Ultimo Monologo

Eccoci qui. Come al solito ridotti all’ultimo momento, io e il mio foglio. Sto facendo del mio meglio per allontanare ogni dimensione esterna e ridurmi minutamente nella mia realtà preferita, così silenziosa, imperturbabile. Plasmandola, la visualizzo come una stanza dal pavimento in legno cigolante e tante finestre lungo la parete circolare; è grazie a loro che spesso mi ritrovo ad osservare vari orizzonti. Raccogliendo le gambe tra le braccia, mi ritrovo al centro, immersa nel vortice delle diverse brezze provenienti dai mondi esterni.

Chiunque abbia scritto sulla Lucciola sa esattamente a cosa mi riferisco. Ciò che io ho ben chiaro nella mia mente, molti possono immaginarlo in modo diverso: una vecchia scatola impolverata da cui pescare tesori nascosti, un album dimenticato di fotografie, i cui volti sono in grado di trasportarti in una vita nuova… ma cosa dico una, mille vite diverse disposte davanti gli occhi meravigliati della tua fantasia, confusi e affascinati dalle molteplici vie da poter intraprendere.

Solo pochi minuti fa, mentre imperterrita iniziavo a smanettare sulla tastiera di questo computer, vagando tra  parole, più o meno sensate, priva di una meta precisa, sono affiorati innumerevoli volti, sensazioni, persino suoni piacevoli da cui attingere.

Questo è ciò che mi piace della scrittura, la possibilità di immedesimarmi completamente in una situazione, anche brevissima, magari completamente estranea alla mia realtà, e poterla osservare con minuziosa calma da ogni angolatura, così da immortalare permanentemente un pezzetto del mio mondo segreto, e farlo assaporare, sillaba dopo sillaba, a chiunque possieda un’indole curiosa e desiderosa di nuove esperienze.

Decostruire la superficie di un banale e superficiale momento, giungendo, in fine, alla sua resa più viscerale e autentica. Spaziare con l’ingegno e trovare il modo più efficace per riportare la verità, o per narrarne altre più personali.

Per l’ultimo numero della Lucciola, della mia vita, però, procedendo a tentoni tra le idee stipate nella mia testa, ho deciso che un semplice monologo avrebbe chiuso perfettamente questa annata. Ripenso inevitabilmente ai primi anni qui dentro, quando l’esistenza di un giornalino scolastico mi aveva proiettato in una dimensione ricca di possibilità e aspettative, entrata subito in forte contrasto con le insicurezze di una quartina di tredici anni. E allora ecco riapparire quei fogliacci delle ore di buca, il retro di anonimi quaderni scarabocchiati da pensieri confusi e quegli scritti, così pochi da contarsi sulle dita di una mano, rigorosamente in anonimo, mandati durante sprazzi di folle sicurezza, così poco credibili da non essere riletti, pubblicati o meno, nemmeno dall’autrice stessa.

Penso che ognuno di noi abbia un disperato bisogno di esprimersi, un egocentrismo innocente da dover assecondare liberamente. Eccomi qui infatti, al mio ultimo anno, a decantare fluentemente concetti e parole, finalmente senza prestare la mia identità ad anonimi o a ballerine degli anni ‘30!

Probabilmente avrei potuto trovare argomenti e aneddoti molto più adatti a rappresentare ciò che provo in un commovente congedo di fine anno; eppure questa volta penso sia meglio per tutti trattenere il più possibile la dilagante malinconia che sto assaporando in questi giorni. Facendo un bilancio di questi cinque anni di liceo, posso dire di uscirne (niente scongiuri!) positivamente, sicuramente temprata nello spirito, merito dei verbi greci e dei costrutti latini, ma probabilmente impreparata a qualsiasi tipo di maturazione.

Talvolta mi ritrovo completamente rapita da ciò che mi aspetta oltre il cancello rosso; in altri momenti però non riesco a immaginare una routine priva della consueta camminata, un po’ svogliata, lungo via Algardi, della colpevole indifferenza nei confronti di chi alle 8.20 di mattina ha il coraggio di pretendere da me una partecipazione attiva verso chissà quale dibattito, o dell’estasi del povero Luciano morente che mi accoglie all’inizio delle scale.

Penso che mi mancherà tutto di questa scuola, anche ciò che più violentemente ho odiato e continuo ad odiare; dalle dannate formiche sui gradini della palestra, al fondo del corridoio del lato destro del secondo piano, così poco frequentato; persino quel tizio che in quarto ginnasio, con le sue scarpe da vecchio, inciampò addosso a me durante il concerto di Natale.

Inevitabilmente mi sono fatta prendere dalla nostalgia. In un momento di melenso sentimentalismo, leggermente inopportuno, mi verrebbe spontaneo salutare calorosamente tutti e ringraziarli anche immeritatamente pur di costringere la mia memoria a non offuscare nulla di quanto ho vissuto, in futuro. Per adesso spero di non avere rimpianti, soprattutto riguardo ciò che sto scrivendo, in quanto potrei continuare a dilungarmi per pagine e pagine. La verità è che non vorrei mai concludere questo monologo ma penso che questa sia proprio la frase più adatta con cui terminarlo.

GINEVRA

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