I giovani come relitti nel mare del Nulla

Cosa significa nichilismo? Secondo Umberto Galimberti vuol dire – e affermare – che l’etica di vita, la virtù e i “valori supremi perdono ogni valore”.

Nel tardo Illuminismo, nel 1888, Nietzsche scriveva: “Il nichilismo è alle porte, lo capirete fra cinquant’anni.” Se ci guardiamo intorno (è sempre Galimberti a dirlo) dovremo convincerci che noi ce ne stiamo accorgendo dopo poco meno di un secolo e mezzo. E allora, seppure con ritardo, il “Nulla” e la distruzione dei valori (e dei diritti) è giunta paradossalmente con l’ascendere del tenore di vita, con lo sfrenato consumismo, con la tecnologia pervasiva e devastante; in una parola: col mondo globale in cui l’85% della ricchezza risiede nelle mani (e nelle tasche…) di pochi, mentre dilagano povertà e paura del futuro incognito.

I nichilisti degli anni Duemila figurano principalmente tra i giovani e gli adolescenti, quelli che fino agli anni Novanta, col silenzio compiacente    dei    genitori,    erano   i   Narcisi

innamorati del proprio giubbotto, dell’orecchino al naso. Padri e madri, ostili e lontani dalla “Scuola di Telemaco” (Recalcati: “L’Ora di lezione”) non esitavano a ricorrere al dirigente scolastico (se non all’Ispettorato ministeriale) iracondi  perché  un…  incauto   insegnante  s’era permesso di affibbiare un quattro al compito di  greco del figlio, somaro patentato e nullafacente per vocazione…

A quei valori perduti di cui parla Nietzsche è seguita la mancanza di scopi, di adeguate risposte ai “perché” del vivere; eccoci quindi al “nichilismo passivo” di chi si rassegna. La prima risposta (o se volete il primo espediente) a questa rassegnata passività, credo possa essere l’avviarsi sulla strada del “nichilismo attivo”. Almeno.

Perciò noi giovani non dovremmo limitarci a sperare, aspettare (chi? Che cosa?), ma dovremmo tentare di affrontare il domani fermamente decisi a non piegare le ginocchia. A non farci sommergere dall’oceano dirompente del Nulla, le cui acque, alla stregua dei frutti del loto omerico, ci condurrebbero verso un lento e strangolante Oblio.

Siamo, invero, biologicamente lontani da quella tanatofobia che stringe il cuore di chi questa vita, anche se triste, non vuole lasciarla.

 ANDREA MASSIMI

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