Il Ragazzo Invisibile e il cinema di genere

Il 18 dicembre dell’anno scorso è uscito in tutte le sale italiane “Il Ragazzo Invisibile”, film di Gabriele Salvatores (noto per importanti pellicole quali Nuovo Cinema Paradiso e Mediterraneo,) che racconta la storia di Michele Silenzi, dodicenne originario di Trieste la cui vita verrà stravolta dalla scoperta, come da titolo, del potere dell’invisibilità. Il film, girato con un budget di otto milioni di euro – comunque  molto pochi per un prodotto del genere – ne  ha incassati, in cinque settimane di programmazione, circa  4.500.000, rivelandosi dunque un flop al botteghino. E questo è un vero peccato. Infatti un film di supereroi girato da un “mostro sacro” della filmografia italiana come Gabriele Salvatores avrebbe potuto mettere in moto una vera e propria rivoluzione all’interno del panorama cinematografico italiano: se infatti Salvatores si mostra interessato a progetti di questo tipo, allora perché anche altri registi e case di produzione non dovrebbero raccoglierne il testimone, e magari creare una sorta di nuovo  “cinema di genere” italiano?

ImmagineGià, ma cos’è il “cinema di genere”? Secondo Wikipedia, “Il cinema di genere è un’etichetta con cui si definisce un certo tipo di cinematografia popolare,  sviluppatosi in Italia tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni ottanta”. Fanno dunque parte di questo filone tutta quella serie di B-movies, solitamente horror o fantascientifici, che tanto fanno ridere noi che li riguardiamo oggi negli anni Duemila, ma anche molti capolavori indiscussi come i tanti film di Lucio Fulci e i famosissimi spaghetti western,  che fra le altre cose hanno “consacrato” stelle del cinema come ad esempio il grande Clint Eastwood.

Ciò che ha sempre bloccato i registi che si dedicavano a questo tipo di film è sempre stato il problema degli effetti speciali: con il poco budget a loro disposizione faticavano a ricreare scene e atmosfere calzanti con i loro prodotti, e gli incassi non davano spazio al miglioramento, essendo solitamente molto bassi e perlopiù provenienti dal mercato dell’Home Video, visto che la stragrande maggioranza di queste pellicole non vedevano il buio delle sale. Nonostante questo, però, noi italiani siamo sempre riusciti a distinguerci in quest’ambito grazie a trame mai scontate e sempre originali, appartenenti a film passati in sordina perché svantaggiati rispetto alle grandi produzioni hollywoodiane, o loro conterranee, fin troppo trash.

Anche oggi, la difficoltà rimane: nonostante l’avvento della CG (Computer Grafica), i costi da sostenere per la realizzazione di un film che si presenti bene sotto il profilo tecnico sono comunque alti, e i lavori delle case indipendenti – le maggiori produttrici di cinema di genere al giorno d’oggi – non  riescono ad emergere a causa delle stesse problematiche incontrate dai loro predecessori trent’anni prima. Ed eccoci dunque nuovamente al punto: Il ragazzo invisibile avrebbe potuto comportarsi da vero eroe e cambiare le cose. Se le grandi case mettessero i loro fondi al servizio delle piccole produzioni si potrebbe creare un nuovo cinema di genere italiano. E non ci sarebbe nemmeno bisogno di fare troppa fatica nel ricercare soggetti adatti: cosa ci vorrebbe, ad esempio, a trasformare la recente space opera fumettistica di Roberto Recchioni, Orfani, in un film di fantascienza esplosivo e pieno di effetti speciali? O, ancora, a trasformare uno dei personaggi cartacei italiani più amati degli ultimi trent’anni, Dylan Dog, in una serie televisiva che, magari, ricalchi la trama dei più belli episodi della testata Bonelliana dedicata all’Indagatore dell’Incubo, visto anche il successo ottenuto dalle serie TV negli ultimi tempi? La risposta a entrambe le domande è una sola: la voglia di investire in qualcosa di nuovo.

 

DAVIDE RUBINETTI

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