Buon compleanno Costituzione
L’ho letta attentamente, possiamo firmare con sicura coscienza.
Queste le parole che il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola rivolge al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi il pomeriggio del 27 dicembre 1947, mentre, entrando dalla Sala degli Specchi nella Sala della Biblioteca di Palazzo Giustiniani, si accingono a ratificare la Carta Costituzionale della neonata Repubblica Italiana.
Settant’anni dopo, percorrendo le stesse sale per gentile concessione del Senato della Repubblica, le celebri fotografie dello storico atto e l’esposizione dei documenti originali danno la netta impressione di essere statilì quel giorno, di aver partecipato di persona a uno dei momenti più importanti della storia d’Italia. La scrivania è la stessa, ricoperta da un drappo rosso identico a quello che la rivestiva settant’anni fa. Dietro sembra di vederli, i pilastri del nostro Paese: al centro Enrico De Nicola, napoletano integerrimo che rifiutò per sette volte proposte di candidature prima di essere eletto Capo dello Stato, ispirando un orgoglio repubblicano anche a sud di Roma. Alla sua destra Alcide De Gasperi, il quale, com’era abituato, firmò semplicemente “De Gasperi”, salvo poi essere istruito sulla necessità del nome, che aggiunse in fondo (foto 2). Alla sua sinistra, invece, Umberto Terracini, la cui presidenza dell’Assemblea Costituente (febbraio 1947) nessuno mise in discussione nonostante egli fosse comunista mentre l’Italia, alle porte della guerra fredda, si schierava sempre più con i democristiani sotto la protezione statunitense.
Davanti alla rievocazione di tale senso dello Stato e integrità morale, tuttavia, non ho provato il rimpianto di chi – a ragione – nota come queste due qualità non siano ritenute oggi prerogative indispensabili del fare politica.
Piuttosto, mi sono sentita fiera di essere italiana. Ho camminato in silenzio fra le testimonianze delle nostre origini con un senso di rispetto quasi reverenziale,con la consapevolezza dell’importanza di ogni firma o reperto giornalistico che osservavo.
Nel febbraio del 1947, la frattura del partito socialista. A maggio, il primo governo De Gasperi senza socialisti né comunisti.
Eppure l’Assemblea Costituente continua con il suo lavoro, al riparo dai contingenti contrasti politici governativi. Dentro quell’aula si va avanti lo stesso, tutti collaborano, perché ognuno sa che l’obiettivo che ci si è posti – e che bisogna raggiungere a tutti i costi – ha un valore inestimabile, davanti al quale le divergenze sono secondarie.
È anche per il successo di questo sforzo collettivo, con il raggiungimento di una meta quasi utopica, che la nostra Costituzione sembra un miracolo. Un miracolo frutto di un altro, la Repubblica: mi viene in mente la gioia negli occhi di mia nonna quando mi racconta della vittoria repubblicana al referendum e di come, ventenne e dunque ancora impossibilitata a votare, scese da Milano a Reggio Calabria, sua città natale, per dissuadere almeno sua madre dal proposito, istigato dai preti calabresi, di votare la monarchia. “Il vescovo di Milano dice che i preti non si dovrebbero impicciare delle faccende politiche”, aveva concluso dopo averle dipinto un quadro dei Savoia non proprio encomiastico. Nonostante il fervore generale del Paese, però, la monarchia aveva perso per poco, 10 milioni di voti contro 12, e, dopo l’accusa di brogli da parte di molti sostenitori del re, il rischio di annullamento del referendum o addirittura di una guerra civile era stato più che concreto.
Alcuni italiani non sanno tutto questo e molti altri spesso se lo dimenticano. Ci dimentichiamo prima di tutto che la nostra Costituzione, prima e più elevata fonte del diritto del nostro Paese, è lungimirante, essenziale e sostanzialmente perfetta – “la più bella del mondo” secondo Benigni – e dunque un motivo di orgoglio per gli italiani anche di fronte alle altre nazioni, per le quali essa è la “carta d’identità” con la quale l’Italia si presenta.
In secondo luogo, ci dimentichiamo che “la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé” (Piero Calamandrei), che le condizioni democratiche in cui viviamo, pace, libertà , diritti, non sono scontate né acquisite una volta per tutte, ma sono state conquistate con sacrifici e vanno difese ogni giorno. Ce lo ricorda, in chiusura di questo anno 2017, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ci spinge a riflettere su come cento anni fa i giovani del ’99 venissero mandati in guerra a morire invece che ammessi a libere elezioni per esprimere la sovranità popolare, vertice della vita democratica.
In conclusione, quando il 4 marzo – e nelle occasioni seguenti – noi freschi diciottenni saremo presi dall’irresistibile tentazione di restare sul divano di casa o di disegnare coriandoli sulla scheda elettorale, forse sarebbe bene ricordarsi che quello che abbiamo è il privilegio e, prima ancora, il dovere di mantenere, ogni giorno, le promesse fatte dai Padri Costituenti.
Perché a lamentarsi sono bravi tutti, ma amare un Paese e impegnarsi per renderlo migliore è un’altra cosa.
GIULIA SILVERI