Amarsi

Benvenuto, caro lettore, in questo piccolo spazio dove vorrei trattare di un argomento su cui nessuno si sofferma mai troppo.
Come avrai letto dal titolo voglio parlare dell’amor proprio: sì, proprio di questo. Ho l’ambizione che il modo in cui scriverò, le tematiche e i pensieri ti rimarranno dentro non in quanto originali, innovativi (spoiler: non sono nulla di tutto questo) …non perché sono belli, ma perché sono veri e anche un po’ tristi.

Voglio scrivere della tristezza, dell’infelicità e del dolore. Nella mia ottica, infatti, questi sentimenti sono legati all’amor proprio.
Senza dilungarmi troppo su questa introduzione che ti avrà solo confuso le idee, ti lascio a quella che è, oltre che un augurio, una speranza… che tu riesca dove la società ha voluto che tutti fallissimo.
L’ adolescenza è il primo momento e periodo della nostra vita dove apprendiamo, o iniziamo ad apprendere, quale sia la nostra persona, il nostro ruolo nella società e che piega vogliamo dare alla nostra vita. Iniziamo ad affacciarci su quello che è il mondo degli adulti e almeno al principio, come è giusto che sia, ci sentiamo inadeguati.
Questa inadeguatezza, questo “metterci in dubbio”, il “sentirci sbagliati” è qualcosa di profondamente giusto: non sarebbe naturale essere sicuri di se stessi senza nessuna esperienza, essere felici della persona che siamo senza prima non sapere chi siamo.
Se quindi reputo appropriato questo momento di “smarrimento”, trovo però tutto quello che ne consegue nel mondo odierno profondamente ingiusto e scorretto.
Mi sto riferendo, in quest’ ultima frase che è più intrecciata di un cruciverba, a tutte quelle malattie, problemi e viaggi mentali che con la diffusione sui social, con le imposizioni sociali si diffondono tra di noi come la peste nera ai tempi dei Promessi Sposi (don Rodrigo conferma).
L’aspetto estetico, la sensualità, la sessualità e perfino il modo di vestirsi sono tutti canoni in cui la società e la gente sente di doversi classificare ed esprimere giudizi… la così detta sfera privata di ogni giorno è in mano a tutti.
Ti è mai capitato che camminando per strada ti sia sentito a disagio per aver messo quella gonna al posto di quel pantalone? Di vergognarti del tuo peso o perché troppo magro o perché troppo grasso? Di arrivare a incolparti anche per quel brufoletto che ti è spuntato senza preavviso la mattina?
E se anche uno tra questi sembrasse una piccolezza, tutti questi “difetti” si sommano tra loro e ci portano lontani da quello che è il concetto di perfezione. E ora attenti a questo passaggio: nel cervello dell’adolescente medio, di quello insicuro o comunque di quello che inizia a porsi le domande che caratterizzano la sua età, scatta un meccanismo: il difetto è uno sbaglio, sono pieno di difetti, perciò sono pieno di sbagli, sono una forma grezza di quello che potrei essere, quindi devo cambiare.
Questo cambiamento è il passo che ci divide dalla perfezione. E quindi inizi a cambiare… ti metti a dieta, ti trucchi con sette strati di fondotinta differenti, indossi vestiti che magari neanche ti piacciono ma che tutti usano, ti relazioni con persone che credi siano quelle giuste non perché si configurano alla tua persona, all’idea che vuoi dare di te. E credi di essere perfetto.
Ma qualcosa va storto, ti senti infelice, ti senti lontano dalla perfezione nonostante tu credessi di averla raggiunta e quindi cambi di nuovo, e poi ancora e ancora.
Ma la perfezione è sempre lì, lontana come una stellina nella notte: la vedi e lei vede te. Addirittura la sua luce vibra come se rispondesse ai tuoi sguardi e tu non sai che quella stella in realtà è già morta, che l’ultimo raggio luminoso è lontano anni luce da te.
È svanita, la perfezione è scappata ma tu, tu sei ancora qui, sul tetto di casa tua con indosso vestiti firmati, il mascara che ti offusca la vista da quanto abbia reso le tue ciglia spesse, le tue costole sempre più sporgenti, e accanto a te ci sono persone che parlano, ma che non dicono niente e tu senti, ma non ascolti.
Sei persa, persa nella società, persa nel cambiamento, ma soprattutto hai perso te stessa.
E ora provi dolore, tristezza, rimpiangi ciò che potresti essere ma non sei e ti incolpi. Non serve a niente.
Cerchi soluzioni, ma non poni domande, speri che qualcuno colga il tuo silenzio nascosto dietro tante parole vuote e pian piano ti spegni come quella stella, ti allontani anni luce dalla via.
Quanti sono i versi che i poeti dedicano alle amate? Infiniti.
Quanti sono i versi che dedicano all’amore verso se stessi? Di meno.
Quante sono le canzoni che raccontano l’amore per una ragazza? Infinite.
Quante sono le canzoni che raccontano l’amore per se stessi? Di meno.
Il senso di tristezza diventa uno modo di vivere, il tuo sentirsi sbagliata ti convince di esserlo e lo smarrimento ti provoca ansia. Ansia per questa vita che sembra troppo difficile per te.
Perché questa non è vita.
Ma hai una scelta davanti: riprovare a vivere o arrenderti.
E quanti ne hai sentiti di ragazzi che si sono arresi? Infiniti.
Quanti ne hai sentiti di ragazzi che ci hanno riprovato? Di meno.
Ma tu decidi di provarci. Ti rialzi.
E piangi.
Piangi come quando hai pianto per moltissimo tempo: da quando sei venuta al mondo. Non un pianto triste, ma un pianto indispensabile per l’ossigeno… piangi per rinascere.
E quindi capisci. Capisci che quella stellina lontana che vedevi dal tetto di casa tua simboleggiava la perfezione: effimera, superflua, lontana anni luce, ma soprattutto falsa.
E ora intorno a te vedi i tuoi amici. Quelli che quando parlano emetto suoni non rumori. Vedi Marco con i suoi occhiali che sembrano un riferimento esplicito a Harry Potter, sono così tanto grandi da potercisi specchiare, quando ti rifletti in essi scorgi una persona buffa… magari paffutella, con l’acne e due occhiaie così grandi che sembra che non dorma da giorni, con una felpa così vissuta da avere come stampa l’incoronazione della regina Elisabetta. Ti guardi e provi soltanto una sensazione di pace: per la prima volta dopo tanto tempo invece che vederti ti stai guardando, invece che giudicarti ti stai apprezzando… e ti piaci.
Non perché sei perfettamente bella, ma perché sei tu. Non c’è un aggettivo per descriverti e solo ora capisci cosa significa essere belli.
Bello è quel qualcosa che si attribuisce a ciò che non può essere descritto con parole semplici.
Certo, ora il passaggio dal piacersi all’amarsi è lungo, ricco di ricadute, ma ne vale la pena.
Adesso hai gli strumenti per farlo: tu, te stessa e il tuo essere (in inglese rende di più: me, myself and I)
Ed è così bello amare che lo vuoi condividere: ora comprendi…
Hai capito perché i poeti dedicano infinti versi a alle loro amate e di meno all’amor proprio.
Hai capito perché le canzoni raccontano di infiniti amori verso ragazze, di meno verso se stessi.
Perché impossibile amare se prima non ci si ama.
E ora sai perché si sente di infinti suicidi e di meno persone che ci hanno riprovato…
Ognuno di noi prova dolore, ma alcuni invece di incolpare quel dolore lo abbracciano, lo cullano e lo ricordano, ma poi hanno la forza di lasciarlo andare via; altri invece hanno semplicemente troppa paura di essere nient’altro che dolore e quindi alla fine si identificano in esso.
Non so cosa sia l’amor proprio, non penso di provarlo verso me stessa, ma so che è qualcosa che non si può insegnare, si deve imparare e che, forse, il mondo di oggi dovrebbe un po’ ripassare.

p.s. non ho fatto uso di stupefacenti/droghe/alcool durante la stesura del testo

BRICIOLA

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