La coscienza di Zeman

Un uomo silenzioso, Zdenek Zeman, le cui poche parole valgono come sentenze. Un totem per il nostro calcio. Il solo pronunciare il suo nome rievoca nella nostra memoria il suo atteggiamento ambiguo, da saggio che ha appena raggiunto l’imperturbabilità dell’animo . Ne sono state dette di tutti i colori su di lui, sul suo modo di intendere il calcio, sul suo senso innato di giustizia e di onestà, che gli ha imposto, nel lontano 1998, di denunciare il presunto abuso di sostanze dopanti da parte di società prestigiose come la Juve, nonostante la consapevolezza che avrebbe subito la vendetta dei potenti del pallone, come poi inevitabilmente è avvenuto. Non staremo qui a ripetere una ad una le tappe della sua carriera da allenatore. Ci limiteremo a dire solamente che in fin dei conti nella sua esperienza ha ottenuto solo alcune promozioni di categoria, ha sfiorato con il suo Foggia l’ingresso in coppa Uefa nel lontano 1994 (anche se questo, come ci insegna Mou, non è un titolo), un paio di podi con Lazio e Roma,  e tanti, tantissimi esoneri. La domanda che necessariamente potrebbe sorgere nella mente di chi non si intende di calcio è per quale motivo Zdenek Zeman è considerato un maestro del calcio.

ImmagineInnanzitutto perché ha interpretato  il 4-3-3  in un modo geniale e rivoluzionario, ultra-offensivo, dove i centrali difensivi sono sulla linea di centrocampo, il portiere agisce come libero mentre i terzini e le ali si sovrappongono in continuazione, serviti puntualmente da un lungimirante regista, pronto a distribuire i palloni con velocità e precisione. Senza dimenticare il trio di attaccanti, spesso definito “delle meraviglie”, che sono i primi beneficiari del gioco ”zemaniano”, sempre pronti a inserirsi nell’area di rigore avversaria e a segnare maree di gol. Nel vedere le squadre che sono riuscite a apprendere gli insegnamenti di Zeman sembra di assistere a un flipper dove la palla corre veloce così come i giocatori che instancabili vanno su e giù per il campo. Pensate all’entusiasmo dei tifosi e più in generale degli amanti del calcio, abituati ad assistere a partite che sembravano guerre di logoramento, in cui ogni squadra si chiudeva nel proprio “catenaccio”, attendendo la mossa degli avversari ,  quando videro per la prima volta un gioco così spumeggiante, spregiudicato, libero e incosciente, il cui mantra era ed è “difendere attaccando”. Con Zeman finalmente il calcio si era in parte  liberato  dalla sua componente difensivista e furtiva: l’obiettivo non era più conquistare i tre punti colpendo l’avversario cinicamente in contropiede, sfruttando un suo momento di debolezza, ma attaccare, dominare il campo, dimostrare e legittimare la propria vittoria, perché se si vinceva si era stati superiori agli avversari in tutto e per tutto.

Il pubblico adora e ha sempre adorato Zeman perché si diverte, nel bene e nel male, esce sempre entusiasta da uno stadio di calcio sia nella vittoria che nella sconfitta, perché sa di essere il primo destinatario del gioco di Zeman, allenatore che non rimprovera i suoi ragazzi  se hanno perso, ma se hanno deluso le aspettative del pubblico. E il pubblico ha un ruolo fondamentale nello spettacolo: sa che i giocatori stanno dando tutto per la causa zemaniana, non ha dubbi sull’onestà dei propri beniamini e raramente si lamenta del loro operato. Sa infatti che il loro formidabile atletismo e la velocità da giocatori di altissimo livello è frutto di un lavoro durissimo, svolto a luglio, che Zeman impone a tutti i suoi giocatori, e che non tutti sono disposti a fare. Il pubblico sa che gli schemi che riescono perfettamente in campo sono stati provati e riprovati maniacalmente in allenamento. La felicità del pubblico allo stadio rispecchia l’armonia e la compattezza della squadra di Zeman così come il cinismo e la tensione estrema che a volte caratterizzano una qualsiasi altra partita di calcio si riflettono nel comportamento degli spettatori, talvolta sfociando in atti di violenza. Il bello è che la maggior parte dei club  che sono riusciti a realizzare meglio le idee di Zeman sono le cosiddette “provinciali”, le più deboli economicamente, spesso destinate a soccombere contro società più importanti. Con Zeman molte squadre minori hanno avuto la possibilità di affrontare a viso aperto club più blasonati di loro, sorprendendoli spesso, insidiandoli sempre. Tanti giocatori giovani e sconosciuti sono stati scoperti e valorizzati dal boemo, e il loro prezzo è lievitato.

ImmagineIl  nome di Zeman è diventato oramai sinonimo di un calcio inteso come sport prima che business, come spettacolo, come lavoro e dedizione a cui tutti i componenti della squadra devono credere per esprimere al meglio le proprie potenzialità, affinché il progetto del boemo non fallisca. Già: progetto. Progetto definito folle, coraggioso, anticonformista, sicuramente difficile da realizzare e da mettere in atto: la sua storia, di cui ho scritto prima, lo conferma. Però alcune volte Zeman ci è riuscito, e quando l’ha fatto ha meravigliato tutti, dimostrando che non sempre tutto va dove porta il denaro, il potere , le costanti  che regnano su tutto e decidono il destino umano. Talvolta a vincere è il lavoro, il coraggio di difendere fino all’ultimo gli ideali per cui si crede, anche quando vanno contro il senso comune, il coraggio di esprimere i propri valori senza essere condizionato da nessuno. Nemmeno da chi può benissimo rovinare la tua carriera. A volte i principi giusti di una persona  prevalgono anche sulla paura e sulla prudenza e Zeman lo ha dimostrato a pieno. Mi chiedete perché Zeman venga considerato un maestro? Per questo.

MARCO CILONA

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