Solo dal caos nasce una stella

E’ a mio avviso tanto semplicistico e riduttivo quanto manifesto che il fine ultimo dell’esistenza di ogni essere umano, e più in generale di ogni essere vivente, sia la ricerca di uno stato di stabile serenità o serena stabilità.

Poiché è la creatura più controversa e complessa tra i viventi, per l’uomo è estremamente difficile raggiungere una simile condizione; per gli altri animali, infatti, è sufficiente soddisfare le primarie necessità fisiche e, nei casi di specie particolarmente sviluppate, assicurarsi che l’appagamento di tali bisogni sia duraturo.

La prima difficoltà che l’uomo incontra nel seguire questa sua naturale inclinazione (il raggiungimento della serenità) risiede nell’identificare tale concetto con qualcosa di concretizzabile e tangibile.

Ritengo che il progresso abbia creato un insanabile scompiglio, un irreparabile capovolgimento dei valori che pone l’uomo in una condizione di preoccupazione e confusione. Si tende, infatti, a perseguire come prioritari obiettivi effimeri e superflui quali l’appagamento in ambito lavorativo o una florida condizione economica e, quel che è peggio, si è persuasi che tali traguardi possano rappresentare motivo di felicità.

La società è artefice di questo increscioso equivoco che induce inesorabilmente gli uomini ad incanalare energie preziose verso obiettivi di poco conto che, una volta raggiunti, portano un vago senso di appagamento insufficiente a coprire il grande vuoto ancora presente.

Lo snodo fondamentale della questione si trova in un concetto trito e ritrito ma, d’altra parte, mai preso realmente in considerazione; il concetto, cioè, secondo cui la strada verso la serenità è una strada da percorrere all’interno e non all’esterno di noi stessi. Ritengo che le realtà di anima e mondo siano strettamente connesse, o meglio, corrispondenti; sono come aperte l’una sull’altra.

L’esterno e l’interno, l’io e il mondo circostante si influenzano vicendevolmente secondo un processo di interazione, di mutuo scambio, inarrestabile e del tutto naturale. La “metereopatia” ne è un banale ma efficace esempio.

La reazione difensiva dell’uomo, inerme nei confronti di un mondo sconosciuto e indomabile, è la tendenza alla chiusura; egli cerca, attraverso l’impegno in attività estranee e facilmente dominabili, di chiudere la naturale apertura dell’anima nei confronti del mondo, o quantomeno di distrarsi, di ignorare l’enorme ed ingestibile forza esterna che sembra sovrastarlo.

Questo stratagemma in realtà non avvicina la serenità. Al contrario, la allontana di molto: perché si rinuncia, in maniera implicita e spesso involontaria, alla sua ricerca. E’ dunque acclarato che il mondo influenza l’anima… ma, come detto, le due realtà interagiscono, si influenzano a vicenda.

E’ quindi possibile che sia l’anima ad influenzare il mondo? Certo che si; ed è qui che si trova la chiave per aprire la prima porta sulla strada per la serenità.

Il primo obiettivo da proporsi è fare in modo che sia l’interno a determinare l’esterno in chiave positiva; ad influenzarlo secondo le proprie esigenze e non il contrario. Non è ovviamente possibile stabilire il clima desiderato né tantomeno determinare gli eventi a proprio piacimento; è però possibile, nonché necessario ai fini del benessere, leggere positivamente quello che il mondo esterno propone.

Ogni realtà, ogni uomo racchiude in sé un immenso potenziale energetico. Un potenziale che si può sprigionare a favore o a discapito del soggetto e del mondo circostante, intendendo con questo anche l’insieme di individui che lo costituiscono.

L’importanza della serenità non è quindi individuale bensì collettiva; un uomo sereno è anzitutto in grado di esprimere ed imprimere serenità.

La visione olistica dipinge nel modo a mio parere più corretto l’esistenza dell’uomo: questi non è un essere costituito da due realtà separate e spesso in lotta quali corpo e anima, né tantomeno una realtà avulsa dal contesto in cui è immersa; al contrario l’uomo è una realtà unitaria e omogenea, corpo e anima non sono che due estrinsecazioni di tale unica realtà e, come ho scritto, ogni uomo si trova in una costante condizione di scambio con il mondo.

L’idea di serenità richiama immediatamente l’idea di armonia; è quindi necessario generare, o meglio, riconoscere e rispettare la naturale armonia che esiste tanto tra uomo e mondo, quanto all’interno dell’uomo stesso.

Il rapporto che necessariamente esiste tra anima e mondo è stato ormai chiarito ed è sintetizzabile dicendo che dev’essere l’anima ad influenzare il mondo e non viceversa; per quanto riguarda l’armonia da ritrovare all’interno dell’uomo il discorso è altrettanto semplice e lineare.

Ciascuno ha dentro sé un istinto primordiale che lo induce a ricercare ciò che per sé è piacevole anzi, ciò che è per sé bene. Platone ci offre un’interessante descrizione delle differenze tra bene e piacere e ci mette in guardia dalle insidie del piacere che spesso viene scambiato per bene.

Non intendo dilungarmi in questa sede in dissertazioni e confutazioni filosofiche ma ritengo che il piacevole possa essere identificato come tutto ciò che, pur portando appagamento, allontana dalla reale serenità anziché avvicinarla; quindi le soddisfazioni lavorative, economiche e, in alcuni casi, relazionali. Queste non sono, sia chiaro, di per sé dannose; l’inganno avvelenatore risiede nella persuasione che tali soddisfazioni siano la chiave verso la serenità. Esse sono al contrario diversivi piacevoli da porre indiscutibilmente in secondo piano.

Il bene è, invece, l’estrinsecazione e l’espressione del proprio potenziale naturale. Ogni uomo possiede un potenziale che in parte è condiviso da tutti gli appartenenti alla propria specie e in parte differisce da individuo a individuo; per natura l’uomo è incline a sprigionare questo potenziale ed è in questo modo che egli realmente si realizza e trova la strada verso la serenità.

Dunque, bisogna innanzitutto rispettare sé stessi in quanto uomini e in quanto individualità e mai, dico mai, perdere di vista quello che la nostra natura quotidianamente ci suggerisce di seguire.

Se un leone, per assurdo, decidesse di venir meno ai propri istinti naturali e smettesse di inseguire le gazzelle e le proprie prede invero morirebbe di fame; gli uomini non muoiono di fame abbandonando se stessi ma avvizziscono lentamente sprecando quello che è il dono più grande, forse l’unico: l’esistenza!

Bisogna far sì che la serenità si trovi all’interno del proprio sé ed è necessario che il suo livello non scenda mai al di sotto di una soglia minima; gli eventi esterni non devono influenzare oltre un certo limite lo stato d’animo di ciascuno. Egoismo? No, affatto: come ho precisato un individuo sereno è anzitutto fonte di serenità, così come un individuo annichilito e ripiegato sul proprio dolore è fonte di sconforto.

Mantenere salda la propria serenità sarà dunque una missione, una missione benefica per sé e per gli altri.

 

GIULIO SAVINI

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