Ho letto un libro

Ho letto un libro, leggendolo mi sono sentita a mio agio, leggendolo ho pensato al mio corpo, leggendolo ho pensato che tutti lo dovessero conoscere per rendersi conto, per prendere coscienza. Prendere coscienza di una cosa che ognuno già crede di conoscere ma che in realtà è resa quasi una legenda dalla parola stessa, una parola invisibile, che a sentirla diventi paonazzo, “quella cosa” una cosa impronunciabile, da nascondere e di cui vergognarsi. “Quella cosa” è resa patetica sotto la matassa di nomignoli datele per superare l’imbarazzo, che alla fine non capisci bene cosa hai tra le gambe. Una farfallina svolazzante? Una passera cinguettante? Una cosina? Una topina? La vagina no, mai. So di avere degli occhi una bocca, un naso, due gomiti, due ginocchia, venti dita, dieci per le mani, dieci per i piedi, so che le dita sono formate da falangi, falangine e falangette ma non sono sicura di avere una vagina, potrei avere una cosina ma la vagina, o più correttamente, la vulva, no, no, no.

Moltissime donne e ragazze, hanno abbandonato i miti, la vergogna e la paura rispondendo a domande e facendone, grazie ad un progetto iniziato da Eva Ensler. Questa donna, preoccupata per le vagine, per quello che pensiamo su queste e per quello che non pensiamo ha deciso di parlare alle donne della loro vagina, di fare delle interviste sulla vagina e di scrivere, poi, i monologhi della vagina. Ha parlato con più di duecento donne, donne di tutti i tipi, di tutte le età e di tutte le nazionalità, e queste donne le hanno risposto, inizialmente riluttanti ma poi, felici, che qualcuno chiedesse loro di parlare di una cosa che in realtà conoscevano così poco.

Il libro che ho letto io, appunto, si chiama “I monologhi della vagina” è un’opera teatrale, scritta e rappresentata per la prima volta nel 1996 in un piccolo cafè di New York. Dopo tre anni che i monologhi venivano rappresentati, avevano già avuto un discreto successo in America, Eva Ensler viaggiava per raccontare la storia di donne che con lei avevano condiviso le loro esperienze, le loro paure, i loro dubbi e in ogni viaggio incontrava sempre più donne ed ascoltava sempre più storie. Durante quei tre anni si maturò l’idea che lo spettacolo non fosse solo un racconto ma anche un movimento, durante quei tre anni lo spettacolo iniziò ad essere rappresentato da studenti, attori, insegnanti, che lo reputavano importante. Nel 1998, il 14 febbraio fu il primo V-day e si organizzò il primo grande evento di raccolta fondi a cui parteciparono duemilacinquecento persone e furono raccolti 100 000 dollari, così il movimento nacque. V-day, dove la V sta per Valentino, poiché si festeggia proprio quando anche il Santo è festeggiato, per Vagina e per Vittoria. Il V-day è un movimento, ormai globale, contro la violenza sulle donne. Autocoscienza, è una cosa che manca. Vorrei riportare uno dei monologhi che sono stati scritti. “Se la tua vagina si vestisse, che cosa indosserebbe? Una giacca di pelle. Calze di seta. Una pelliccia di visone. Un boa rosa. Uno smoking da uomo. I jeans. Qualcosa di aderente. Smeraldi. Un abito da sera. Lustrini. Solo Armani. Un tutù. Biancheria nera trasparente. Un abito da ballo di taffetà. Qualcosa che si possa lavare in lavatrice. Una maschera di carnevale. Un pigiama di velluto viola. Angora. Un fiocco rosso. Ermellino e perle. Un grande cappello pieno di fiori. Un cappello di leopardo. Un kimono di seta. Un basco. Pantaloni di felpa. Un tatuaggio. Un congegno che dà la scossa per tener lontani gli sconosciuti inopportuni. Tacchi alti. Pizzi e anfibi… Piume porpora, rametti e conchiglie. Cotone. Uno scamiciato. Un bikini. Un impermeabile di gomma. ”

E la tua?

 

SOFIA

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