L’importanza di votare

Milioni di persone hanno lottato per conquistare il diritto al voto: ecco perché non possiamo non usufruirne

Cosa significa votare? Secondo l’Enciclopedia Treccani, il verbo ha il seguente significato: “Manifestazione della volontà dei componenti di un gruppo o di un organo nelle elezioni o nelle deliberazioni dell’organo”. Questa è una definizione semplice e corretta, senza troppe discussioni, ma allora dove sorge il problema? Diamo un’occhiata al nostro passato per comprendere i problemi che oggi si pongono.

Il diritto di votare, sin dall’antica Grecia, non era un diritto aperto a tutti: solo chi aveva la cittadinanza poteva votare e quest’ultima non era facile da acquisire, soprattutto nell’età d’oro della democrazia ateniese, quando al governo c’era il grande Pericle, nella quale veniva definito cittadino di Atene solo chi avesse entrambi i genitori ateniesi. Con tale voto, i cittadini decidevano chi doveva essere il nuovo governatore di Atene. A Roma, nella Repubblica, il voto era importante anche per la plebe, la quale, attraverso questo atto, eleggeva i tribuni della plebe che potevano proporre leggi e dichiarare veto contro le decisioni del Senato.

I più celebri detentori di questa carica sono i due fratelli Gracchi, i quali con la lex agraria, non solo ci persero la vita, ma iniziarono un dibattito su tale legge che continuò fino a Giulio Cesare che, proclamatosi dictator vitae, fece di questa proposta una legge.

Eppure, proprio da Giulio Cesare, il voto della gente comincerà a non contare più. Correndo veloci nel tempo, torniamo al voto che a noi tutti non-nobili interessa. Il primo partito della storia si colloca in Inghilterra: chiaramente un partito non esiste senza la sua controparte e così nascono Whigs e Tory.

In tutto questo discorso è importante sottolineare questa ultima informazione, poiché è con loro che la gente torna a votare. È normale che non sia una votazione aperta a tutti e sappiamo bene quanto le donne dovranno aspettare, senza motivo, per esprimere il loro volere.

In seguito alla Rivoluzione Americana e alla nascita di una costituzione, il 15 settembre 1787 scoppia la Rivoluzione Francese, a cui partecipano tutti, uomini poveri come i sans-culottes, anche le donne. In quest’ultima rivoluzione, un dibattito abbastanza acceso era quello sulla costituzione: la volontà del popolo di averne una innescò il crollo della monarchia francese; vennero scritte ben tre costituzioni, delle quali solo la terza, redatta nel 1793 da un governo giacobino, che prevedeva un voto a suffragio universale maschile. Nella terza questa iniziativa fu rifiutata perché ritenuta troppo liberale.

Nel nostro Paese la storia è un po’ diversa. Nell’Italia del Risorgimento, gente come Mameli ha dato la propria giovane vita per contribuire alla nascita dello Stato Italiano. Il Regno d’Italia, dopo l’era napoleonica, è nato nel sangue, grazie a dei ragazzi che si sono sacrificati in nome di uno Stato che ancora doveva nascere.

E poi le donne, le Suffragettes; il genere femminile ha dovuto soffrire quanto i neri d’America, che vengono tutt’ora uccisi per questioni razziali, come loro hanno avuto un sogno. Anche ai nostri giorni lottano affinché questo sogno sia compreso anche dalla “razza” bianca. Perché tanti morti per questo diritto di voto? Perché è il fulcro di una democrazia, la base della sovranità, la sovranità del popolo. È proprio questo diritto che dà potere di decidere al popolo, un modo semplice per far parlare tutti.

Immagine“Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria” dice Giorgio Napolitano, ex presidente della Repubblica Italiana – ora senatore a vita – in un’intervista prima del referendum abrogativo avvenuto il 17 aprile 2016. “Ogni scelta è legittima. Chi vuole che il referendum passi deve votare “sì”, chi vuole che il referendum non passi può scegliere tra votare “no” o non andare a votare”. Questa è invece all’affermazione di Renzi rilasciata lo stesso giorno di Giorgio Napolitano, sullo stesso referendum. È veramente dignitoso non andare a votare? “Certo che sì, per un referendum abrogativo dove è previsto un quorum affinché questo sia valido, il non votare è una scelta”. Risposta consueta per il PD di Renzi. Ma se il quorum non viene raggiunto vince automaticamente una fazione, senza sapere quanti siano i “no” e quanti i “sì”.
Se io votassi e non si raggiungesse la soglia minima del 50% più uno, il mio voto non avrebbe peso, non verrebbe neanche letto. Bello. Vengo privato, senza nessun giro di parole, della voce. Il mio giudizio sulla faccenda non viene nemmeno ascoltato, non valgo niente. “Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, l’importante per loro è partecipare #ciaone”.

Ernesto Carbone, avvocato e deputato, membro della segreteria nazionale del PD, è il simbolo degli eredi di Cicerone. Con quale assurda filosofia un politico sottolinea così tranquillamente questa assurda possibilità di non votare affinché si zittiscano con la forza tutte le persone che vogliono dire la loro, che sia un “sì” o un “no”? Poi rimane solo vergogna per la presa in giro.

Non votare è sbagliato, che sia per le elezioni politiche o per un referendum qualsiasi, non perché debba vincere una fazione precisa, ma perché è giusto che il popolo italiano si esprima sulla questione senza mettere a tacere nessuno. Non è stato giusto non andare a votare questa volta, come non sarà giusto non votare alle elezioni politiche. Coloro che stanno in silenzio, i non votanti, devono prendere una posizione precisa: o gli si dà voce sempre, comprese le più recenti elezioni, dove lo sdegno spinge il popolo ad allontanarsi dalla vita politica, oppure non gli si dà peso, nemmeno quando conviene. Le scelte in questa consultazione erano due: una negativa ed una positiva. Andare a votare non significava dire di sì, come non andare a votare non significava dire di no, bensì compiere un atto di prepotenza autorizzato dalle parole di alcune fra le più importanti figure nel panorama politico italiano.

ImmaginePurtroppo la nostra nazione attraversa un momento che trova punti di connessione con l’età ellenistica e del I sec. a.C. a Roma, in cui la politica è di altri e non è il popolo a decidere mediante il voto, ma solo alcuni gestiscono la politica, finché il potere non converge in una sola persona. Tutti gli aventi diritto devono opporsi alla fine della democrazia, di una Repubblica, devono farsi sentire non con la violenza, ma esercitando la propria sovranità, cioè con il voto.

Dice Lincoln nel Discorso di Gettysburg, pronunciato il pomeriggio del 19 novembre 1863 “that government of the people, by the people, for the people, shall not perish from the earth”, tradotto: “che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra”. Si faccia in modo di non farlo perire, si faccia in modo che questa sovranità del popolo, dal popolo, per il popolo, non diventi solo un lontano ricordo per cui altre giovani vite dovranno dare la vita. Ma, alla fine, per una persona che ha da poco raggiunto la maggior età gli ideali sono più forti di qualsiasi altra cosa, ne viene più coinvolto, non è abbastanza grande per comprendere bene tutte le dinamiche. Quindi lasciate perdere tali parole pronunciate da un ragazzo ancora troppo piccolo per capire, è giusto anche non andare a votare, perché io voglio vincere su di te e non m’importa di quello che dici.

LORENZO BITETTI

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