Storia di una nazione che non ha più figli

Continua anche quest’anno, inesorabile, il calo delle nascite nella stanca e vecchia Italia. Secondo statistiche Istat, nel 2014 sono nati infatti cinquemila bambini in meno rispetto al 2013, per un totale di poco più di cinquecentomila nascite: il che equivale al livello minimo dai tempi dell’Unità d’Italia! Tende in compenso ad aumentare, conclude l’ente di ricerca,  l’aspettativa di vita, sia per gli uomini che per le donne – rispettivamente 80 ed 85 anni – . Ciò che mi ha colpito leggendo questa notizia (che è di pochi giorni fa) su vari quotidiani è la parziale o, più spesso, assoluta mancanza di un’accurata e puntuale analisi circa le motivazioni che possono indurre gli italiani a non fare figli, preferendo invece la piatta copiatura dei dati Istat. Proviamo quindi ad addentrarci nelle cause, da non sottovalutare, che frenano il futuro del nostro paese.

 Partiamo da un luogo comune: “in Italia non si fanno più figli perché l’economia non gira, le famiglie non ce la fanno perché non ci sono soldi: come sperare quindi di crescere dei figli in queste deprecabili condizioni?”. Dal momento che ho avuto modo di approfondire questo tema, posso dirvi che è solo una sciocca scusa. Vi chiedo: sapete quando ci fu il boom di nascite in Italia? Nel dopoguerra, tra il 1946 e il 1950, quando cioè eravamo a pezzi, sotto le macerie e senza un soldo in tasca. Con i suoi figli il Bel Paese – e la sua economia – ripartì e, come sappiamo, al boom demografico seguì appunto quello economico, alimentato da questa abbondante gioventù.

ImmagineChe succede oggi invece? Succede che quasi un italiano su quattro ha più di 65 anni e che le donne italiane fanno, in media, poco più di un figlio. Perché non trarre le prime conclusioni solo da questi pochi dati? La mancanza di nascite porta ovviamente  come prima  conseguenza l’invecchiamento della forza lavoro, con successiva perdita di competitività (quindi minori investimenti) e restringimento della base per l’imposizione fiscale (si abbassa cioè la percentuale della forza lavoro sul totale della popolazione). In queste condizioni l’aumento delle tasse diventa la strada più facile ed immediata per compensare la minore base per l’imposizione fiscale, a fronte di spese sociali sempre più elevate, fino al punto da diventare insopportabili per l’intero sistema. Cosa a cui l’Italia è già arrivata.

A ben vedere la situazione è drammatica, specie se prendiamo in considerazione la causa a mio avviso maggiore che è alla base della crisi demografica di oggi. Sto parlando dell’aborto. Causa celata e taciuta, messa da parte quasi fosse insignificante, l’aborto in realtà ha ucciso sei milioni (milioni!) di bambini, fin dalla sua introduzione nel 1978. Con sei milioni di (giovani) italiani in più non sarebbe più facile, ad esempio, uscire dalla crisi? Mi si obietterà che “quella non è vita”, che “meglio abortire che vivere con un peso che non è ancora essere”, eccetera. Si potrebbe però stroncare sul nascere queste obiezioni con una frase della grande Oriana Fallaci, che così scriveva: “Mi stupisco sempre che i laici lascino ai credenti l’onore di affermare che quella è vita: e io da laica affermo con forza che quella è senza dubbio vita, e non vi è nulla per affermare il contrario”. Il tutto è poi commesso egoisticamente, senza pensare ai più deboli e indifesi, a coloro che non sono stati voluti perché reputati dei “pesi” e di conseguenza eliminati. Già, i figli sono spesso considerati “pesanti”: ostacolano la vita, creano problemi, rompono le scatole. Meglio non averne e vivere in santa pace. Peccato però che una società senza figli è destinata, come si diceva, all’estinzione.

ImmagineMa noi non ne parliamo, di questi problemi. Ci lamentiamo dell’”invasione” islamica, senza sapere il perché, e non la contrastiamo sul piano culturale e demografico, preferiamo parlare di diritti che già ci sono, come i diritti civili, e scartiamo sovente da noi  le difficoltà che un figlio comporta, magari pensando: “A che serve mettere al mondo un figlio, che oltre a rovinare la mia vita, soffrirà forse più di me?”. Naturale, l’uomo non vuole e non cerca di soffrire. Ma questo esorcizzare eccessivamente la morte, la sofferenza e il dolore sta producendo in noi una sorta di “imborghesimento” che ci fa credere di vivere in un altro mondo, nettamente distaccato, e non ci ricorda che questi elementi sono tratti integranti del nostro essere.

Per fare un esempio concreto, prendiamo i bambini che, ancor prima di nascere, si sa avranno sindrome di Down: chi li vuole? Nessuno. Perché? Perché portano fatica, lavoro, bisogno continuo di attenzioni. Perché sacrificare la mia vita? E allora via, non mi serve. La sofferenza oggi non è più parte integrante dell’uomo, ma un ostacolo da dribblare in qualunque modo. Ecco la causa della crisi demografica: l’uomo non sa più vivere, fugge dalle difficoltà, illudendosi di poter vivere beato come nell’Eden. Ecco la base della situazione odierna: la cultura occidentale postmoderna, che Papa Francesco ha definito “cultura dello scarto”, proprio ad indicare l’abissale assenza dei nostri valori. Il vuoto, l’impossibilità di imparare dalla storia, con cui abbiamo reciso completamente i legami. E una società che non impara dai propri errori e che rinnega la propria storia non ha, non può avere un futuro davanti.

Sono convinto poi che le due cause (presunte o meno, a seconda dei punti di vista) prese in esame, ovvero aborto e crisi economica, abbiano qualcosa in comune: la paura. L’essere umano ha da sempre paura per natura, ma in questo momento storico ne ha di più, anche se non vuole ammetterlo. Siamo infatti, come detto, nella condizione postmoderna, in cui l’uomo non sa che pesci pigliare, non sa verso dove indirizzare la propria vita, verso quali ideali. E haImmagine paura, perché sa che una scelta sbagliata può pregiudicare la sua stessa vita. Ma può anche avvenire il contrario, ovvero una non-scelta che può segnare in negativo la sua esistenza. La paura si supera senz’altro con la fiducia in noi e  nel futuro: ce l’abbiamo oggi, questa fiducia? Abbiamo fiducia nei nostri valori ed ideali? Troppo spesso no. E chissà se li abbiamo, questi valori. Ma la speranza, come si dice, è l’ultima a morire: basti prendere esempio dalla famiglia Anania (quella di Sanremo, per intenderci): 16 figli e un solo stipendio! Che roba è? Per 2000 anni è stata chiamata Provvidenza. Come la vogliamo chiamare oggi? A voi la risposta. Sta di fatto che, come questa famiglia dimostra, basta avere ideali e fiducia. Il resto si affronta in seguito con calma, serenità, ottimismo e dei figli a dare una mano. Tra mille difficoltà, ma con rinnovata speranza. Insieme.

FRANCESCO PAULETTI

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