Tra Carduchi e Pyd: l’eterna lotta dei Curdi

In alto ancora la notte dispiegava il suo manto stellato, in basso il Tigri placido scorreva e un lieve vento d’oriente soffiava. I focolari sparsi del greco accampamento ancora risplendevano, le fiamme al cielo si levavano, uomini e animali dolci sonni dominavano.

In quell’ultimo erbido lembo di mesopotamica pianura tutto era quiete. Quand’ecco, un bisbiglìo soffuso, un lento scalpiccìo, un barrito penetrante: la salpinge risuonava. L’intero accampamento si ridestava. Pochi preparativi e subito la marcia riprendeva, una meta obbligata attendeva la lenta carovana: quegli alti profili di montagne che a occidente nell’oscurità si perdevano e ad oriente fra i primi bagliori aurorali si stagliavano. Dalla pianura alla montagna, dal corso lento del Tigri a quello vorticoso del Centrite, dall’agricoltura alla pastorizia, dai Persiani ai Carduchi: ad un’altra regione, ad un’altra cultura, ad un altro popolo Senofonte e il suo seguito si accostavano. Un altro mondo, non il mondo opulento e ingannatore dei Persiani, ma il mondo verginale ed inaccessibile dei Carduchi. Questo era quell’angolo di terra fra Mesopotamia ed Armenia ai tempi di Senofonte: villaggi sparsi nelle gole, numerosi utensili metallici, spirito battagliero, stretti legami familiari, donne combattenti: la Corduene dell’ebraico Targum e di Cassio Dione, la Carduchia di Senofonte, la Gorduene di Strabone e Ammiano Marcellino, il Kurdistan di oggi. In un succedersi di aspre repressioni e momenti di libertà, venticinque secoli, tante invasioni e altrettanti imperi, momenti di prosperità e battaglie sanguinose sono trascorsi. Sempre stretti nella morsa di grandi potenze, disposte perfino ad allearsi pur di sconfiggerli, la loro storia è stata una continua lotta per un’indipendenza, mai giunta a totale compimento. Dai re persiani ai militari turchi, dai re armeno e parto, Tigrane il Grande e Fraate III, ai dittatori di Iran e Iraq, Reza Pahlavi e Saddam Hussein, dai primi califfi arabi ai governatori inglesi, dai Safavidi agli Ottomani innumerevoli sono stati i nemici dei curdi, ben pochi gli amici.  E quando il 19 novembre 2012 le brigate del gruppo islamico qaedista Al-Nusra sferrarono nella città di Ras Al-Ayn un deciso attacco contro un checkpoint del gruppo politico curdo Pyd, appendice siriana del ben noto turco Pkk, per i curdi si trattava soltanto dell’inizio di un ennesimo conflitto di difesa della propria, pur parziale, autonomia. L’esercito governativo siriano, infatti, già nel luglio di quell’anno, con lo scopo di concentrare le proprie truppe in aree più strategiche, Aleppo e Damasco in primis, si era ritirato da tutta quell’area di Siria a maggioranza curda, con le sole eccezioni di alcune presenze in posizioni militarmente rilevanti come il centro, l’aeroporto e il posto di frontiera con la Turchia di al-Qamishli, alcuni quartieri di al-Hasakah e due basi militari. Il Pyd e il suo braccio armato, lo Ypg, i meglio organizzati ed armati fra i gruppi curdi rafforzatisi o formatisi in seguito allo scoppio della guerra civile siriana, hanno, pertanto, potuto facilmente prendere il controllo di quell’angolo nord-orientale del paese e delle altre aree curde situate più ad ovest, quelle intorno alle città di Efrin e Kobane. Tacitamente, dunque, Damasco aveva acconsentito ad una libera gestione della zona da parte del Pyd, pur opponendosi ufficialmente ad alcune iniziative prese dall’amministrazione curda, quali l’introduzione dell’insegnamento della lingua curda a scuola e la creazione di un nuovo sistema giudiziario parallelo a quello del regime siriano. Nonostante tali rapporti rimangano controversi ed evidente sia la divergenza di interessi, soprattutto per quel che concerne l’organizzazione della regione in una futura, ipotetica, Siria pacificata, Assad non appare, per il momento, interessato ad aprire un nuovo fronte militare, né tantomeno il Pyd nelle condizioni di difendersi da eventuali attacchi aerei del regime alle infrastrutture civili e militari della regione, a maggior ragione essendosi trovato a più riprese nella necessità di fronteggiare anche i ribelli arabi, legati sia all’Esercito Libero Sriano (Esl), il più rilevante fra i gruppi laici di opposizione al governo centrale, che al fronte al-Nusra, movimento affiliato ad al Qaeda nato con lo scopo primario di abbattere il regime e di sostituirlo con uno stato di matrice islamica avente la Sharia come legge positiva.

Il maggior pericolo per i curdi di Siria non è, tuttavia, costituito né dall’Esl, ben presto privato del suo ruolo egemone nella lotta contro il governo di Bashar, né da al-Nusra, ormai estromessa dall’est del paese, entrambi ripetutamente sconfitti dallo Ypg a partire dalla battaglia di Ras Al-Ayn, iniziata, appunto, il 19 novembre 2012 e terminata, in seguito a tre fasi di aspri combattimenti, con una netta sconfitta araba il 17 luglio 2013, ma l’avanzata di quello attualmente conosciuto come Stato Islamico (Is), evoluzione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), a sua volta nato dallo Stato Islamico dell’Iraq, fondato nell’ottobre del 2006 da al-Masri e da Abu Omar al-Baghdadi nell’Iraq sunnita per continuare l’azione di lotta contro le truppe americane allora stanziate in Iraq, anche dopo la morte, del leader di al-Qaeda in Iraq al-Zarqawi. Abu Bakr al-Baghdadi, il successore di al-Masri ha, infatti, dato avvio, a partire dalla definitiva rottura con al-Nusra avvenuta fra aprile e giugno 2013, ad una vasta penetrazione nell’est della Siria che ha portato l’Isil ad affrontare lo Ypg nella regione di al-Hasakah. L’esito di tali scontri è stato nella maggior parte dei casi favorevole alle milizie curde che sono riuscite a consolidare il controllo sulla regione. D’altra parte, il 13 marzo 2014 l’Isil si è impossessato del ponte Qereqozak, situato sull’Eufrate, a pochi chilometri dalla città siriana di Jarabulus e dal confine turco. La posizione strategica del luogo è ben nota, qui, secoli e secoli fa fioriva quella Carchemish che, proprio per la presenza di un guado sull’Eufrate, il fiume “ben guadabile” nella lingua dell’Avesta, era città contesa ed ambita, teatro di tante battaglie. Tra queste la più nota è quella del 605 a. C. che vide contrapposti il faraone Nebo II e i suoi alleati assiri che, dopo la perdita di Ninive e Harran, avevano fatto proprio di Carchemish la loro capitale, e i babilonesi di Nabopolassar, in quello scontro comandati da colui che di lì a poco sarebbe diventato il suo successore, il figlio Nabucodonosor. Questi, proveniente da ovest, riuscì con un’abile manovra a oltrepassare il fiume ed a sorprendere e massacrare le sopraggiungenti forze egizie. Fu decisivo quel combattimento, che sancì la fine dell’indipendenza di un Egitto già da tempo in crisi e l’ascesa di un nuovo impero in Asia Minore, quello dei neobabilonesi. Così anche la conquista del ponte Qereqozak nel marzo 2014 poteva essere decisiva per la popolazione curda di Kobane quanto lo era stata la battaglia di Carchemish per quella egizia ma a rappresentare i curdi non vi erano dei mercenari come quelli di Nebo II, già provati da combattimenti contro il re Giosia di Giuda, bensì delle truppe in lotta per la patria, temprate, non provate, da tutti i precedenti scontri, truppe in grado di attestarsi immediatamente a ridosso della riva orientale del fiume senza lasciare un metro agli avversari. Questa situazione di stallo non poteva, tuttavia, durare: l’Isis, nel frattempo diventato Is, si era rafforzato, grazie ad un’ampia offensiva condotta in Iraq nel giugno 2014 ed al controllo capillare di un terzo della superficie siriana, mentre Kobane, isolata dal resto del Kurdistan siriano, si è trovata con le spalle al muro, un muro costituito da un posto di frontiera turco-siriano, presidiato dall’esercito di Ankara e chiuso ai curdi, turchi o siriani di al-Hasakah, desiderosi di portare aiuto agli assediati di Kobane, come a jihadisti, europei e non solo, desiderosi di unirsi all’Is sono aperti diversi altri punti del confine. Come prevedibile, tra il 14 e il 17 settembre ha avuto inizio l’avanzata dell’Is; in breve tempo l’area difesa dai curdi si è ridotta a pochi centrali quartieri della città. Ma, eredi dei valorosi Carduchi e non, secondo quanto scritto nel X secolo nelle “Preghiere d’oro” dalla storico arabo Masudi, di “quattrocento verginelle” possedute dal diavolo, i curdi sono pronti a lottare, sfruttando, magari, anche un aiuto straniero. Se, infatti, da un lato, le speranze riposte in inglesi e francesi dopo il trattato di Sevrès del 1920 andarono ben presto deluse così come i sogni di gloria affidati all’Unione Sovietica nella creazione, il 22 gennaio 1946, dell’indipendente Repubblica

Curda di Mahabad in territorio iraniano, da un altro Lucullo e Pompeo appoggiarono le tendenze autonomistiche del regno della Corduene, similmente a quanto anni più tardi farà Tamerlano, ammirando il senso di giustizia del principe di Bitlis, con diversi emirati curdi. E, dunque, i bombardamenti della coalizione a guida Usa su alcune posizione dell’Is nella zona, il materiale bellico ed umanitario lanciato dagli americani agli assediati il 20 ottobre e le pressioni di Washington su Ankara per permettere, almeno ai Curdi iracheni, l’accesso a Kobane, possono essere visti come il concretarsi di un nuovo Pompeo o di un nuovo Tamerlano, un aiuto che, unito al solito coraggio e alla strenua difesa della propria libertà può portare ad una liberazione della città. In fondo, anche Senofonte l’aveva ben capito, per quante vittorie si possano ottenere, meglio fuggire che non rimanere in territorio nemico, carduco o curdo che sia, massi o kalashnikov che siano le loro armi.

 DANIELE MARCELLI

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