Sin City: una donna per cui uccidere

Nel 1991 Frank Miller, autore di massima importanza all’interno del panorama fumettistico internazionale, conosciuto per aver rinnovato personaggi come Batman e Daredevil e per aver scritto la graphic novel di 300, dà vita all’universo narrativo di Sin City. E da qui fino al 2000 ha approfondito questo universo dando una ventata d’aria fresca al genere noir e scolpendo nella mente di ogni buon appassionato di fumetti dei personaggi, delle storie e uno stile grafico molto caratteristici, per non dire unici.

(Scene tratte da “That Yellow Bastard”)

 

Nel 2005 Robert Rodriguez convince Miller a realizzare una trasposizione cinematografica di Sin City, che vede la luce anche grazie collaborazione di Quentin Tarantino e che riesce tanto a coinvolgere lo spettatore medio quanto ad esaltare i fan del fumetto grazie all’impatto visivo e alla narrazione identici all’opera cartacea. Da Sin City: una donna per cui uccidere, il secondo capitolo cinematografico nelle sale dal 10 ottobre di quest’anno, non ci si aspettava niente di meno e, anzi, gli episodi inediti promessi accrescevano l’hype, pur sollevando il timore che questo film non avesse  la qualità dei lavori precedenti. Potete quindi immaginare il nostro stato dall’uscita del trailer all’entrata al cinema, in quanto fan della saga quali riteniamo essere. Siamo rimasti delusi? Nah…La prima cosa molto buona è che il film, un noir anch’esso strutturato a episodi, nonostante qualche piccola cosa che non ci è andata giù, come ad esempio il ritmo un po’ lento nell’episodio principale, è reso assai simile al fumetto grazie a scelte narrative, grafiche e di inquadratura. Ma spieghiamoci meglio: il disegno di Miller, come già detto, è molto particolare, e la pellicola cerca quanto più di avvicinarcisi, riuscendoci appieno. È dunque lui, Miller, ad aver la maggior parte del merito avendo disegnato, dato che l’episodio principale è la trasposizione praticamente perfetta della controparte su tavole. E gli episodi inediti riescono a rispecchiare lo stesso stile, quello di un bianco e nero in cui il primo ha la sola funzione di esaltare il secondo dando vita a meravigliosi giochi di ombre e luci. A lui va anche il merito di aver caratterizzato quei personaggi che incontriamo e di averli inseriti in storie avvincenti e significative che analizzano nel profondo la realtà di Basin City (il vero nome di quella che poi è stata chiamata ufficiosamente Sin City dai suoi abitanti), vera protagonista delle vicende. Infatti i personaggi non sono altro che pedine che seguono le regole del gioco sporco e scorretto imposto dalla città stessa (metafora della partita a poker su cui si basa uno degli episodi): è lei che corrompe i suoi abitanti e “chi non corrompe insudicia”, plasmando i tipi umani presentatici nel corso della visione. Abbiamo perciò un senatore Roark, che è l’archetipo della corruzione e nelle cui mani si concentra il potere, una Ava che è la classica femme fatale e che approfitta del contesto per corrompere a sua volta, un Johnny che tenta di sconfiggere le ingiustizie, una Nancy che, pur insudiciata, non si lascia corrompere, un Dwight che cerca la sua identità divisa tra bene e male non tanto ben distinguibili fra loro e poi gente come Marv, personaggio amatissimo dallo stesso Miller, che fa di questo piccolo angolo di inferno il suo ambiente ideale. Dunque Sin City è una visione esagerata e stravolta della corruzione che è presente in qualsivoglia ambito della vita umana ed è perciò un posto dove il male regna, ma anche dove, grazie ai valori personali dei singoli, c’è ancora una briciola di senso del giusto. In conclusione, sono riusciti Frank Miller e Robert Rodriguez dopo più di vent’anni a far rivivere un brand considerato esaurito e, con esso, a intrattenere spettatori nuovi e vecchi? Ci sentiamo di rispondere con un sì e siamo molto felici quanto soddisfatti di poterlo fare.

 FRANCESCO PASSARETTI

DAVIDE RUBINETTI

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