Inumanità

Cadde la neve e mi accorsi che era la prima volta che la vedevo nella mia città, ma quel pensiero non mi aiutò a dimenticare i boati che sentivo in lontananza [battito]. Era iniziato tutto in qualche città lontana dalla mia: venti megatoni avevano spazzato via venti milioni di abitanti nella stessa frazione di secondo in cui mio figlio stava giocando con una farfalla in giardino; poi il caos [battito]. Fui arruolato e dovetti allontanarmi dalla mia famiglia negli stessi attimi in cui “l’arma che si promise di non usare più” strappava via la carne a tre miliardi di persone [battito]. Incredibile quanto l’uomo fosse riuscito a migliorarla rispetto al passato: adesso chi era a un raggio di trenta kilometri dall’epicentro dell’esplosione moriva carbonizzato, gli altri avrebbero dovuto convivere, anche se per poco tempo, con i corpi deformati orribilmente [battito]. Ancora neve quando mi misero la maschera per la prima volta e da allora non me la sono più tolta. Mi spedirono nella periferia di una cittadina a quaranta kilometri da Città del Capo per finire coloro che erano sopravvissuti allo scoppio.

Quattro miliardi di morti dopo soli tre giorni, [battito], e l’unica spiegazione è che eravamo diventati troppi: le politiche agricole e l’assenza di un qualsivoglia piano regolatore a livello globale avevano portato a un picco esacerbante della popolazione, ed è così che si decise che eravamo troppi, semplicemente troppi [battito]. Nessun altro motivo valido se non la paura di non essere più sostenuti dal nostro pianeta, o almeno così ci lasciarono credere [battito]. Era una giornata di primavera quando freddai la mia prima famiglia: padre, madre e quattro bambini utilizzando una semplice pistola, d’altronde non serviva altro per prendersela con persone assolutamente indifese [battito].

Coloro che non erano stati uccisi dalle esplosioni o che erano sopravvissuti alle radiazioni erano riusciti a riadattarsi, ed è incredibile quanto l’uomo nel momento di massima disperazione riesca a dimostrare un attaccamento alla vita che supera qualsiasi limite [battito]. Fummo attaccati, e così cominciò il mio annichilimento [ricarica]: mi sostituirono stomaco e polmoni con organi d’acciaio, freddi e sterili per rimpiazzare quelli malati unicamente per il mio grande contributo alla guerra. Nevicava quando m’informarono che la mia famiglia era rimasta straziata dallo scoppio [battito].

Guidai una spedizione punitiva. Venimmo con maschere antigas e lanciafiamme e bruciammo le tane di quelle povere persone; se prima provavo pena per coloro che uccidevo ora invece quel posto nel mio animo era occupato solo dall’odio [battito]. Quella neve che cadeva in continuazione strappava via la pelle, la faceva incrinare come carta da parati bagnata o la legna nel fuoco: mi misero una tuta oltre alla maschera [battito]. I nostri nemici si erano evoluti ancora meglio togliendosi gli arti malati e sostituendoli con macchine che gli donavano una forza sovraumana ed è così che iniziarono a schiacciarci [battito].

Mi tolsero la tuta e mi amputarono le braccia e le gambe per “implementarmi”, almeno così dicevano ma dopo ciò non so nient’altro: le radiazioni mi avevano avvelenato il sangue, avvelenato il cibo che mi facevano mangiare e l’acqua “depurata” che mi facevano bere; non ci volle molto prima che il mio cuore collassasse del tutto [battito]. Quando mi risvegliai il governo era caduto dopo appena qualche mese, distrutto dalle stesse radiazioni delle bombe che avevo aiutato a sganciare e a fabbricare [battito]. La maschera piombata era ancora sul mio viso, il mio nome sostituito da un numero mentre raccolsi le forze per alzarmi dal letto; impugnai la pistola e mi avviai verso l’uscita del campo militare, [battito] ma quando fui all’aperto mi sembrò tutto così profondamente cambiato: tutto aveva perso il proprio colore, quasi anche il volume, come se tutto fosse stato semplicemente un riflesso sui vetri della maschera che mi permettevano di vedere [battito].

Da allora sto ricercando uno scopo per questa mia vita, ma dopo la morte di dieci miliardi di persone sembra tutto così vuoto e silenzioso. Ora non ho più paura del sovraffollamento, temo la solitudine [battito] che fa in modo che il mio unico compagno sia il battito che mi perseguita. Ogni volta che i due litri di sangue che mi sono rimasti completano un giro del mio corpo io sento questo [battito]. Non mi ci volle molto a scoprire che mi avevano sostituito il cuore con una pompa di metallo, solo che i tagli alla “sanità” del periodo costrinsero i medici a montarmi un cuore a carica manuale che mi costringe a porre ogni volta mano alla manovella che fuoriesce dal mio pettorale sinistro [ricarica], esattamente ogni dieci battiti.

Non devo mangiare né dormire e quasi invidio coloro che mi sono stati portati via, ma ora almeno capisco di essere io stesso il prodotto della pazzia che ha portato a tutto ciò [battito]. L’ho capito qualche giorno fa, vedete: ero entrato in una casa alla ricerca di olio per lubrificare i miei ingranaggi e lì incontrai un sopravvissuto; ovviamente gli puntai la pistola ma lui no, lui non si mosse e rimase a guardarmi [battito]. In quegli occhi vacui e nella totale assenza di quella iniziale voglia di combattere capii che quell’arma aveva raggiunto il suo scopo originario: disumanizzare. I sopravvissuti erano diventati come una fiamma alla quale è stato tolto il colore e dopo che sparai in testa a quell’uomo rimasi lì a fissare per qualche minuto il suo corpo [battito] dal quale non usciva quasi per niente sangue.

Se solo potessi tornare indietro nel tempo avvertirei chi posso di non restare indifferente alle cose che lo circondano, lo urlerei, urlerei di togliere la maschera che io ho compreso di aver indossato fin dall’età di sedici anni nel 2015 [battito]. La mia maschera a gas, la stessa che fino ad allora mi aveva tenuto in vita, non mi aveva permesso di vivere: nel senso che nascosto com’ero sotto quello strato di piombo e pelle non riuscii a capire che il mondo diventava sempre più plumbeo e che lentamente si stava spegnendo [battito] davanti ai miei occhi. La stessa cosa quando ero giovane, quando l’indifferenza mi portava unicamente a piacere ai miei vicini fregandomene degli altri; così venne prima la paura e poi l’intolleranza [battito]. La stessa paura che ora tiene le poche migliaia di sopravvissuti divise senza che si accordino per la creazione di un nuovo mondo.

Che mondo mai potrebbe essere, dopotutto? Come potrei io tornare a guardarmi a uno specchio dopo tutto quello che ho fatto [battito]? Quando i tedeschi aprirono i lager il loro volere era di distruggere l’umanità degli ebrei privandoli di qualsiasi cosa, rendendoli bestie che una volta liberate non sarebbero riuscite più a parlarsi né a guardarsi: io non parlo da tre anni [battito]. Si era utilizzata la bomba la prima volta nella speranza di una vittoria veloce che permettesse la conquista e la ripopolazione successiva senza contare che la popolazione rimasta non sarebbe stata più umana [battito]. Mi hanno privato di cuore, polmoni, stomaco, fegato e milza, di braccia, gambe e delle più importanti ghiandole tant’è che sono più che altro una macchina che no, non ha il coraggio di togliersi la maschera per guardarsi [ricarica].

Ho deciso che non ucciderò più, d’altronde la possibilità di incontrare altri sopravvissuti è relativamente bassa ma anche per un altro motivo: continuo a ricaricare questo mio cuore che non mi lascia dormire, desidero non dover più uccidere poiché non voglio perdere quell’ultima scintilla che dà vita alla mia anima se ancora ce n’è [battito]. No… io non mi toglierò la vita solo perché sembra la via più facile, mi hanno tolto tutto e non gli lascerò togliere anche l’ultima briciola di umanità che mi è rimasta: la speranza [battito].

  CENERE

 

 

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