Il tristo mietitore

Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io… Io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte. (Antonius Block, Il settimo sigillo)

La morte, la fine della vita. Il grande mistero, il più grande, forse. Non c’è uomo che non si sia mai interrogato su questo grande enigma, non c’è nessuno che non abbia mai pensato al senso della sua vita e alla fine di tutto. Da sempre scienza, religione e filosofia hanno cercato di dare una spiegazione alla morte indagando talvolta anche sulla sua natura metafisica; infatti sia per alcune dottrine filosofiche, che per molte religioni la morte non era altro che una “liberazione” dell’anima dal corpo terreno. Altre volte, invece, la filosofia, così come la scienza, hanno tentato di analizzare la natura fisica della morte inquadrandola come naturale fenomeno biologico che comporta la cessazione dell’esistenza.
L’uomo si è sempre interrogato sulla morte, ne è sempre stato intimorito e, allo stesso tempo, affascinato, tanto da personificarla e renderla protagonista di svariati miti e leggende. Figlio di Nyx, la notte, e Hypnos, il sonno, Thanatos era la personificazione greca della morte. In Giappone c’era Emna, in India Yama, per i popoli slavi era Morana mentre nell’Islam era personificata da Azrael. A volte donna, altre angelo o divinità, nel corso dei secoli mille e più volti sono stati dati alla morte, tuttavia è nel Medioevo che si afferma la sua rappresentazione come “nera mietitrice”. Questa figura, anche conosciuta come “il tristo mietitore” (The Grim Reaper), risale probabilmente al XIV secolo quando la “morte nera” ovvero la peste si andava diffondendo per tutta l’Europa. È in questo periodo che, attraverso le iconografie del trionfo della morte e delle danze macabre, viene rivoluzionata l’immagine della morte con l’affermarsi della sua più nota rappresentazione: uno scheletro vestito con un saio nero armato di falce. Questo strumento suggerisce appunto che la morte, esattamente come la falce che pareggia l’erba, colpisce indistintamente tutti gli uomini. Il concetto trova piena espressione nelle rappresentazioni delle danze macabre in cui si ritraeva una danza tra uomini e scheletri. I primi del corteo erano i potenti (nobili, papi, vescovi…), poi seguivano i ricchi borghesi e dopo ancora gli artigiani, i contadini e, infine, ragazzi e bambini. Le danze macabre erano inizialmente vere e proprie danze rituali che avevano lo scopo di ricordare la natura effimera della vita. Successivamente, ispirate da queste danze, furono composte alcune filastrocche in volgare di cui abbiamo testimonianza nel poemetto Les Vers de la Mort ( I versi della morte) scritto dal monaco Hèlinand de Froidmont nel 1195. La loro diffusione iconografica comincia solo intorno al 1350, epoca in cui la morte e il morire diventano temi dominanti nella religione in Europa. Queste rappresentazioni, dipinte sulle pareti delle chiese, sono quindi la testimonianza della fusione tra il cristianesimo e la cultura popolare pagana. La forza grave e suggestiva di tali immagini si è tramandata nei secoli ispirando non solo artisti – basti pensare a La Morte sul Cavallo Bianco di Gustave Dorè o a Il bacio della morte realizzato da un anonimo scultore nel 1930 nel cimitero di Poblenou a Barcellona, ma anche scrittori (negli esilaranti romanzi di Terry Pratchett la Morte personificata è un personaggio molto frequente) e registi. Un celebre esempio è sicuramente Il settimo sigillo, film definito il capolavoro assoluto del regista svedese Igmar Bergman. La pellicola, ambientata proprio nel XIV secolo durante l’epidemia di peste, si apre con la famosissima scena della partita a scacchi con la morte. Il protagonista, Antonius Block, accompagnato dal suo scudiero Jöns intraprende un viaggio per tornare a casa dopo dopo aver preso parte alle crociate e qui incontra la Morte, con la quale inizia una partita a scacchi per “sapere fino a che punto saprà resistergli, e se dando scacco alla morte avrà salva la vita“. Tramite questa celebre partita Antonius Block prende coscienza della sua imminente fine e guarda in faccia alla morte affrontando allo stesso tempo la vita che ha vissuto. Uno dei temi centrali del film è sicuramente il dubbio: il protagonista infatti è ossessionato dalla propria impossibilità nel sapere e invano cerca di darsi delle risposte. Su questo tema è emblematica la scena in cui Block si confessa ignorando che il confessore è la morte stessa:
Antonius Block: Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli […] Lo chiamo e lo invoco, e se Egli non risponde io penso che non esiste.
Morte: Forse è così, forse non esiste.
Antonius: Ma allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla senza speranza.
Morte: Molta gente non pensa né alla Morte né alla vanità delle cose. Un altro tema fondamele è il diverso modo di affrontare la propria fine, infatti, tutti i personaggi rappresentano i vari modi dell’uomo di rapportarsi alla morte. Se quindi Antonius Block è tormentato dal dubbio e dalla ricerca della verità, lo scudiero Jöns non crede ne nell’inferno ne nel paradiso, egli ride e ironizza sulla vita e sulla sua assenza di significato. Inoltre questo film non riprende solamente la raffigurazione della morte personificata ma anche l’iconografia delle danze macabre sia per quanto riguarda la rappresentazione che per il significato. Il settimo sigillo inscena l’essenza di questi affreschi tramite potenti sequenze caratterizzate dai punti di vista dei vari personaggi. La morte è inevitabile, non è possibile sfuggirle, di qualunque ceto sociale tu sia: questo rappresentano le Danze macabre e questo rappresenta alla perfezione anche la scena della morte dell’attore Skat; Skat:[Mentre riposa su un albero, sente qualcuno tagliare degli alberi]Dei boscaioli… Ma guarda un po’.[Accorgendosi che è il suo albero quello che viene tagliato]Accidenti, ma stanno proprio tagliando il mio albero! Ehi, voi, sudici tagliaboschi!Che state facendo al mio albero, eh? Non potreste almeno rispondere? La cortesia non costa niente![Vedendo una figura incappucciata che sega l’albero]Ehi, ma chi sei tu?
Morte:[Rivelandosi]Sto abbattendo il tuo albero. Non sai che la tua ora è giunta?
Skat:[Terrorizzato]No… Aspetta, ti prego, non è questo il modo!
Morte: E che modi vorresti?
Skat: Ah, beh, ecco, vedi, tra poco c’è lo spettacolo!
Morte: Sarà sospeso. Per la morte dell’attore.
Skat: Ma se ho un contratto!
Morte:Annullato.
Skat: Beh, si… ma la famiglia, i bambini?
Morte: Su, dovresti vergognarti, Skat.
Skat: Si si si, giusto, mi vergogno, e mi pento, mi pento! Ma… Non c’è qualche scusa? Qualche particolare eccezione per gli attori?
Morte: No, no, niente, nessuna eccezione!
Skat: Niente scappatoie? Nessun rimedio? Aaah![La morte abbatte l’albero e Skat muore] Il dubbio, il rapporto tra uomo e religione, il senso della vita, il modo di affrontare la morte, l’arte, questi sono solo alcuni dei temi che vengono raccontati in questo film carico di allegorie. Il settimo sigillo è un’opera che non da risposte e non prende posizioni dando una perfetta trasposizione cinematografica di quello che sono le danze macabre ed è proprio tramite questa rappresentazione che il film si conclude: Jof: Mia! Li vedo, Mia! Li vedo! Laggiù contro quelle nuvole scure. Sono tutti assieme. Il fabbro e Lisa, il cavaliere e Raval e Jöns e Skat. E la morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la morte, con la falce e la clessidra. E Skat è l’ultimo e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell’alba, verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava e quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.

BIANCA DELLA GUERRA

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