A voi, che odiate il calcio e i tifosi
“Le donne guidano male”, “i genovesi sono tirchi”, “L’Italia = pizza, mafia e mandolino” etc… Questi sono solo alcuni delle migliaia di stereotipi e cliché diffusi, che ancora oggi attribuiscono delle caratteristiche negative a un popolo, un sesso o una “razza” e li condannano a portare tale etichetta per l’eternità. In questo articolo mi occuperò di uno dei pregiudizi comuni, anche tra persone colte e intelligenti: “il calcio lo seguono sono le persone ignoranti”. Non l’idea (odiosa) dell’ignorante simpatico, sdoganato da certi fenomeni social, ma ignorante nel senso di troglodita, cafone, adatto a subumani, indifferente alle cose importanti,d’altronde #cistalacrisileguerrelafameelemalattie. Evidentemente, in una realtà come quella odierna, in cui le persone leggono sempre meno libri, i cinema chiudono perché privi di spettatori, le chiese la domenica sono vuote, il calcio resiste. E questo fa rosicare.
Negli ambienti di una certa “sinistra”, poi, la frase che spesso viene pronunciata, sin dai tempi dei nostri genitori, è: “voi pensate a 22 idioti che corrono appresso ad un pallone invece di pensare alla Rivoluzione”. E cosa ne poteva mai sapere di rivoluzioni Ernesto Che Guevara, che per due settimane allenò una squadra colombiana di campesinos e disperati e che fu orgoglioso di stringere la mano a Di Stéfano, non nascondendo mai il tifo per la squadra del Rosario Central? E cosa può saperne il subcomandante Marcos, che nel 2013 in un comunicato scriveva “yo le voy a los Jaguares de Chiapas, en México, y al Internazionale de Milán, en Italia” (eh sì, purtroppo il comandante è interista), e concludeva l’intervista con “sì, lo so cosa sta per dire, il calcio è l’oppio della povera gente, promuove alienazione, ignoranza e bla bla bla… tutte frasi fatte”?
Ma passiamo alla letteratura (quando non ti invitano a fare la rivoluzione, ti invitano a leggere). Quanto era rozzo Eduardo Galeano, che nel tempo libero, quando non era impegnato a diventare uno degli scrittori più stimati in America Latina, diceva: “el fútbol es la única religión que no tiene ateos”… E che il calcio fosse poesia e che risultasse possibile metterlo in versi lo pensava pure Alfonso Gatto, foto di Rivera appesa nello studio, che di calcio e sport popolare (inteso come schiettamente appartenente al popolo e non solo come fenomeno noto) ha scritto continuamente, avendo tra l’altro composto versi sulla malinconia del campionato quasi agli sgoccioli (“I pomeriggi si fanno lunghi / l’aria rabbrividita dagli ultimi freddi / è già luminosa e trasparente dopo le acquate di marzo / c’è una luce di dolce crepuscolo sul campionato”). Ancor meno ne sapeva Osvaldo Soriano, che ha praticamente scritto quasi solo di calcio: decine di racconti in cui il fútbol è protagonista, antagonista, sfondo, presenza, metafora, dolore, amore. Tutte cose di secondaria importanza, tanto da non poter dedicare 90 dei nostri minuti settimanali ai suddetti idioti in pantaloncini… E potrei citare altri ignoranti subumani come Pasolini, Sartre, Camus, Salman Rushdie e Pratolini. Peggiore di tutti, incapace perfino di portarsi a casa un Nobel è Jorge Luis Borges, che ebbe l’ardire di affermare: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio”.
Tutti questi cafonotti di provincia avevano capito che il calcio è passione. Questo sport non è solo business e milioni, non è un terzo incomodo che ci distrae dai problemi reali: il calcio diverte, è di facile assimilazione, è poesia, è universale, lo capiscono tutti, senza caste e lingue. Ma le passioni non si possono spiegare e sono come la fede: o ce l’hai o non ce l’hai. E viene da sorridere a pensare a tutti quei moralizzatori che hanno la pretesa di spiegarci cosa conti e cosa no, quali passioni siano meritevoli di tempo e quali effimere. Sorrido, ma rispondo loro: prendiamo volentieri in considerazione le vostre lezioni di vita, però dovreste smetterla di osservare noi stronzi che guardiamo 22 idioti in pantaloncini.
Avete la rivoluzione da fare e la letteratura da leggere.
MARIO SALA