Il desiderio di potere e la ricerca dell’umanità

“Il grande dittatore”, film di Charlie Chaplin, è uscito nel 1940 negli Stati Uniti, durante la Seconda guerra mondiale. Il regista, attore, comico, sceneggiatore, compositore interpreta due ruoli: un barbiere ebreo che torna nel suo ghetto dopo aver perso la memoria combattendo nell’esercito nella prima guerra mondiale, e Adenoid Hynkel, temutissimo dittatore della Tomania. Questi nomi non sono altro che degli pseudonimi per Adolf Hitler e per la Germania nazista che Chaplin ridicolizza.

È una pietra miliare della storia del cinema, ma è anche un film che rimarrà sempre attuale, perché tratta del desiderio di potere, dell’odio razziale e della discriminazione. Quando uscì, il vero Adolf Hitler cercò invano di impedirne la diffusione, sapeva che la satira è forse l’arma più potente che si ha quando l’ingiustizia diventa talmente grande e riderne è un modo corrosivo per opporsi ad essa.
Il grande dittatore incanta le persone con le sue parole prive di senso, con la sua rabbia, con il suo odio nei confronti di vittime innocenti, che in questo caso sono gli ebrei. Mira a diventare “dittatore del mondo”, è vittima inconsapevole della sua stessa stupidità. Chaplin con grande maestria sa interpretare il ruolo di un pazzo e allo stesso tempo quello di un innocente, un ebreo che dopo aver perso la memoria si è dimenticato dell’odio razziale, non comprende le ingiustizie che si stanno verificando in Tomania, e si ritrova ad essere involontariamente un eroe. Da un lato quindi incarna l’odio e la violenza, dall’altro la speranza e la resistenza.
Uno tra gli episodi più divertenti è l’incontro con Bonito Napoloni, nient’altro che Benito Mussolini. Infatti il dittatore italiano giunge in Tomania per una visita di stato: Hynkel vuole il via libera per invadere l’Ostria (l’Austria). Mentre nel ghetto gli ebrei sono vittime di violenze, tra i due dittatori nasce una ridicola competizione per le loro manie di grandezza: si contendono la posa centrale per le fotografie, fanno a gara a chi si siede più in alto per incutere all’altro soggezione. Arrivano anche a litigare e a lanciarsi il cibo e riescono infine a mettersi d’accordo solo attraverso mediatori, tra cui Garbitsch (Joseph Goebbels, ministro della propaganda).
Ma la parte più bella è la famosissima scena del mappamondo. Dopo un colloquio con Garbitsch, il quale fa immaginare ad Hynkel un mondo sotto il suo dominio, un mondo di razza ariana, senza ebrei, senza mori a eccezione dell’Imperatore, dell’Imperatore del mondo, Hynkel chiede di rimanere solo e comincia a lanciare in aria e a giocare con il mappamondo, ripetendo “aut Caesar aut nullus”. Una musica lenta e solenne, tratta dall’overture del Lohengrin di Wagner, accompagna l’unica scena drammatica e seria in cui è presente solo Hynkel. Egli infatti si immagina, mentre tiene in mano il mappamondo, di controllare il mondo in un delirio di onnipotenza, ma quando lo stringe tra le sue braccia la pressione diventa talmente forte che il mappamondo si rompe, lasciandogli le mani vuote.
Infine, dopo la satira, come arma contro l’ingiustizia e la cattiveria, Chaplin oppone la speranza. L’ebreo barbiere viene infatti scambiato per il dittatore, mentre Hynkel viene scambiato per l’ebreo e imprigionato. Il finto dittatore viene posto di fronte a una folla austriaca che contenta ha accolto i nazisti nel paese. Per salvarsi l’ebreo deve far finta di essere Hynkel, ma ha paura di essere smascherato con il suo discorso. Si rivolge dunque a Schultz, un ex comandante nazista che aiuta il protagonista dopo essersi rifiutato di invadere l’Ostria. Dice che non può tenere un discorso. Al che Schulz risponde: “Devi. È la nostra unica speranza”. E l’ebreo ripete “Speranza…”.
E qui parte il discorso che viene direttamente da Chaplin sui valori di umanità, uguaglianza, fratellanza, bontà e gentilezza che si sono persi: “L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca tra le cose più abiette, abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi”.
Purtroppo il discorso che faceva Chaplin ottant’anni fa si può collegare a qualsiasi epoca, anche a quella attuale. Ma il film satirico si conclude con un invito a guardare in alto, a guardare il cielo, a guardare oltre il presente e a sperare in un futuro felice e migliore, quel futuro che è compito di tutti noi costruire.

MARIA GUERRIERI

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