Questo amaro tè delle cinque

Il Regno Unito sembra non trovare pace tra la Brexit in corso e il recente attentato a Westminster. Si riaccende dunque il dibattito sul terrorismo in un’Europa mai esente da polemiche e conflitti. Sembra davvero difficile in queste condizioni potersi godere l’ora del tè

Mai togliere a un inglese la sua ora del tè. Specie se l’inglese è un parlamentare alle prese con il “solito” referendum della Scozia che vuole ottenere l’indipendenza dall’Inghilterra, tentata già nel 2014 con un plebiscito finito col 55% dei voti contrari: il 13 marzo scorso la leader scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato un nuovo referendum da tenersi tra il 2018 e il 2019, quando verrà conclusa a tutti gli effetti la scissione dall’UE, per rendere la Scozia uno Stato indipendente e tornare in Europa. Da Edimburgo la leader ha lanciato un appello agli scozzesi (che hanno votato compatti contro la Brexit) per votare alla secessione. La Camera dei Lord del Parlamento inglese ha approvato due emendamenti che avrebbero dovuto rallentare l’iter della Brexit… ma è stata prontamente bocciata dalla Camera dei Comuni, l’altro ramo del Parlamento di Westminster, che ha subito ripreso le procedure. Per legge spetta ai deputati di Londra decidere se e quando indire il referendum e il primo ministro britannico Theresa May si è subito dichiarata contraria alla proposta in quanto “creerebbe un’enorme incertezza economica” e indebolirebbe seriamente quella che abbiamo sempre conosciuto come Gran Bretagna: il Regno non sarebbe più Unito.

E questa minaccia si preannuncia più concreta, più realizzabile ora che il fronte indipendentista scozzese è in forte crescita e si iniziano a sentire le prime spinte anche in Galles: la May se ne è resa conto e sta prendendo tempo per affrontare la questione, nella speranza di rimandare il referendum a dopo la conclusione dei negoziati per l’uscita dall’UE. Non si sa, però, se il Parlamento europeo accetterà la sola Scozia e se comunque Londra riuscirà a rinviare il referendum: Westminster non sembra ancora essersi riorganizzata dopo questo fulmine a ciel sereno. Né sembra che ci riuscirà in tempi brevi, tanto più che il 22 marzo, a pochi giorni dal “terremoto” Sturgeon, le strade sotto il Big Ben si sono macchiate di sangue: intorno alle 14:30 ora locale un suv nero si è lanciato sulla folla a Westminster Bridge in direzione dei cancelli dell’edificio del Parlamento, uccidendo due persone e ferendone una quarantina – tra cui una bolognese e due romani, tutti e tre feriti solo lievemente. Poi la vettura si è fermata e ne è sceso un uomo che si è scagliato contro gli agenti all’esterno della Camera dei Comuni impugnando ben due coltelli e ha ucciso uno dei poliziotti. Gli altri hanno prontamente aperto il fuoco e l’hanno abbattuto, ponendo fine all’attacco che registra quindi 5 vittime (due passanti, un ferito, successivamente morto in ospedale, un poliziotto e l’attentatore).

Ora, è passato un anno esatto dagli attentati dell’aeroporto di Bruxelles: non proprio una coincidenza, su questo sono tutti d’accordo… perfino Salvini, che non ha perso tempo a twittare proprio questa constatazione. Appurata quindi la non casualità della “ricorrenza” di un attacco islamico, Scotland Yard e il ministro della difesa Michel Fallon nel giro di poche ore hanno avviato le indagini trattando il caso come “un attentato terroristico” e invitando chiunque abbia foto o video del fatto a fornirle alla polizia.

Nel frattempo, una prima indagine sul killer ha portato alla sua identificazione: Trevor Brooks, un imam londinese di origini giamaicane conosciuto come Abu Izzadeen. Era già noto all’intelligence britannica come “predicatore dell’odio”, portavoce di una setta islamista messa fuori legge nel 2006 e pertanto arrestato nel 2015 in Romania e rimpatriato. Il problema è che Brooks risulta effettivamente ancora in carcere, come testimoniato anche dal suo avvocato: pista falsa, dunque, e indagine ancora aperta.

Il giorno dopo la svolta nell’inchiesta: come c’era da aspettarsi, l’ISIS ha rivendicato l’attacco sul web attribuendolo a un “uomo del Califfato”, poi identificato come il 52enne Khalid Massood, originario di Birmingham. E proprio a questo punto si è registrata una serie di indagini e di arresti tra il 22 e il 23 marzo in diverse parti dell’Inghilterra e a Roma, dove un tunisino è stato sospettato di legami con lo Stato islamico.

Di nuovo il terrore. L’incubo sembra non avere mai fine, sembra che l’Europa possa solo abbassare a mezz’asta le bandiere in segno di lutto ogni volta che un lupo solitario sfugge alle maglie della sicurezza internazionale. I rappresentanti della classe politica e tutti gli inglesi, dunque, stanno bevendo un tè decisamente amaro; così è stato il 22, quando a Westminster la seduta parlamentare è stata interrotta al suono degli spari all’esterno. Theresa May, nell’intervento alla Camera dei Comuni in merito agli avvenimenti, ha detto parole che ormai non suonano più nuove: è stato “un attacco alla gente libera” e il Regno Unito “non si farà intimorire e non cederà all’odio e alla violenza”. Ma sembra che l’intera Europa stia cedendo al logoramento di una guerra imprevedibile, fatta di soldati che nessuna divisa rende riconoscibili, fatta di attacchi sferrati in momenti e su bersagli tanto protetti e sorvegliati quanto fatalmente vulnerabili anche per un solo uomo. Se il loro obiettivo è indurci a stritolarci nella morsa delle sempre più ferree misure di sicurezza – che rischiano di togliere spazi perfino alla vita quotidiana dei cittadini –, questo è il momento in cui il Regno deve stare più che mai Unito, in cui l’Europa deve dimostrare di essere veramente quell’Unione nata sessant’anni fa dai Trattati di Roma; perché purtroppo finora ha dato prova di una realtà molto diversa. Molto, troppo divisa e debole, lacerata da spaccature di cui la Brexit è solo l’esempio politicamente più clamoroso. Ma l’Occidente poggia su valori che l’odio non può scalfire e che la paura e l’orgoglio nazionalistico possono solo offuscare: la solidarietà, il senso di appartenenza a una comunità sovranazionale, la tolleranza (sotto tutti i punti di vista). Le notizie degli attentati girano veloci, rimbalzano da un media all’altro, sembrano sempre ingigantite esponenzialmente; ma non pensiamo, mai, di non avere speranza contro il mostro che si annida a Oriente: ricordiamoci che loro vogliono la guerra, ma noi no.

GABRIELE GENNARINI

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