Storia del mio male

La prima confessione

Questo che avete per le mani è forse il documento più pericoloso che voi abbiate mai ricevuto. Sicuramente qualcuno di voi ha altro, ma per me e per molti che valgono più di quanto gli si possa dare valore, è un documento che le persone non dovrebbero leggere (questa frase sinceramente non l’ho capita). Voi cristiani così convinti. Non sono un satanista, né qualsiasi altra cosa voi conosciate. Il padre che invocate si guarda bene dal nascondermi. Per quanto io ci abbia provato, la mia memoria verrà cancellata; per questo scrivo questo diario ora, alla mia morte. Non sono uno spettro, né un demone. Non scrivo veramente da morto, ma la mia morte è stata già decisa. Non mi resta molto da vivere quindi cercherò di non perdermi troppo in chiacchiere. Questo è il diario di Federico Colonna. So che non vi dice niente questo nome, ma presto saprete chi sono io e conoscerete il nome dei Colonna. Non so a chi parlo, né so se questo manoscritto potrà mai dire qualcosa a qualcuno, ma i miei tempi non sono affatto semplici. Non lo sono mai stati da ciò che ricordo. Sono nel mio palazzo, il quale un giorno, ne sono sicuro, diventerà una grande reggia. Fuori ci sono delle guardie, guardie papali. Più che guardie direi che c’è l’intero esercito, qui fuori. Vi è anche altro, qualcosa che in un esercito di questo genere non ci dovrebbe essere. Quando sarà il momento capirete, se avrete la pazienza di dedicarmi del tempo. Ormai le mie migliori difese sono saltate. Spero che l’ultima mi permetta di finire di scrivere questo diario. Non perderò altro tempo in chiacchiere comincerò, comunicandovi eventuali cambiamenti della mia situazione attuale, se ci dovessero essere.

 La prima infanzia

Le mie prime memorie cominciano quando ero piccolino. La mia famiglia non è mai stata di particolare importanza. Eravamo contadini, al limite di un paesino che all’epoca non aveva nemmeno un nome. Provenivamo da un gruppo di persone che scapparono da San Cesareo. Durante una guerra il paese fu invaso e molta gente fu condannata a morte in piazza, come riscatto per i danni causati dai regnanti di San Cesareo: un certo Oddone da Bobone colse l’occasione ed invitò un gruppo della popolazione a seguire lui e la sua famiglia su un vecchio vulcano, ormai divenuto una collina, per fondare un nuovo paese, una nuova comunità che portasse il suo nome: Bobone. È vero, aveva un nome, ma non era il suo, gli era capitato, il suo nome caratteristico gli verrà dato in seguito. Un bel numero di persone emigrò con lui in mezzo ai boschi verso un nuovo futuro, che avrebbero costruito con le loro stesse mani. I primi anni andò tutto bene, la gente costruiva la nuova Bobone e tutti erano felici e laboriosi. Mio padre era fra loro, già marito di Giulietta, figlia di una modesta famiglia di San Cesareo decaduta per debiti e costretta a cercare marito per non cadere nelle mani di un ricco uomo senza alcuno scrupolo. Una volta che il paese prese forma, però, Oddone ne prese il comando violentemente con l’aiuto dell’esercito papale. Venne nominato capo del paese. Inoltre, da salvatore contro l’invasore, assunse le caratteristiche di un tiranno e costrinse gli abitanti di Bobone a vivere in povertà. Rimettersi in marcia era fuori discussione, ormai quella era la nostra casa e il bosco era troppo pericoloso per noi. La mia famiglia quindi si dovette arrangiare. Mio padre coltivava la terra ed ogni sette giorni, dopo la messa, andava a caccia. A caccia si doveva essere prudenti: l’unico animale che si poteva cacciare era la lepre. Animali da non toccare erano gli uccelli di ogni tipo perché secondo Oddone erano animali molto amati da Dio, ai quali permetteva di avvicinarsi a lui. Per poter pagare il tributo al tiranno, mio padre vendeva i ricavati della sua terra al mercato che si teneva in piazza, vicino alla chiesa. Di soldi non ne giravano affatto, essendo quello nient’altro che un paese di profughi, però spesso Oddone faceva riunioni con vescovi che venivano direttamente da Roma e che attiravano con loro vari pellegrini che spendevano nel mercato bobonese. Mia madre si preoccupava della casa e del mercato. La famiglia si allargò fino ad avere sei membri. Io fui il penultimo ad arrivare: il primo fu mio fratello Simone, poi venne Giulia, io e mio fratello più piccolo, Carlo. Continua…

Scritto e tradotto da: Anonimo, per motivi di sicurezza

LORENZO BITETTI

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