Il Cavaliere e lo Specchio

C’era una volta un nobile cavaliere che, in sella al proprio destriero, aveva compiuto per tanti anni mirabili imprese nel suo reame. Un giorno, mentre si trovava a corte, giunse uno straniero incappucciato a rendere omaggio al sovrano e a offrire a qualunque valoroso un compito assai semplice; il recupero di un antico specchio, appartenuto alla sua famiglia e ora incustodito nel vecchio castello del casato. Fu proprio il cavaliere a prendersi carico dell’impresa e, messosi in cammino, attraversò grandi valli e foreste silenziose prima di giungere in vista dell’imponente maniero. L’intera fortezza era in rovina e arbusti e rampicanti strozzavano le torri diroccate; soltanto il mastio si ergeva in quella desolazione. Il cavaliere varcò l’alto portale e si ritrovò in un salone scuro, con i vessilli che ancora ricadevano stracciati fra le travi. Il giovane paladino vagava da un po’ per le vuote stanze della dimora, quando d’improvviso eccolo entrare in una biblioteca vasta e polverosa. Dinanzi a lui si trovava, tra due lunghe file di librerie, un enorme specchio racchiuso in una fulgida cornice dorata. Il cavaliere si avvicinò, si tolse l’elmo e rimase ad ammirare la propria immagine. D’un tratto la superficie parve tremolare come uno stagno turbato dal vento. Si accostò al riflesso e il suo sguardo fu assorbito da un cangiante vorticare di immagini. Grandi città con alti castelli di vetro e acciaio e creature metalliche dagli occhi luminescenti che guizzavano nelle strade. Questi luoghi sembravano però soffusi di un grigiore indefinito, un’opaca pesantezza che soffocava le emozioni. Fu allora che si avvide della presenza di qualcuno. C’era un uomo di fronte a lui, in un letto. Un uomo attaccato a delle macchine che emettevano suoni ritmici. Ticchettii di sconfinata malinconia che scandivano quel riflesso di solitudine. Il cavaliere non credeva che sarebbe stato così doloroso ricordare; tornare a guardare una vita seppellita in un sonno che di magico non aveva proprio nulla. I suoi occhi si velarono di tristezza. “Cosa fare se si è destinati a dormire per sempre?”. Guardò l’uomo un’ultima volta, poi rimise l’elmo. “Sognare” si disse.

 

 

ANDREA MASSIMI

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