Un regno non molto unito

Il 2019 è stato finora per il Regno Unito l’anno che ha messo in crisi il rapporto tra Governo e Parlamento, le regole previste dalla Costituzione non scritta britannica e l’unità del Regno, in un clima di uscita dall’UE tutt’altro che chiaro e semplice.

Theresa May, in carica dal luglio del 2016, si è dimessa in seguito alla mancanza del sostegno dei tories verso la proposta che il 15 maggio aveva avanzato: il premier intendeva far votare i deputati sull’accordo di recesso con l’approvazione di un Withdrawal agreement bill, che oltre all’accordo avrebbe previsto un referendum di conferma. Aveva proposto inoltre di far votare il Parlamento sull’istituzione di un’Unione doganale temporanea. Tutto ciò ha provocato una grande opposizione proveniente dalla maggioranza del suo stesso partito. Il 24 maggio Theresa May ha annunciato le sue dimissioni a partire dal 7 giugno. Il 23 luglio, a seguito di una votazione degli iscritti al partito, Boris Johnson è divenuto il nuovo leader del partito conservatore e Primo Ministro.
Il 28 agosto Boris Johnson ha ottenuto dalla Regina la sospensione del Parlamento per cinque settimane, con la riapertura al 14 ottobre. In questo modo Boris Johnson avrebbe impedito l’approvazione di una legge da parte del Parlamento contro il no deal, ovvero l’uscita dall’UE (prevista per il 31 ottobre) senza un accordo. L’uscita senza intesa comporterebbe una grande difficoltà economica e commerciale per i rapporti tra il Regno Unito e i paesi dell’UE, una situazione di incertezza per i lavoratori stranieri presenti nel paese, e problemi per la circolazione delle merci. Boris Johnson, che nega l’importanza di stabilire un accordo con l’UE, ha pensato che chiudere il Parlamento inglese fosse una buona idea per evitare che si discutesse ulteriormente della Brexit, di cui egli è un acceso sostenitore.
La sospensione del Parlamento è stato il culmine del programma che Boris Johnson ha avuto fin dall’inizio: limitare il potere dell’organo legislativo, affidando i ruoli più importanti del suo esecutivo agli esponenti Brexiteers del partito a scapito dei tories europeisti. La scelta è stata molto criticata, perché, sebbene la prorogation venga sempre scelta dall’esecutivo, si è trattato di un’azione anti-democratica il cui scopo era semplicemente di impedire alle Camere di decidere riguardo un accordo di fondamentale importanza per le sorti del paese. Una decisione di questo genere creava inoltre un precedente, una forma di tolleranza e accettazione nei confronti dell’accentramento del potere in mano al Primo Ministro. Il modo in cui Boris Johnson ha scelto di ignorare le Camere ricorda il contrasto tra Carlo I e il Parlamento che nel XVII secolo portò la Gran Bretagna alla Guerra Civile. Bisogna ricordare come finì per Carlo I?
Il referendum del 2016 che ha portato il Regno Unito a scegliere di uscire dall’Unione è stato vinto dal leave con il 52 % dei voti. Ciò significa che poco meno della metà della popolazione nel Regno Unito è contraria alla Brexit. Non hanno forse queste persone il diritto di essere rappresentate in Parlamento da deputati che si impegnino a garantire un’uscita che sia la meno traumatica possibile per il paese?
Il 24 settembre la Corte Suprema, presieduta da Brenda Hale, ha definito la sospensione del Parlamento illegale e anticostituzionale, annullando l’Order in Council. Ciò è di grande importanza perché per la prima volta la Corte ha annullato un atto della Corona. Tuttavia la vicenda ha messo in luce come l’assenza di una Costituzione scritta abbia comportato molte incertezze su chi avesse il potere decisionale in un mese così cruciale. Infatti il Regno Unito non possiede un singolo documento costituzionale, ma un insieme di convenzioni, decisioni giuridiche e statuti. Avendo attualmente un Governo di minoranza e forti contrasti in Parlamento, la Corte Suprema, che ha assunto di fatto il ruolo di una Corte costituzionale, si prepara tuttavia a svolgere un ruolo rilevante di equilibrio.
Boris Johnson ha chiesto ma non ha al momento ottenuto le elezioni anticipate, che necessitano del consenso di due terzi del Parlamento. Attualmente i sondaggi danno al Partito Conservatore il 32% dei voti, al Partito Laburista il 23%, ai Liberal-Democratici il 18% e al Brexit Party il 13,9%.
La situazione è in perpetuo movimento. Nel momento in cui scriviamo è previsto che se non si raggiunge entro il 19 ottobre un accordo (cosa che Johnson non sembra particolarmente intenzionato a fare), l’uscita attualmente stabilita al 31 ottobre verrà rimandata (si parla di gennaio dell’anno prossimo).
L’8 ottobre Angela Merkel ha definito l’accordo con la UE per la Brexit enormemente improbabile alle condizioni di Boris Johnson. La Cancelliera tedesca ha proposto che l’Irlanda del Nord sia lasciata nell’unione doganale, suscitando pesanti critiche da parte del Governo inglese. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha accusato Johnson di giocare ad “uno stupido scaricabarile” sulla Brexit e di non considerare in primis il futuro, la sicurezza e gli interessi dell’Europa e del Regno Unito.
Anche se la maggioranza dei cittadini inglesi ha votato favorevolmente alla Brexit, bisogna ricordare che in Scozia e in Irlanda del Nord una consistente maggioranza della popolazione è contraria all’uscita. Già nel 2015 in Scozia si era votato se rimanere o meno nel Regno Unito. La decisione finale era stata quella di rimanere, soprattutto perché un’eventuale uscita avrebbe portato la Scozia ad allontanarsi dall’Unione. Quando il Regno Unito ha votato di lasciare l’UE, per gli scozzesi è stato un duro colpo. È stato annunciato un nuovo referendum per il 2020, e resta da vedere come si collocherà la Scozia nella scelta tra UE e Regno Unito.
Avverrà una frattura tra le Nazioni che costituiscono il Regno? Quando ci sarà la Brexit? Si riuscirà a raggiungere un accordo? Quanto dannosa sarà per l’Europa e per la Gran Bretagna l’uscita? Il clima persistente di incertezza ci impedisce di rispondere a queste domande. Quello che sappiamo è che sia per quanto riguarda la divisione interna, sia per quanto riguarda la divisione con l’Europa, l’Inghilterra sta vivendo un periodo di grande debolezza costituzionale, e che al termine di questa grande operazione, scopriremo un Regno Unito molto diverso da quello che abbiamo da sempre conosciuto.

MARIA GUERRIERI

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