L’Italia alla prova della democrazia

Si accende il dibattito sui diritti degli omosessuali

Sono giorni convulsi, per non dire incandescenti. E’ infatti in corso la discussione in Parlamento sul disegno di legge Cirinnà, che si occupa di unioni civili omosessuali. E’ un tema delicatissimo, difficile da affrontare, che divide l’Italia. L’appassionante dibattito in corso dimostra allo stesso tempo grande discrepanza di opinioni in un Paese spaccato in due tra favorevoli e contrari, ma anche grande confusione intorno ad un tema su cui ci si schiera, ma molto spesso si è del tutto ignoranti.

Cominciamo dai numeri, nudi e crudi. Facendo riferimento a tre fra le più autorevoli società di ricerche, ovvero Ipsos, Tecnè e Piepoli, possiamo affermare quanto segue: tre italiani su quattro sono favorevoli alle unioni civili per le coppie gay, mentre ad oggi la maggioranza assoluta (si oscilla tra il 52% e il 57%) è contraria all’equiparazione con il matrimonio. Percentuale che sale di molto, rasentando la totalità, se si parla di adozione da parte di coppie gay e della pratica dell’utero in affitto, subdolamente inserita in questa legge. Questi sono i dati e, come si dice, carta canta. Primo problema: perché siamo in generale favorevoli alle unioni civili ma non al matrimonio? In altre parole, cosa differenzia, nella sostanza,  matrimonio  e  unioni  civili? A  guardare il disegno di legge e le normative in vigore negli altri paesi europei, sembrerebbe soltanto… il nome! Già, sembra assurdo. Eppure i diritti sono i medesimi (e ora ne parleremo) così come i doveri e le condizioni, solo il nome è diverso. Quello che è avvenuto in svariati paesi d’Europa: nazioni come Norvegia, Danimarca, Gran Bretagna o Spagna hanno approvato le unioni civili e, poco tempo dopo, anche il matrimonio e, conseguentemente, le adozioni per le coppie gay. O ancora la Germania, che già ha approvato le unioni civili, e si sta avviando verso le nozze omosessuali, togliendo cosi il velo di ipocrisia che l’appellativo di “unioni civili” portava con sé.

ImmagineVa da sé che, in un tema così controverso, la strada più giusta sia evitare gli estremismi: da una parte non credo a chi dice che le unioni gay non sono una priorità, poiché è una questione, come lo sono molte altre, che lo Stato deve affrontare. Di contro non credo neppure a chi afferma: “In Occidente siamo gli ultimi, è  ora  di  avere  una  legge,  ce  lo  chiede  l’Europa”, intanto perché non è vero che siamo soli, e poi perché non è detto che la maggioranza dei paesi europei si stia dirigendo verso una soluzione eticamente giusta. Dispiacerebbe molto, poi, se gli italiani fossero ingannati su un tema così delicato: stando alle statistiche e ai sondaggi l’impianto di questa legge non piace poi così tanto. Contiene infatti tutto, inclusa la sostanziale equiparazione al matrimonio e la stepchild adoption,
termine anglofono che abbiamo imparato a conoscere, che altro non significa che la legalizzazione de facto della pratica dell’utero in affitto, su cui non mi dilungherò, ma che in diversi paesi è degenerata in eccessi che vanno a minare la dignità delle donne, e sui quale vi invito a documentarvi. Tuttavia, come abbiamo visto, con essa è d’accordo solo un italiano su dieci: è chiaro che, in questo caso, il Parlamento sta ignorando le istanze di una larga fetta dell’opinione pubblica, oltre a negare che questa legge serva ad un senatore del PD, e per questo viene proposta: ma non è questa la sede per approfondire questa tematica.

Ma torniamo al disegno di legge in discussione e vediamo, più in concreto, i diversi “schieramenti”. Da una parte la Sinistra italiana (PD, Sel principalmente) e il Movimento 5 Stelle, assieme alle associazioni LGBT, presenti il 23 gennaio in 98 piazze italiane, a favore del ddl Cirinnà. Dall’altra troviamo invece l’ala centrista e la Destra, più o meno compatta, oltre alla Conferenza Episcopale italiana, in ferma opposizione alla legge contro la quale si stima che un milione di persone siano scese in piazza lo scorso giugno e altrettante il 30 gennaio scorso. Molti cittadini, come abbiamo visto, sono d’accordo con quei parlamentari che pensano che, a fronte della volontà popolare, bisognerebbe fare una legge che introduca solo le unioni civili senza, come fa invece questo disegno di legge, mettere in mezzo matrimonio e adozioni (per coppie gay) che, sembrerebbero essere elementi sgraditi al popolo italiano, come mostrano i sondaggi. Del resto l’urgenza di mettere nero su bianco la convivenza e i reciproci diritti e doveri, come per ogni unione di fatto delle coppie eterosessuali, è innegabile, ma ciò non può significare snaturare il senso del matrimonio e la sua ragion d’essere. E io, personalmente, sarei favorevole alle unioni civili, se non sapessi, per averlo approfondito, che porteranno dritte alle adozioni, come l’esperienza di molti paesi sopracitati ci mostra. Anche ammendo che in questa legge, per un attimo, si tolgano tutti i riferimenti al matrimonio e alle adozioni, questo stesso problema si ripresenterebbe: una volta legalizzate le unioni civili basterà cambiare il nome, ed ecco il matrimonio omosessuale.

ImmagineE’ doveroso, prima di concludere, toccare un ultimo punto: perché non fare un referendum? Si tratta, infatti, di temi su cui il popolo può davvero essere coinvolto nell’agone pubblico, sentirsi parte della democrazia e non al servizio del potere. In Irlanda si è deciso democraticamente di introdurre il matrimonio  omosessuale, ma ad esempio  negli Stati Uniti così non è stato. Una élite ha deciso per 300 milioni di persone, chissà quante d’accordo. In Slovenia e Croazia, ad esempio, il popolo ha optato per il “no” e così via. Positiva l’azione di Renzi, che ha scelto di lasciare “libertà di coscienza” ai parlamentari del suo partito, firmatario del disegno di legge, così come fatto da Grillo per i suoi senatori. Che dire? Qualsiasi sia l’esito, che vinca la ragione e non la fretta. Vinca la verità e non la menzogna. Ma soprattutto, vinca la democrazia.

FRANCESCO PAULETTI

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