Anche il calcio italiano è in crisi

Italia-Uruguay 0-1. Era l’ultima partita del girone, ci sarebbe bastato un pareggio per passare il turno al secondo posto, dietro al modesto Costa Rica che ha sorpreso tutto il mondo del calcio, noi per primi, pur con un gioco di squadra ultradifensivo. Invece la sfortuna o il solito errore in marcatura di Bonucci, ha permesso alla formazione uruguagia di vincere e sorpassarci in classifica grazie ad un colpo di testa dopo un corner nei minuti finali, facendoci uscire anzitempo dal mondiale in Brasile. Tutto questo per la cronaca. Non che meritassimo di andare avanti, anzi, per dirla tutta è stato anche meglio che sia andata così, viste le prestazioni impalpabili mostrate dagli “azzurri”,  caratterizzate da un infruttuoso possesso palla assai più somigliante all’esaustiva“melina” italiana anni ‘60, che al veloce “tiki-taka” spagnolo. Ma questa seconda figuraccia mondiale  è solo l’ultima in ordine di tempo di una serie di sconfitte sportive maturate in ambito internazionale dalle nostre squadre, che evidenziano come il calcio italiano sia in crisi profonda. Certamente è giusto che si diano le colpe della sciagurata spedizione alle scelte tecniche  di Prandelli o all’inutilità in campo di Balotelli, ma le cause del fallimento italiano sono radicate nel sistema calcio nazionale. Negli ultimi 10 anni il nostro campionato ha perso ben tre posizioni nel ranking Fifa passando dal secondo posto al 5° con conseguente perdita di un posto in Champions League. Il ranking Fifa mensilmente aggiunge punti  alle nazioni in base ai rendimenti  delle squadre europee in Champions ed Europa League. E qui i numeri sono impietosi. Le squadre italiane negli ultimi 7 anni hanno raggiunto solamente 3 volte le semifinali di queste due manifestazioni ( Inter 1°

 

posto Champions 2010, Juventus semifinale Europa League 2014 e addirittura Fiorentina semifinale Coppa Uefa 2008 ).  Sicuramente rispetto agli anni d’oro, culminati con la vittoria di Germania 2006, il livello del nostro calcio si è

abbassato notevolmente a partire dalla serie A, non più competitiva come un tempo come dimostrano i ritmi blandi delle partite e la fuga dei talenti emergenti all’estero. Abbiamo visto tutti in che modo la Roma, considerata senz’altro la squadra con il gioco più bello e emozionante d’Italia, si sia fatta umiliare in casa dal Bayern Monaco, mettendo in evidenza l’abissale dislivello tecnico tra i due club. Ma il fatto più inquietante osservabile dalla partita di martedì scorso è la lentezza dei ritmi di gioco e la mancanza di velocità nella distribuzione dei passaggi da parte dei giocatori della Roma, sempre vincenti in patria. La colpa della disfatta deve essere  quindi attribuita a un campionato di bassa qualità, non allenante per le nostre migliori squadre, completamente impreparate a affrontare top team europei che fondano sulla rapidità e sul pressing la loro forza.

Di conseguenza, da un torneo di seconda fascia è difficile formare una nazionale di prima. Però il vero scandalo è che ben il 60% dei calciatori di serie A non sono selezionabili perché stranieri, quindi il cerchio si restringe a una quarantina di giocatori individuabili dal commissario tecnico. Si è parlato molto spesso di porre un limite a quest’importazione massiccia di non italiani ma inevitabilmente gli interessi economici delle società (leciti e non) e l’abilità truffaldina degli agenti sportivi prevalgono, e, non di rado, viene preferito un  talento argentino tarocco a un giovane promettente italiano in rampa di lancio. Non si può negare che i nostri club rispetto ai loro colleghi europei stiano soffrendo maggiormente la crisi economica. Nessuno è rimasto indifferente quando ha visto le prestigiose maglie di Roma e Fiorentina senza sponsor pubblicitario, ad alcuni avrà fatto anche piacere, ma bisogna ribadire che questa situazione deriva da scelte errate compiute a partire dagli anni ‘90 quando all’inizio dell’era delle pay tv i club italiani, come solito nel bel paese, si sono adagiati sugli allori, senza investire i soldi ricavati nella manutenzione degli stadi vecchi e nella costruzione di quelli di proprietà. Così mentre in Europa ci sono stadi magnificenti dotati di spalti pieni di pubblico in Italia ci teniamo gli impianti statali che cadono a pezzi. Il risultato?

 

 

I milioni di introiti che le arene garantiscono alle squadre straniere mancano in Italia, e se a questo si aggiungono  i prezzi irrisori con cui i diritti tv della serie A sono venduti all’estero, si potrà intuire che i fatturati delle nostre big sono di molto inferiori ai top team d ‘Europa. Ecco da dove proviene il deficit.

In conclusione, sebbene sia difficile trovare delle soluzioni per tornare ai livelli che competono al nostro calcio, l’importante è avere idee chiare e innovative, partendo dalla valorizzazione dei giovani provenienti dai vivai e dalla riduzione netta degli ingaggi onerosi dei calciatori che dissanguano letteralmente le società. Offrendoci in cambio spettacoli indegni come quello andato in scena in Brasile.

 MARCO CILONA

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