Risveglio

Schiudendosi pian piano, i sensi, come i petali di un fiore, lasciavano filtrare via il sonno e riprendevano, così, coscienza del mondo ormai dimenticato dalla sera prima. Lentamente, ogni centimetro di pelle, ogni nervo, veniva invaso dall’impercettibile forza vitale che, passivamente, tutti i giorni, spingeva Mary a trascinare avanti le ruote cigolanti della sua vita, talvolta troppo arrugginita.

E così proseguiva questo lievissimo adagio, intonato dal ruvido fruscio delle lenzuola bianche, strettamente avvolte lungo le armoniose curve che delimitavano il candido incarnato. Non aveva la minima intenzione di abbandonare quella rassicurante posizione, spaventata dalla pungente brezza dell’alba, bramosa di un’estate non ancora imminente, che l’avrebbe accolta una volta alzata. La mente di Mary si sentiva leggera come le piume racchiuse dal cuscino su cui era abbandonata la folta chioma bruna, eppure colma di variegate sensazioni che continuavano a trattenerla nel letto.

Al sicuro, coperti velatamente dalle palpebre sottili, i verdi occhi, ancora pieni di sonno, pesantemente iniziavano a muoversi a scatti, infastiditi dai primi raggi di luce filtrati attraverso la serranda. Il buio, debolmente illuminato, in cui la sua vista era profondamente immersa da ore, a tratti veniva scomposto da diverse macchie colorate, sprazzi di energia cromatica tra le quali danzare, immaginando infinite possibilità che non si sarebbero mai realizzate. E improvvisamente l’affiorare di un ricordo… ambigua era la sensazione che gradualmente assaporava all’introdursi di questo tra le viscere del suo cervello.

Inconsciamente, decise di contaminarlo, con qualche desiderio o aspettativa nascosta che in passato non erano stati in grado di volgere quell’avvenimento verso un esito migliore. Cominciarono quindi a prendere forma sentimenti ed emozioni vissute e che sperava di non aver perduto. Il rumore dell’acqua della doccia già in funzione e le successive impronte dei piedi umidi sul pavimento; il profumo del caffè, inerpicato lungo il fumo proveniente dalla tazza precariamente adagiata sul vassoio posato sul materasso. Quasi era riuscita a plasmarsi di nuovo, anche se solo mentalmente, in quella piacevole realtà che in lontananza, come da un universo perduto, iniziò ad echeggiare un suono fastidioso; emerse dai piani più profondi della sua anima per giungere infine, martellante, a infrangersi contro i suoi timpani.

All’interno della sua testa, tutto ciò che la dormiveglia aveva costruito, iniziò a sgretolarsi inesorabilmente per poi crollare rumorosamente, insieme al suo corpo, sul pavimento. Le braccia allungandosi disperatamente, avevano cercato di afferrare anche solo una sfumatura di quanto avevano pensato di vivere pochi istanti prima, eppure avevano incontrato solo il vuoto, talmente sfuggente che l’avevano sbilanciata e fatta atterrare per terra con tutte le lenzuola. Mary aprì gli occhi, uno dei quali parzialmente soffocato dalla guancia schiacciata sul parquet. L’aria del primo mattino percorse rapidamente la superficie della pelle che rabbrividì.

La sveglia giacente vicino al letto, con il quadrante all’aria, continuò imperterrita a infierire fin quando, con gesto deciso, venne messa a tacere. Goffamente, Mary si alzò sulle gambe intorpidite e con un vorace sbadiglio iniziò a stiracchiarsi in modo da far riprendere, attivamente, al sangue la sua circolazione abituale. Con un piede fece un passo e subito la memoria tattile, rivissuta prima, si tramutò piacevolmente in una rassicurante esperienza corrente. Allontanando l’amarezza e le insicurezze con cui il sogno l’aveva fatta vacillare, dimenticandosi del proprio presente, felicemente seguì, fino in cucina, le familiari impronte umide sul pavimento, pronta a reclamare il suo caffè.

GINEVRA

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