Scaricabarile (di petrolio)

elle prime ore del 14 settembre una serie di missili hanno colpito due impianti di lavorazione del petrolio greggio in Arabia Saudita: Abquaiq e Khourais, provocando danni immensi. Al sorgere del sole, il prezzo del petrolio Brent è salito del 20%, per poi scendere di nuovo a $64, solo $1 in più rispetto alla settimana precedente all’attacco. Aramco, la gigante compagnia petrolifera di proprietà dell’Arabia Saudita, è infatti riuscita già dal 17 settembre a riprendere la lavorazione di 2 milioni di barili al giorno ed oggi ha completamente ripristinato la sua regolare produzione di petrolio. Ma l’attacco rimane un affronto significativo al regno saudita del principe Mohammed bin Salman.

I ribelli Houthi, un gruppo armato sciita attivo in Yemen, hanno rivendicato l’attacco ma le immagini satellitari mostrano un’operazione sofisticata e precisa, che difficilmente può essere stata condotta senza l’aiuto di un’ intelligence militare più potente e centralizzata. Fabian Hinz, un analista al James Martin Centre for Nonproliferation Studies sostiene infatti che i missili da crociera utilizzati siano stati progettati in Iran. Nonostante le accuse da parte dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti (a cui poi si sono aggiunte la Gran Bretagna, la Francia e la Germania) l’Iran nega qualunque tipo di coinvolgimento.

L’Iran è da decenni causa di conflitti e tensioni nel Medio Oriente, minacciando gli equilibri geopolitici mondiali. Uno dei principali rivali di Teheran è proprio l’Arabia Saudita. Il regno saudita era considerato guida del mondo arabo fino al 1979, anno in cui il regno iraniano diventò la Repubblica Islamica dell’Iran, una sorta di teocrazia “rivoluzionaria”, che si è data lo scopo di esportare questo modello politico in tutto il Medio Oriente. La lotta tra le due potenze è inasprita da una significativa differenza religiosa: il regno saudita è il paese-leader dei sunniti del Medio Oriente mentre la maggioranza della popolazione iraniana è sciita.
Il conflitto indiretto tra le due potenze, che avviene in zone limitrofe, è di rilevanza mondiale. L’Arabia Saudita è infatti appoggiata dagli Stati Uniti ed Israele: la prima ha fortissimi interessi economici, la seconda vuole bloccare l’influenza iraniana nella confinante Syria. La Russia, invece, appoggia l’Iran per tenere la crescente comunità russo-musulmana sotto controllo, per il suo interesse in alcuni paesi post-sovietici sotto la sfera iraniana (come l’Armenia, l’ Azerbaijan ed il Turkmenistan), ed infine per controbilanciare l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente.
Dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 e la consequenziale sconfitta del sunnita Haddam Hussein, l’influenza dell’Iran sciita si è sviluppata velocemente nell’area e diversi gruppi militarizzati finanziati da Teheran, come gli Houthi in Yemen o il gruppo terroristico Hezbollah in Libano, hanno acquistato sempre più potere.
Tuttavia, quando la comunità internazionale ha cominciato a sospettare che il “pacifico” programma nucleare dell’Iran includesse la progettazione di una bomba atomica, le pesanti sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno ridotto drasticamente il potere del Paese. Nel 2015 si era raggiunto un accordo tra Stati Uniti, Iran, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia, Germania e l’Unione Europea: le sanzioni economiche sarebbero state cancellate a condizione che l’Iran si fosse impegnato a ridurre le sue attività nucleari. Questo aveva anche permesso di dissuadere Teheran da una politica aggressiva, che avrebbe compromesso gli investimenti esteri nel suo territorio. L’anno scorso, però, Trump si è ritirato unilateralmente da questo accordo, gli Stati Uniti ne vogliono di fatto uno nuovo che freni il missile balistico iraniano ed il coinvolgimento di Teheran nei conflitti regionali.

Gli Stati europei cercano di salvare l’accordo, ritenendo che sia l’unico deterrente possibile al belligerante programma nucleare dell’Iran. Infatti a luglio Teheran, che ha vissuto il ritiro di Trump come un tradimento, ha aumentato la purezza e la quantità dell’uranio concesse nel 2015.
Le nuove sanzioni economiche degli Stati Uniti hanno piegato in due l’economia iraniana riducendo l’esportazione di petrolio da 2.8 milioni di barili al giorno a meno di 1 milione, e nonostante Trump neghi che queste sanzioni puniscano i civili, lo fanno indirettamente. Per nominarne una, c’è una vera e propria carenza di medicinali nel territorio: molte compagnie farmaceutiche si rifiutano di vendere all’Iran per non rischiare di danneggiare le proprie relazioni con gli Stati Uniti e Teheran non può fabbricarli perché è difficile importare le materie prime.
Il presidente Hassan Rouhani ha più volte, nel corso di quest’anno, cercato di segnalare il proprio disappunto alle altre potenze europee, finché la situazione non è precipitata. Teheran, infatti, ha deciso di ostacolare il passaggio delle petroliere nel Golfo Persico, arrivando a tenere in ostaggio da luglio a settembre una nave britannica con un pretesto. Da queste azioni minacciose, che avevano probabilmente l’intento di spingere la Francia, la Germania e la Gran Bretagna ad offrire linee di credito per mitigare le sanzioni americane, l’Iran è passato ad attacchi più violenti come quello ad Abquaiq e Khourais.
Teheran però sa che spingendosi troppo oltre perderebbe l’appoggio vitale degli Stati dell’UE, che si sono uniti agli americani nell’accusare l’Iran di essere responsabile del più recente attacco. Le prossime mosse di Teheran saranno sicuramente più caute.
La Francia si è impegnata nel tentativo di risolvere le tensioni tra l’Iran e gli Stati Uniti stipulando un accordo che stabilisce da una parte, l’impegno di Teheran di non progettare armi nucleari, rispettare le obbligazioni imposte sul suo programma nucleare e promuovere la pace in Medio Oriente, soprattutto in Yemen, attraverso delle negoziazioni; dall’altra, che gli Stati Uniti annullino le sanzioni e permettano l’Iran di continuare ad esportare petrolio. Sia Teheran che Washigton si rifiutano di compiere il primo passo.

Il Medio Oriente rimane una partita aperta in cui precari equilibri geopolitici determinano il futuro del mondo. Sebbene sia gli Stati Uniti che l’Iran affermano di non voler entrare in guerra tra di loro, devono entrambi mostrarsi più aperti alle soluzioni diplomatiche proposte dalla Francia per evitare inevitabili conseguenze disastrose alle loro politiche aggressive.

BIANCA BARTOLINI

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Google photo

Stai commentando usando il tuo account Google. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...