Componimenti creativi

Il pazzo

Al principio della notte, immobile, ti trovi davanti la casa del Pazzo. I tuoi occhi lacrimano per il freddo, ma tu tremi per la paura. Tieni fisso lo sguardo verso il cancello. Muori dalla voglia di toccare le sbarre, ma senti di non poterlo fare, come se tra voi ci fosse un muro invisibile e impossibile da attraversare. Non sai perché sei lì, ma sai che il sentimento che ti ha condotto verso quel posto maledetto non è semplice curiosità. Il tuo dubbio opprimente diventa meno pesante quando pensi che forse ciò che hai sentito sono più leggende che verità. Si sa che la gente in fondo ama la paura. E tu ami la paura?

Non lo sai, ma sai che in questo momento ne provi molta. Eppure rimani lì fermo, a guardare la luce calda che filtra dalle finestre opache. Sei solo, sei indifeso. Ma non puoi fare a meno di chiederti: chi è il Pazzo? Cosa fa dentro, riparato dalle sue mura? Chi sa se è colpevole di quelle tragedie, chi sa se prova rimorso…
È tardi, non è sicuro rimanere. Forse dovresti andartene. Forse dovresti scappare. È in questo momento che vedi una bambina che cammina per il vialetto illuminato a tratti da pochi lampioni. Ti eri dimenticato che non troppo lontano da qui c’è un parco giochi? Cosa è venuta a fare questa bambina qui da sola? Perché si è allontanata dai suoi genitori? No, se ne deve andare… non può rimanere. Ti dirigi verso di lei per portarla via. Ma all’improvviso senti il cancello che si apre.
È il Pazzo. Vedi il suo grande sorriso inespressivo, vedi il suo sguardo vuoto pieno di odio. Il Pazzo ti odia. Il Pazzo ci odia. Il suo odio traspare da tutto il suo corpo. Lo avverti nelle sue mani, nei suoi gesti, lo senti come se ti trapassasse da parte a parte. Da una ruga del suo volto traspare anche il suo sforzo: sta correndo. Corre non perché teme di non fare in tempo ad uccidere, ma perché ha fretta di vedere gli occhi della sua vittima che si spengono. Ma la sua vittima non sei tu. Te ne rendi conto quando ti passa accanto tenendo un coltello in mano, senza neanche guardarti. Lo capisci, non fai nulla. Ti nascondi inutilmente. Non vedi la tragedia, senti solo le grida disperate. E lo vedi tornare sempre correndo, questa volta con il coltello sporco di sangue. Rimani nascosto, ti passa di nuovo accanto, forse ti ha visto, ma non vuole ucciderti. Passa il cancello, lo chiude e ritorna dentro la casa. Non aveva scelto te.
La bambina è morta e tu non l’hai salvata. Non hai neanche provato, ti sei nascosto per salvare te stesso. Il Pazzo odiava sia te sia la bambina, ma ha scelto di uccidere la bambina, e tu non hai fatto nulla. Magari la bambina sperava che tu la salvassi. Non avresti potuto fare nulla comunque, forse. Forse non dovresti sentirti in colpa, forse dovresti sentirti fortunato. È la paura che ha prevalso o il primario istinto di sopravvivenza? Perché eri lì allora, se non per salvare una vita innocente? Era stato il coraggio infantile ad avvicinare la bambina alla casa…qual è la tua scusa?
Ora devi andartene. Il Pazzo ha solamente saziato per poco la sua sete di odio, tra un po’ cercherà una nuova vittima. Potrebbe anche inseguirti. Devi correre.
Eppure rimani lì fermo, di nuovo davanti al cancello. Sei in pericolo e sei da solo. Ma non puoi fare a meno di chiederti: cosa sta facendo il Pazzo? Cosa può fare dentro adesso, riparato dalle sue mura? Sta pulendo il suo coltello? Sta piangendo? Chi sa se è il vero colpevole di questa tragedia, chi sa se prova rimorso…

MARIA GUERRIERI

Inno alla vita

Sulle rive del mondo è stato piantato un albero, un albero infinito nutrito dalle lacrime di chi vi è imprigionato: un uomo, ormai fuso al tronco. Quest’uomo non fa che cantare, non fa che gridare per dimenticare tutto il dolore che potrebbe sentire se solo si fermasse. Canta per rimuovere le sue emozioni. Grida per riempire il vuoto di un’eternità monotona e silenziosa. Urla. Urla per fingere di non vedere, fingere di non sentire nulla. Canta per ingannare il tormento, obliare la confusione, ignorare la vergogna. Canta per cancellare se stesso.
Grida! Grida senza sapere che proprio in quella canzone è racchiusa l’anima della sua agonia.
Grida una canzone meravigliosa, una sinfonia di dolore che echeggia nel cosmo in un’emorragia di emotività.
Non sa che quel suo canto, quelle grida non sono altro che la violenta espressione delle sue emozioni represse. Non sa che quel canto è un inno a tutto ciò che desidera dimenticare, non sa che quel canto è un inno al suo dolore.
Ma quanto sono meravigliose le sue grida! Come mi fanno sentire viva! Come mi fanno sentire autentica!
Perché, perché quando le ascolto provo una tristezza infinita? Perché, perché quando sento quell’armonia lontana provo una gioia infinita? Perché sento rabbia in quelle urla? Perché sento un incommensurabile sofferenza? Perché sento amore? Come posso anche solo provare una tale gioia? Perché bramo tutto questo? Perché sono così meravigliose le sue grida di dolore?

Sulle rive del mondo c’è un uomo fuso ad un albero infinito. Sulle rive del mondo c’è un uomo che canta, che grida per esprimere la vita. Sulle rive del mondo c’è un uomo che è appena sfumato via. Sulle rive del mondo risuona una canzone che non verrà mai dimenticata.

BIANCA DELLA GUERRA

Per non dimenticare

Vorrei raccontarti una storia. Non ho idea di dove si svolga, né tanto meno a quale tempo appartenga. Tutto quello che posso dirti è che avvenne in un luogo tanto estraneo a te che probabilmente non riusciresti nemmeno a concepirlo ma che, paradossalmente, potrebbe anche apparirti vagamente familiare. Perfino l’epoca in cui si svolge è altrettanto contraddittoria e inconoscibile. Forse potrebbe sembrare una fusione del tuo passato e del tuo futuro, ma anche questa è una definizione approssimativa o addirittura del tutto inesatta. Tempo e spazio sono troppo difformi dagli abituali canoni. So solo che lì ormai è tutto in rovina. Non è rimasto nulla se non macerie. Prova a figurarti, se così si può dire, una scia di rottami, detriti e resti carbonizzati ammassati su quelle che, probabilmente, erano le strade. Figurati un paese dilaniato da assurdi conflitti, un luogo in cui la follia imperversa. Le costruzioni diroccate giacciono abbandonate e ormai sono solo un rifugio temporaneo da alternare con un’esistenza immersa nella pazzia. La pazzia di un caos che mi arrischio a definire quasi apocalittico ma, come ho detto prima, è un luogo inconoscibile. Anche così dubito che potresti riuscire a immaginarlo. Non sono neanche tanto sicuro che si trovi in questo universo, ma al contrario potrebbe anche essere pericolosamente vicino. Sulla Terra? Ah già potrebbe anche trovarsi sulla Terra durante la fine del suo tempo. Potrebbe essere ovunque, in ogni spazio, in ogni era. Lì in ogni caso tutto sembra prossimo al totale disfacimento. L’annientamento di una grande civiltà è imminente, se non già accaduto. Quella è la caduta, fra le fiamme, di una grande potenza.
Devi sapere che tra questi notevoli avanzi di edifici, ormai in irreversibile sfacelo, fu creata una maledizione. Un maleficio di cui non mi prendo la responsabilità di trascriverne il nome. Una maledizione perversa, forse di gran lunga la peggiore mai stata creata.
Non ho conoscenze in merito all’epoca di composizione, anche se probabilmente vide l’alba molto prima di questo grande fallimento. Non conosco neanche il perché della sua nascita e, perdonatemi, non ho nemmeno idea di chi l’abbia creata. Probabilmente un folle che non aveva niente di meglio da fare, ma chi sono io per giudicare? So solo che potreste sentire su di essa tante presunte verità, ma il fatto è che di verità ne esistono molte ed è pressoché impossibile stabilirne una assoluta.
In ogni caso si pensa che abbia molte forme. C’è chi dice che nacque come benedizione ma che, durante la sua realizzazione, qualcosa andò storto. Altri sostengono che a seconda di chi pronuncia il suo nome può assumere sia l’aspetto di una maledizione che quello di una benedizione. Ma, se devo essere sincero, queste le ritengo soltanto un mucchio di chiacchiere inutili. Un tentativo di giustificare il degenerato sadismo di un pazzo. Per come la vedo io è la peggiore condanna che sia mai stata inflitta ad essere vivente.
Proprio per questo ciò che stai leggendo non è altro che un fragile tentativo di ricordare colui che forse per incoscienza, forse per disperazione o per desiderio di salvezza, forse ancora per caso o per errore fu colpito dal suo castigo. Che fu trascinato verso l’angoscia e il tormento che questa maledizione infligge. Questo è il ricordo di colui che fu costretto a vivere un inferno in terra, che fu destinato a perdere la sostanza del suo corpo, destinato ad essere dimenticato in vita dall’intero mondo. Fu condannato ad esistere, ma ad essere invisibile a molti. Pochi erano in grado di raggiungerlo ma lo dimenticarono non appena distolsero lo sguardo. Ogni frammento di lui venne cancellato dalla vita, fu come se non fosse mai nato, ma venne costretto a ricordare. A non dimenticare mai. Non era vivo, non era morto, solo obliato dai ricordi dei vivi e dei morti. Destinato a scomparire senza lasciare traccia, forse non ci sarà nessuno che potrà, che riuscirà a rammentare.
Ma ora mi rivolgo a voi tutti, udite il mio grido disperato! non dimenticatevi di me! Non dimenticatevi del fantasma che ha a lungo vagato per queste solitarie terre!

BIANCA DELLA GUERRA

Veleno Cremisi

La rosa dei venti ricaccia ancora verso questo luogo le ire del suo avvento.
Con il gesto più raro in natura, il mare riflette nel crepuscolo il vivido volto di un ricordo annebbiato dalla sua stessa storia. Tra i lineamenti dell’orizzonte vermiglio fluttua l’immagine dello sciagurato Enea di Troia. Il color porpureo della scena in cui oggi appare rende giustizia al suo epiteto da patriota. Dipinge con ferme pennellate i versi che cantarono, dall’Ellesponto fino a qui, un futuro in mano al Fato e alle vele spiegate in tempesta.
Ed ora il vento combatte anche contro di me.
Lo Scirocco soffia verso il mio viso il tuo profumo, e ogni singolo muscolo si ribella alla contrazione che induco per sottrarmi a un tuo squassante abbraccio.
Il Maestrale mi tinge gli occhi di carminio, rischiarando lo scenario serale e rivelando la sicula lava d’Occidente. I frammenti di cielo che ora vedo si riuniscono per costruire, in una danza con le nuvole di sangue, la forma delle tue labbra salate, traboccanti di dolcissimo veleno cremisi.
Il Grecale scaglia contro la spiaggia la rabbia del giorno che muore, costringendomi a bruciare nell’arrendevolezza della verità.
Non sarò mai più mia, persa dentro di te. Non verrò mai più a cercarmi, lasciami annegare nella tua aurora.

MARTA SARRO

Estate

Ecco, ergersi.
Errante
Essere;
Estasiante ed
Eccentrica
Erinni ermafrodita
Egregio ente
Edotto,
Ellisse estatica
È
Eversiva essenza
Essenziale esperienza,
Esplica
Educa
Eccita
Evoca eburnee
Ecatombi
Ed
Edificante estetica.
Esecrabile
Esuberante
Era, elargendo
Eversive evasioni
Eccessive eccezioni
Essoteriche etimologie.
Etnica Esperia,
Eccelli.
Efebico ἔθος,
Esulti.
Etereo esodo,
Elevi.
Efferata
Ebbrezza,
Egotistico
Egoismo,
Elitaria
Elucubrazione,
Elusivo
Elogio,
Erudita
Effemeride,
Erosa
Ecumene,
Enfatica
Epitome,
Esacerbata
Escoriazione,
Essenziale
Erlebnis,
Eccoti
Eccola
Ed ecco: ego
Ermeneutico ed
Estivo.
Ἔκφρᾰσις.
Eccheddupalle.

COLLETTIVO “CIELO TERSO”

 

“MARIOROSSI” (ASTEROIDE n°01)

Istogramma

COLLETTIVO “CIELO TERSO”

Treno

Il treno si muove e tutto mi passa davanti tanto velocemente che oso dire di vedere di fronte a me una fotografia mossa, una di quelle che scatti dimenticandoti di mettere a fuoco o, semplicemente, per dare un volto alla frenesia. Vedo gli alberi che si susseguono ed è una di quelle situazioni in cui non puoi esercitare nemmeno il minimo controllo: tutto ti passa davanti e tu sei impotente, non puoi fermare niente e nessuno, nonostante tu voglia farlo. Rabbrividisco. Tutto é sfocato, ti senti perso e non puoi fermarti perché intanto la tua mente è diventata un semplice turbinio di voci. Ti allunghi per afferrare almeno un briciolo della realtà in cui ti trovi, ma tutto scappa via abbandonandoti e ad un certo punto ti accorgi che la tua realtà ti sta scivolando tra le dita come se fosse acqua e non la puoi trattenere. E alla fine scopri di aver perso ogni tua certezza nell’inaspettatezza della vita.

PLASSON

Onde

non voglio soffrire più
non voglio sentire più il mio cuore che affonda
il respiro che si fa corto
il tremore delle mani
voglio essere più forte
voglio tirare fuori la testa da questo mare che mi fa affogare
voglio guardarti negli occhi e dire che ce l’ho fatta, che l’ho superata
ma non succederà
perché io sono ancora qui
ferma
a guardarmi intorno sperduta
senza più niente a cui aggrapparmi
e aspetto
in balia delle onde la tua mano

PLASSON

Lettera ad Ade

Amore mio. Sei la cosa più gentile che mi sia capitata, anche se la nostra storia non è così raccontata.
Hai visto oltre la mia pelle dorata e il mio cuore gentile. Hai visto in me, icore splendente, furia e orrore. Hai visto in me la regina dell’oltretomba. Mi hai dato una terra e un regno.
Davvero pensavi che fossi così sconsiderata da mangiare il cibo dei morti contro la mia volontà? Fidati. Se non fossi voluta restare in questo regno arido e scuro, mi sarei fatta strada fra le anime facendo a pezzi la terra mia madre, le mie urla ti avrebbero perforato le orecchie e spezzato la mente.
Guarda il mio potere. Il mio giardino risplende anche qui, dove niente potrebbe essere vivo.
I fiori continuano a crescere sulla terra e nel mio petto.
Il sangue nella mia bocca ha iniziato a sapere di poesia, di una religione, di te.

STYX

La bellezza della morte

Ti dirò un segreto, un segreto che non insegnano nei templi. Gli dei ci guardano. Gli dei ci guardano e ci invidiano. Perché siamo mortali. Perché non siamo qui per sempre. Perché non sarai mai più amabile come lo sei ora. Perché non sarai mai più qui, come ora.
Perché hai la stessa bellezza delle rose e delle farfalle e la stessa cangiante distruzione.
Siamo condannati ad una fine, e tutto è più intenso quando deve finire.
Loro sono immortali e irremovibili. Inevitabili . Tu hai la stessa bellezza di un raggio di sole, presto oscurato dalla notte.

STYX

I suicidi

Mai dare per scontata una persona suicidale. La trovi un giorno e forse domani no. Forse domani la trovi in un bagno di sangue o forse soffocata. Con le vene tagliate o fra le pillole. Appesa per il collo ad un candelabro, mentre cercava un’uscita d’emergenza. Forse oggi quando ti ha sorriso è stata l’ultima volta che la vedrai da viva.
È un concetto strano vero? Noi suicidali viviamo in bilico fra questa vita e qualunque cosa ci sia dopo. In un limbo.
Vienimi a cercare a cavallo fra i mondi, dove la terra incontra la nebbia del pensiero. Io sarò là. Mentre leggo e osservo le mie mille opzioni di morte con un pensiero invadente in mente. Un pensiero che urla: Annientati.

STYX

L’ascensore

Aspetto l’ascensore
La mia vita questo
Aspetto
Non dove mi porterà
In alto
O in basso
In ogni caso
Io aspetto
Piena di dubbi
Di domande
Ma non posso fare nulla
Devo aspettare
Qui
Ferma
Non posso scendere
Non posso salire

BESHE

Per il Manara

Per il Manara
Mi giro e lo vedo
Chiudo gli occhi e lo sento
Mentre la pioggia bagna le sue mura
Osservo la città dalla sua altura
Le nuvole sporcano il cielo ma non l’umore di chi c’è dentro
Corrono i piedi sul pavimento
Resiste alla neve, alla grandine e al vento
E poco si nota il passare del tempo
Sorridono allegre le sue pareti gialle
Manara, Manara, ti coprirò le spalle

ANONIMA PATRIOTA

 

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