La vera forza

Su e giù per la stanza cercando di non pensare allo stomaco che si contorce. Guardo continuamente l’orologio, di minuto in minuto. Mancano un paio d’ore. Le note scivolano sui fianchi e cerco di non pensare. Questo è il momento in cui sola nella mia stanza, affronto i miei dubbi, le mie paure, lavoro con me stessa e sulla mia mente, respiro e arriccio le dita.

La musica ha il sopravvento, proprio come desidero, poi quel familiare rumore mi desta. Afferro la borsa, velocemente mi guardo allo specchio: coda di cavallo, trucco leggero, o meglio, quello che ne resta, divisa. Si va. Il motore è ancora acceso, inizia la fase di incoraggiamento in corsa. Le figure paterne di solito fanno questo, incoraggiano e danno forza; la mia mi sprona a dare il massimo, a sfondare i muri, a bucare il pavimento. La sua mano si poggia sul ginocchio come se avesse bisogno di un supporto, ma quella che ha necessità di sostegno è seduta accanto a lui e lo sa bene.

Respiro e sospiro, macchie sfrecciano accanto a me, devo concentrarmi lasciandomi indietro i pensieri della giornata, la stanchezza della nottata passata a studiare, le preoccupazione delle scelte future, non conta nulla; davanti a me ho solo un obiettivo.

Avanti e indietro per il campo, dimenticando i tremiti lungo le braccia, che ruotano intorno alla spalla ancora fredda. Ormai manca mezz’ora. Il suono delle casse mi pervade, serve per estraniarsi, seguendolo inizia la preparazione. Bisogna risvegliare i sensi, il corpo e i riflessi.

Correndo e saltando si sfogano le frustrazioni, se ne vanno i cattivi pensieri, di fronte agli occhi ho solo il suo sguardo sorridente, basta quello per capire tutto; e ride, non so se per la mia coda quasi già disfatta o per fingere di non provare dolore, dopo l’allenamento estenuante del giorno precedente.

Il fischio dei dieci minuti. Iniziano le occhiate diffidenti alle avversarie, i bisbiglii nelle orecchie, il rumore dei cinque, dati come incoraggiamento, approvazione o anche solo per intesa del singolo momento. Il saluto, le mani che scorrono come un fiume fra quelle delle avversarie, le mani che volano tra quelle dell’allenatore, le mani riunite al centro e l’urlo; l’urlo per scacciare le paure che devono trasformarsi in adrenalina, l’urlo per caricare la squadra e l’urlo per demoralizzare le giocatrici dall’altra parte della rete.

L’arbitro fischia.  Prendo un bel respiro profondo, il rumore del pubblico scompare, sono solo io nel mio silenzio con la palla. Ciò che vogliamo è dimostrare la nostra forza, il nostro impegno, le nostre fatiche, i nostri sacrifici, il nostro legame, la nostra amicizia, la nostra fiducia l’una per l’altra. Ciò che vogliamo è vincere.

 

BETTA

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