Antiche forme d’arte… marziale

Questo mese, quando il nostro (BEL!) Direttore è venuto ad intimarmi incoraggiarmi a scrivere un articolo, ha aggiunto una postilla interessante: “Davide – mi ha detto- se scrivi ancora di film o fumetti io ti calcioroto”. Certo, non ha usato queste precise parole, né alcun tipo di allusione a una qualsiasi forma di violenza fisica, ma sono abbastanza sicuro che la sostanza fosse questa. Dunque, ritiratomi nella mia stanzetta a meno di un giorno dal limite per consegnarlo, mi sono chiesto: “Mmm, di cosa mai potrò parlare, ordunque?”. La risposta è arrivata insieme al puzzo di morte e di antica cultura cinese che si sollevava dalle mie scarpe da ginnastica: Gong Fu. “E che roba è?” chiederete voi. Pazientate, per favore. “Gong fu” è la traslitterazione secondo il codice pinyin della locuzione cinese “功夫”, meglio conosciuta tramite una disusata forma di traslitterazione britannica, “Kung Fu”. Passiamo quindi da discorsi riguardanti arti figurative come lo sono il fumetto e il cinema a discorsi riguardanti un tipo di arte più… marziale. Partiamo dunque dal nome: cosa significa? Le risposte che ho ricevuto a questa domanda sono state le più disparate, da traduzioni generiche tipo “lotta” ad altre ben più fantasiose, come ad esempio “fermare l’alabarda(???)”.Immagine

La verità però è che questa parola non si riferisce a nulla di marziale, e anzi significa “abilità maturata attraverso la pratica costante nel tempo”, in senso lato. Quando si parla del sistema di arti marziali cinesi, infatti, si parla più propriamente di “Wushu” (“武术” , da wu, “spedizione militare, guerra” e shu, “arte”). Ma allora perché quando dico alla gente che pratico il “Wushu” di solito mi rispondono: “Salute!”? Si tratta di un malinteso storico: quando i primi “film di botte cinesi” cominciarono a raggiungere l’Occidente, gli adattatori e i doppiatori si ritrovarono con un bel problema da risolvere; infatti un concetto che in cinese si esprime con una parola, in una qualsiasi lingua europea potrebbe necessitare di un’intera proposizione per essere espresso, rendendo impossibile il mantenimento del “lip sync”.

La soluzione posta a tale problema fu semplice quanto geniale: si lasciarono senza traduzione i vocaboli più fastidiosi, e via a festeggiare per l’ottimo lavoro svolto. Quindi, quando il protagonista di turno si ergeva sporco di sangue fino ai gomiti, a petto nudo e con un’espressione truce in volto davanti al nemico che giaceva sconfitto e/o ferito a morte ai suoi piedi, non esclamava: “Questa è l’abilità che ho maturato attraverso la pratica costante nel Immaginetempo!”, ma diceva più semplicemente: “Questo è il mio Gong Fu” (che poi è una cosa indubbiamente più drammatica da dire a un nemico  che  giace  a  terra  sconfitto  e/o ferito a morte).

Altro errore comune che si commette parlando di Gong Fu è quello di definirlo come un unico stile, magari quello di Bruce Lee. Niente di più sbagliato. Prima, dando la definizione di “Wushu” ho parlato infatti di sistema di arti marziali: questo perché con tale termine si indica l’insieme di tutti gli stili di arti marziali cinesi, che sono circa 80. All’interno di tali stili bisogna inoltre operare una distinzione, che li divide in stili esterni e stili interni. I primi, di gran lunga i più numerosi, si affidano ad un attacco impetuoso e travolgente e accolgono nel proprio numero oltre settanta stili, quali il Wing Chun (“永春”), il Tang Lang (“螳螂拳”), l’“Hung Gar (“洪家拳”), lo strafamoso Shaolin (lo stile dei monaci Shaolin, “少林拳”) e molti altri ancora.

I secondi, invece, fanno affidamento su proiezioni, leve articolari e attacchi che mirano ai punti vitali del corpo umano, rendendo possibile la risoluzione di uno scontro utilizzando un’unica, devastante tecnica. Sono chiamati “interni” perché meno impetuosi e più “studiati”, e perché integrano esercizi di tipo “interno” (QiGong), mirati quindi all’accrescimento del “Qi” (“respiro”, “spirito vitale”) –indispensabile nella pratica marziale – nel combattimento, al contrario degli stili esterni, che dividono i settori. Gli stili interni sono solo tre: Taijiquan (“太極拳”), Xingyiquan (“形Immagine意拳”) e Ba Gua Zhang (“八卦掌”). Per la cronaca, lo stile che Bruce Lee praticava nei suoi film era il Jeet Kune Do (“截拳道”), uno stile che lui stesso aveva creato attraverso una commistione fra la boxe cinese e il Wing Chun. Quest’ultimo lo aveva appreso da uno dei maestri più importanti di tutti i tempi: Yip Man, il primo ad aprire l’insegnamento delle arti marziali cinesi a chiunque volesse apprendere, dato che fino ad allora divenire un allievo era qualcosa di estremamente complicato ed elitario.

Nonostante il Jeet Kune Do funzionasse sul suo corpo, però, non ebbe il tempo di stabilire principi generici efficaci in grado di farlo funzionare sul corpo di chiunque a causa della sua morte prematura.

Altro  punto importante di ogni stile sono poi le forme, ovvero sequenze di movimenti codificati e simili a una danza che contengono al proprio interno tecniche più o meno nascoste, in modo tale da tramandare la conoscenza dell’arte in questione senza farla trapelare all’esterno. Importante anche la pratica con le armi, ritenuta indispensabile in molti stili.

ImmagineMa il Gong Fu è anche molto altro: filosofia, medicina, strategia… tanto che, se dovessi parlarne più approfonditamente, mi servirebbe molto, molto più spazio e molta, molta, molta più conoscenza.

Con questo articolo spero di aver stimolato il vostro interesse nei confronti di questo tipo di pratica marziale. E ricordate che Gong Bao Tian, uno dei più grandi maestri di Ba Gua Zhang, che per hobby salvava la vita all’imperatore e schivava proiettili, era alto 1.58 metri. Se lui è diventato così grande, non c’è alcun motivo per cui voi non potreste diventare bravi anche solo un decimo di quanto lo fosse lui…

 

DAVIDE RUBINETTI

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