Il tempo è scaduto

Martedì 10 Dicembre la Camera dei Deputati ha dato il definitivo via libera al Decreto Legge 111/2019, meglio noto come “Decreto Clima”, il cui testo era stato pubblicato il 14 Ottobre sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, a distanza di poche settimane dal terzo sciopero mondiale contro il cambiamento climatico, e che era stato approvato pochi giorni prima dal Consiglio dei Ministri. Si tratta del primo passo di ciò che gli esponenti dell’attuale governo chiamano trionfalmente Green New Deal, ma che molti giovani ambientalisti e non solo definiscono già un fallimento.

Rispetto alle bozze precedenti troviamo infatti diverse modifiche di fronte alle quali i sostenitori più radicali del Global Strike storcono il naso. Detto da Luigi Di Maio come “un grande passo che pone l’Italia al primo posto dell’avanguardia green”, il decreto prevede, tra le altre cose, incentivi alla rottamazione delle auto più inquinanti, fondi per migliorare il trasporto ecosostenibile  degli alunni di scuole medie ed elementari, ed altri soldi destinati alla riforestazione urbana e peri-urbana.

Iniziative positive e necessarie, verrebbe da dire. Se non fosse che in totale, ai numerosi progetti elencati, vengono destinati non più di 450 milioni di euro. Un numero che se paragonato ai 50 miliardi che il governo tedesco investe per l’ambiente appare irrisorio. Di fronte a chi incalza chiedendo di tutte le iniziative inizialmente previste e poi tagliate in corso d’opera, il Ministro dell’ambiente Costa precisa che la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi (tra le più importanti di quelle precedentemente contenute nel decreto) è stata rimandata alla legge di bilancio. Quindi lo Stato che si definisce “avanguardia dell’ecosostenibilità” dopo aver stanziato meno dell’1% di quanto fa la Germania per la stessa causa, continua a finanziare chi invece dell’ambiente (e del suo futuro) non si interessa e consuma energia non rinnovabile.

Come fa ad esempio con l’Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, che in Val d’Agri (Basilicata), dove oggi si estraggono ottantamila barili di petrolio greggio al giorno, investe oltre 3 miliardi di euro (sei volte quanto destinato all’ambiente dal Decreto Clima) per poterne estrarre circa centoquattromila. Appare chiaro quindi che il nostro esecutivo si è detto pronto a discutere di energie rinnovabili, ecosostenibilità e futuro, non con il fine di cambiare il sistema che ci ha lentamente fatto precipitare nelle attuali condizioni, ma piuttosto con l’obbiettivo di guadagnare l’appoggio di qualche ecologista in più.

Se non verranno adottate tempestivamente le misure che i nostri ministri continuano a rimandare, non avremo nessun’ arma per opporci alla grande crisi che già incombe su tutti noi. Ma piuttosto che prendere provvedimenti seri, il governo (come gli esecutivi di buona parte del mondo) preferisce parlare di Green New Deal e incentivi ecosostenibili,  quando investe più nella produzione di armi che nella difesa del pianeta.

Per quanto tutti noi possiamo collaborare a diminuire il nostro impatto ambientale, non sarà tramite i piccoli gesti quotidiani che si ridurranno le emissioni. Secondo le stime più recenti, poco meno dei tre quarti dell’ anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera è emesso da poche aziende (circa un centinaio di multinazionali).  In Italia bastano nove centrali a carbone per produrre il 34,5% delle emissioni del sistema elettrico nazionale, ed è proprio attorno a queste nove che aumenta drasticamente il tasso di malattie mortali e l’incidenza di tumore ai polmoni. E ciò che riesce a fare il nostro governo è disporre dei (carenti) fondi per la riforestazione urbana?

In questo momento abbiamo bisogno di un definitivo arresto della produzione di combustibili fossili, e non degli incentivi alle imprese che utilizzano energie rinnovabili. Perché chi oggi si arricchisce alle spalle dei giovani e delle generazioni future non può continuare a sfruttare le risorse del pianeta a proprio piacimento. I governi di tutti i principali Stati devono prendere provvedimenti concreti, perché questo è ciò che chiedono i giovani di tutto il mondo e che hanno chiesto ancora una volta gli studenti italiani il 29 novembre scorso, scendendo nelle piazze per farsi sentire prima che sia troppo tardi.

FILIPPO CELATA

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