intravede un pozzo nero e ignoto.

I suoi compagni guardano verso l’alto mentre si avvicinano all’ascensore. Fissano il quadrante, seri e concentrati, alla ricerca di fluttuazioni di luminosità e di misteriosi codici.

Ad un certo punto il loro comandante fa un passo avanti e preme un tasto al lato di una porta, che si illumina di verde. Poi si gira e si mette degli occhiali, scuri come il buio aldilà del suo braccio ancora teso.

Lui lo guarda affascinato. Gli altri sono immobili. Provano tutti la stessa emozione, ma in lui è più intensa, incredibilmente intensa; trabocca letteralmente di entusiasmo: sopra, là dove l’ascensore li porterà, si apre un mondo tanto sconfinato, multiforme e meraviglioso quanto pieno di pericoli. Lì combatterà una grande battaglia. I suoi nemici sono entità sconosciute, dal potere sicuramente enorme e temibile. Rischierà la vita, e il suo destino potrà essere tremendo, ma non importa: ciò che conta è provare l’ebbrezza senza confini di quell’avventura che ha sognato per tanto tempo, e che ora si è fatta così reale e imminente, così a portata di mano, che non si è mai sentito così vivo. I suoi muscoli, il suo cuore, la sua mente vibrano di trepidazione, carichi di un’energia pronta a proiettarsi nel futuro, lassù.

Il loro capo parla: – Ricordatevi ogni istante che combattiamo per la libertà. Tu e la tua compagna ci seguirete. Tutti gli altri con me. – La sicurezza delle sue parole, la sua voce controllata e incisiva da cui traspare appena l’emozione, e l’idealismo puro e sincero, quasi innocente, della prima frase, sono ciò che serve per far salire il suo umore ancora più alle stelle.

Rimane fermo mentre i suoi compagni si dispongono di fronte alle quattro porte, a fianco del loro comandante. Può leggere sui loro volti la ferrea disciplina di ha già visto in faccia la morte e sa controllare l’adrenalina. Il largo ascensore arriva velocissimo e silenzioso, e si ferma. Si scorgono le sue pareti metalliche e il giallo chiaro della luce che lo illumina. I suoi compagni oltrepassano le aperture ed entrano, mentre il loro capo indugia ancora un attimo, guardandolo. Gli sorride, e gli dice: – Ci vediamo lassù – con voce lieve, quasi soave. Lui annuisce sognante. La luce verde dei pannelli danza ritmicamente, brillante e piena di vitalità.

Il comandante fa un passo indietro ed entra nell’ascensore. Poi guarda verso l’alto.

Dall’esterno, lui può scorgere il sorriso appena accennato sul suo volto prima che l’ascensore svanisca, rapido come era arrivato. Le immagini indistinte dei suoi compagni, tuttavia, permangono per qualche istante nei punti che occupavano qualche attimo prima, come le macchie che compaiono sulla retina quando si chiudono gli occhi dopo aver guardato una luce molto intensa. Dopo qualche secondo scompaiono. Lui si figura i suoi compagni mentre salgono lungo il tunnel, ad altezze vertiginose.

Ad un certo punto gli pare di vedere un impulso elettrico partire dal quadrante e percorrere sottili fili, cavi, circuiti e strette circonvoluzioni elettroniche. Gli sembra di scorgerlo, vagamente e incredibilmente, attraverso il metallo che ricopre il quadrante, mentre mette in moto remoti ingranaggi…

Guarda le spie luminose. Ancora non è allenato a decifrare quella complicata cascata di segnali, ma gli sembra che il ritmo sia in qualche modo anomalo. All’improvviso, lo assale l’inspiegabile timore che tutto ciò non sia previsto, e che stia per accadere il peggio. Rivolge lo sguardo alla sua compagna, che ha gli occhi fissi sullo schermo, e la sua fronte imperlata di sudore, le sue braccia tese allo spasimo e il suo terrore evidente lo riempiono di nuda paura.

La corrente sale, sale, sale, innesca meccanismi e sale ancora, fino a intercettare…

La luce nella sala si abbassa e diventa rossa e cupa, mentre un lontano clangore pervade l’aria, seguito dall’avviarsi sommesso e inquietante di bielle all’interno dell’ascensore. Due lampi accecanti ne rischiarano per un momento l’oscurità, poi scorrono verso il basso. I pannelli ai lati del quadrante si accendono di un rosso violento, cremisi: solo i due alle estremità risplendono ancora di verde.

Sul quadrante si accende una lucina gialla a intermittenza. Sui pannelli compaiono delle parole scritte in rosso a pixel molto grandi: “Attenzione! Gas radioattivo in uso fino all’area 91”.

– Sono stati sterminati dal gas radioattivo. – dice la sua compagna, con voce strozzata dalla disperazione.

Le ultime verdi speranze cadono e si mutano in un rosso cupo e rassegnato, mentre il dolore lo annienta.

-No.- sussurra.

Non ci crede. C’è qualcosa di sbagliato, di profondamente sbagliato. Non è quello il suo destino. Non può esserlo. Sul suo futuro compaiono sciami di macchie e ombre inquietanti.

-Non è possibile…-

La sua compagna si è portata le mani al viso, e singhiozza in maniera quasi inaudibile. Un atroce presentimento lo scuote dalla paralisi che lo ha preso, e lo induce a voltarsi: il corridoio dal quale sono entrati si è chiuso. E’ rimasto solo un muro, spoglio e immacolato.

“Siamo intrappolati”. La sua compagna scuote debolmente la testa e si appoggia di schiena al muro. Riesce solo a mugolare un flebile: -No…- mentre sembra appiattirsi e dissolversi.

Chilometri e chilometri di terra gravano su di lui e lo opprimono; trattiene l’angoscia che lo dilania per non farla sbattere invano contro quelle pareti. Di fronte a lui il mortale ascensore continua a frusciare e ad emettere suoni pneumatici. Nel sogno, la luce si fa più fioca e l’aria più fumosa. L’unica fonte di luce che rimane inalterata è la lampeggiante spia gialla. C’è scritto sopra qualcosa in blu, ma le lettere sono troppo sfocate e mutevoli per riuscire a leggere.

La sua speranza non riesce a oltrepassare quelle dannate pareti spesse come il mondo. Le sue possibilità di sopravvivenza non dipendono da lui: sono affidate al caso, e separate da lui da una distanza incolmabile. Ma cosa può fare per uscire da quella trappola? Chi o che cosa lo può salvare?

Si domanda quanto potrà resistere, prima essere ridotto a un relitto e di impazzire per la fame, la sete e l’isolamento.

Percepisce la solidità, l’inamovibilità delle pareti. La sua mente è paralizzata, tutto il resto è sfumato, immerso in una nebbiolina trasparente.  E’ bloccato in quel maledetto luogo, in un tetro purgatorio, anticamera di una grande impresa condannata a rimanere incompiuta. E’ in stallo, in attesa di qualcosa che non sa né se né quando arriverà a liberarlo.

In stallo. In attesa. Si siede e attende.

E intanto la lucina gialla continua a pulsare, pulsare, pulsare…

 

ALESSANDRO VIGEZZI

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