La scienza che combatte

L’ultima fatica cinematografica del buon Ridley Scott, che a mio avviso negli ultimi venti e passa anni ha steccato parecchio, producendo film altamente godibili ma di poca sostanza, è The Martian (con il pessimo se non deleterio sottotitolo italiano “il sopravvissuto”, spoiler fin troppo evidente e ampolloso). Il cast non è eccessivamente spettacolare, anche se qualche nome spicca: oltre a quello di Matt Damon, anche quello di Jessica Chastain (di cui ricordiamo l’incredibile interpretazione di Maya Lambert in Zero Dark Thirty, diretto da Kathryn Bigelow) e quello di Sean Bean il quale, contro ogni aspettativa, rimarrà in vita per tutta la pellicola (fino alla fine ho dubitato che potesse accadere ma evidentemente si cerca di tirar fuori Bean dal personaggio stereotipato e virale di “tanto questo prima o poi muore”).

Comunque, tornando al film, questa non vuole essere una vera e propria recensione, infatti premetto subito che non rivelerò nessuno spoiler, a parte quello del già citato Sean Bean che non ho potuto non menzionare. La regia della pellicola è essenziale, non c’è la pretesa di un virtuosismo stilistico che sarebbe anche andato un po’ a cozzare con l’ “anima” della creatura di Scott, molto semplice ma allo stesso tempo visualmente e concettualmente sorprendente. La storia viene narrata in maniera egregia: il ritmo è sostenuto, non vi sono mai momenti poco coinvolgenti. La storia, in breve, è quella di alcuni astronauti in missione su Marte per raccogliere informazioni, in un futuro poco lontano da noi. Durante una tempesta di sabbia più violenta del solito sono costretti a ritirarsi, ma nella fuga dei detriti trasportati dal vento colpiscono Watney, il quale nella confusione viene considerato ormai morto. Anche la stessa NASA darà sulla Terra la notizia che sì, effettivamente Watney è morto. Chiaramente, come l’elegante e rarefatto sottolio italiano ci conferma, Watney non è morto. É vivo su un pianeta deserto dove dovrà resistere per almeno quattro anni, prima che ipoteticamente la NASA possa anche solo pensare di farvi ritorno. La trama sembra vista e rivista, il solito personaggio abbandonato da tutti che si salva grazie al suo eroismo e il suo carattere. Qui Scott però sorprende lo spettatore, perché propone una figura diametralmente opposta a quella dell’eroe classico dei più scadenti film di fantascienza. Watney non è un’eroe, è uno scienziato, un biologo per la precisione. La sua salvezza non dipende da Dio, dal Fato o dal suo    buon    cuore    ma   dalle   sue   conoscenze.  Lo potremmo definire un “nerd”, una persona che non è forte, non ha una forza di volontà smisurata, e che tuttavia è intelligente. E’ questa sua qualità a salvarlo, il suo sapere è un rifugio nella cattiva sorte (come direbbe il buon Aristotele). Le spiegazioni scientifiche di Watney, nella sua “simpatica follia” di un’esistenza solitaria su Marte, contribuiscono a dare un senso di realismo.

Questa pellicola è la rivincita della scienza e della razionalità sull’irrazionale, sull’eroismo, sull’esaltazione sterile dei sentimenti positivi, basandosi sull’idea del “faber est suae quisque fortunae”, Watney sopravvive perché ha studiato, si è impegnato e conosce il modo intorno a lui. Il futuro dell’umanità dunque è alla portata di tutti, perché non è l’essere carismatico, non è l’aver fede in qualcosa, non è la forza fisica o la prestanza a salvarti, ma la tua mente, nella quale si annidano silenziose le informazioni che hai raccolto sul mondo, la mente che riesce Immaginea proiettarti fuori dai confini terreni, fuori dalla quotidianità, quella mente che ci ha fatto persino viaggiare nello spazio e che a breve ci porterà davvero su Marte. In sostanza il film si regge sui personaggi, a mio avviso fondamentali nella stesura di una sceneggiatura, forse più importanti della sceneggiatura stessa. Ridley Scott ha dimostrato di poter cambiare di nuovo, in proporzione, le dinamiche della fantascienza cinematografica americana, come fece nell’82, con quel film che noi oggi ricordiamo come l’innovazione e la reinterpretazione di un genere condannato all’inferno della banalità e del consumismo, Blade Runner. Ci troviamo di fronte a una scienza che combatte e che non ha più intenzione di abbassare la testa di fronte a nessuno.

JACOPO SORU

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